Bley & Simone, il jazz ha voglia di volare

Bley & Simone, iljazz ha voglia di volare 1 9ISCHB Bley & Simone, iljazz ha voglia di volare r liL ones E' un gran bisogno di sincerità, 1 desiderio di respi. ana nuova e diffuso, un'esigenza ormai vitale. Troppi veleni fisici e metaforici ci avviluppano e confondono. Nel campo delle arti, la ricerca di liberi voli è più immediata, anche se non sempre facile e fruttuosa, nella musica. Quella jazz in particolare. Pure se spesso si giudica, giustamente, quest'epoca ormai orfana di geniali maestri. Ma forse per questo si prova ancor più gioia quando s'incontra il volo libero che un'artista di valore come Carla Bley compie con il suo ultimo «Big Band Theory» (Watt, 1 Cd). In un'epoca di dischi studiati e in difetto di spontaneità ecco l'eccezione. La bella Carla Bley è all'altezza delle sue ambizioni, con un gruppo ben in sintonia, i ruoli importanti perfettamente occupati (Alex Balanescu, Lew Soloff, Gary Valente, Wolfgang Pusching, Andy Shepard e Steve Swallow). Il brano di apertura («On the stage in cages» è un gioco orchestrale, nevrotico e mutevole. Metrica e colori si spezzano e si ricompongono con sapori di mambo, bop, spiritual, citazioni classiche. La tromba di Soloff continua a imperversare anche nel secondo brano, «Birds of paradise» e nelle successive altre due composizioni contenute nel disco. Il piano di Carla Bley cuce e spinge fuori solisti e gruppo in un gioco vorticoso, contagioso nel suo concetto di libertà espressiva. Un disco generoso di emozioni. Più sentimento evoca invece Nina Simone, della quale è impossibile dimenticare «Baby just cares for me» quel suo swing, quella voce carica di speranza e incapace di fermare il destino. Ma Nina Simone continua a stupire. Non è riuscita ad essere la pianista classica che avrebbe voluto essere, per via della sua pelle nera. Il jazz - «la musica classica degli afroamericani» lo definisce lei - le ha aperto le strade della creatività, del successo, dell'impegno per i diritti civili. Nell'ultimo disco, «A single woman» (Elektra, 1 Cd), riprende il filo conduttore dei suoi ultimi concerti, getta sguardi interiori. Infonde swing agli standard come «The more i see you» e a sue composizioni, «Marry me», che chiude l'album in un'atmosfera di buonumore. Altrove, solitaria e nostalgica, Nina Simone affronta il sentimento legato all'assenza, alla mancanza: «The folks who live on the hill», dedicato ad un amico che fu primo ministro alle isole Barbados; «Papa, can you hear me?», appello commosso al padre morto. Al trio (basso, batteria e piano), Nina aggiunge dei sottili arrangiamenti di strumenti a corda. C'è anche molta Europa in questo disco. Il Brassens di «Il n'y a pas d'amour hereux» con l'aggiunta della fisarmonica. E poi «Just say i love him», altalenante tra Italia e Sud America con una chitarra spagnoleggiante. Una canzone che si riascolterebbe all'infinito. Un disco bello e sincero. I discografici non riescono a lasciar riposare il ricordo dell'ultimo dei genii del jazz, Miles Davis. Questa volta torna con la riedizione del maggior disco del quintetto della fine degli Anni 60, quello con Wayne Shorter, Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams: «Sorcerer» (Columbia, 1 Cd). Lo stregone cinese sfida le meditazione con il più sognatore dei saxofonisti (Wayne Shorter), come in «Pee Wee» che è dedicata al clarinettista di Saint Louis, Pee Wee Russell. Stupisce sempre il trio ritmico (Hancock-Carter-Williams) che raggiunge livelli di fusione che solo quattro o cinque formazioni hanno espresso in tutta la storia del jazz. Riascoltare «Sorcerer» venticinque anni dopo si apprezza ancora di più la magia di quel club di geni. Quelle di Bill Evans sono tra le composizioni più rilette e rivisitate degli ultimi tempi. Ora anche John McLaughlin ce ne offre una versione, sostenendo nelle note di copertina che il pianista bianco ha avuto in lui una consistente influenza. E difatti titola il suo ultimo disco «Time remembered» (Black Saint, 1 Cd). Buona l'intenzione, ma il mondo romantico di Evans non risalta bene nel lavoro di un McLaughlin troppo emozionato e scrupoloso. Ne risulta un disco lezioso, poco agevole. Bill Evans è stato un interprete poco imitabile, un artista vissuto in un periodo in cui il jazz diffidava della composizione. Per cui l'eccesso di correttezza di McLaughlin verso Evans quasi si trasforma in tradimento. Alessandro Rosa >sa

Luoghi citati: Barbados, Columbia, Europa, Italia, Sud America