Vienna i demoni dell'abitare

Madrid ospita una grande rassegna dedicata all'apogeo dell'impero asburgico Madrid ospita una grande rassegna dedicata all'apogeo dell'impero asburgico Vienna, i demoni dell'abitare Così la Secessione cambiò la città del valzer PMADRID OTREBBE essere uno spunto di racconto, di sceneggiatura (quasi parodica, 1 magari per Derek Jarman, o trasognata, per Max Ophuls). La più capricciosa casualità, un mattino di gelo viennese, avrebbe potuto benissimo far transitare sullo stesso tramway a cavalli il dottor Freud con il giovane «Loris» Hugo von Hofmannsthal, il riottoso Peter Altenbcrg con il riservato Anton Wcbern, Kraus con Schiele, Kokoschka con Schoenberg, Mahler con Otto Wagner e con Wittgenstein. Qualcuno si detestava reciprocamente, altri affettavano di non riconoscersi nemmeno, pochi si sarebbero scambiati un freddo cenno di saluto: forse soltanto un perplesso Freud avrebbe cautamente avvicinato lo psichiatra e narratore Arthur Schnitzler, come quando gli scrisse che esitava ad incontrarlo, perché aveva l'impressione che l'impietoso scrutatore di Morire e di Libelei fosse per lui una sorta di doppio, di Doppelgenger, che aveva troppo anticipato le sue nascenti teorie psicoanalitiche... E' probabilmente grazie ad un'idea come questa che è nata la seducente e ben concertata mostra Vienna 1900, che a fine gennaio lascerà il Centro Reina Sofia di Madrid per altre città della Spagna. Una mostra invidiabile e piuttosto organica: che con misurata esaustività e senza pedanteria, riesce nel succedersi delle varie sezioni (l'architettura e l'arte applicata, la musica e la pittura, la letteratura e il design del quotidiano) ad offrirci una credibile sintesi di quel mondo gonfio di turgore creativo ma capace ad un tempo d'inventarsi le linee essenziali e depurate di un sovrano decantamento estetico, quale oggi siam soliti riferire alle etichette di comodo di Secessione viennese, di Wiener Werkstatte, di Jugendstil fin di secolo, alle soglie del gusto déco e della dodecafonia (incredibile la coesistenza di Hoffmann e di Loos, di Otto Wagner nella sua radicale doppiezza, di Hofmannsthal e di Kraus, di Broch e di Wittgenstein, di Johann Strauss figlio e di Schoenberg, che pure adorava trascrivere i valzer viennesi in formazione da camera). Qui troviamo di tuttq, dalla minima borsetta da sera disegnata da Kolo Moser alla monumentale fantasia glaciale dell'Am Steinhof di Otto Wagner, o del Sanatorio Purkerdorf di Hoffmann. Si passa attraverso la leggendaria porta fosforescente di cristalli e di pregiati fregi metallici del Die Zeit, disegnata da Otto Wagner e si entra in un mondo che ci pare oggi miracolato: dov'è possibile brindare nei flùte immateriali di Hoffmann, passeggiare attraverso mobili prodigiosamente moderni e crudelmente sofisticati, lasciarsi sedurre dalle stoffe geometricamente più cerebrab' e dalle più frananti affiches klimtiane del Ver Sacrum e della Secession. Difficile, davvero, trovare una chiave di sintesi, un minimo comun denominatore che avvicini queste esperienze complici ma lontanissime nel risultato; salvo forse in quest'utopia - sostanzialmente realizzata - di pretendere dal creatore che si occu- passe non soltanto dei grandiosi progetti urbanistici ma anche dei più infimi dettagli d'oggettistica: dalla caffettiera, fulminante di modernità, al micro-scatolino marmoreggiato cui si dedicano due intelligenze in condominio come Kolo Moser e Hoffmann, al tabouret areato per la banca, cui si applica il genio disponibile di Otto Wagner. Al più si può pensare: beati quei sanatori, o quella cassa di risparmio, o quelle villette al risparmio (come il candido scatolino asettico, approntato da Loos per Steiner) in cui la vivibilità sembra essere comunque uno dei materiali primari. Ma soprattutto si ha modo qui, non tanto di recuperare una Vienna che in gran parte esiste an¬ cora, sia pure soffocata ed assediata dal postmoderno, ma di risalire al laboratorio stesso di questi vulcanici demoni dell'abitare, così rabdomanticamente vulnerabili al sismografo del gusto. Illuminante, per esempio, attardarsi fra i primitivi progetti dello Steinhof prima versione, godersi le varianti, i tortuosi percorsi della fantasia di Wagner: capace di passare dai progetti più meticolosi e miniati (come quello in stile senatoriale della canalizzazione del Danubio, con le varie figurette di passanti, sapientemente acquerellati) alla scioltissima grafia - stile Mendelssohn della Galleria Moderna, non realizzata. Anche Loos, il profeta dell'ornamento come assassinio, non rea¬ lizza molti dei suoi progetti: per esempio la post-modernissima costruzione a colonna del Chicago Tribune o l'avveniristico piazzale del Gartenbaugrunde, 1917, che assomiglia impressionantemente alla discussa torre del Carlo Felice di Genova. Ed è davvero emozionante entrare dentro quella macchina di morte e di contrazione drammatica che è la non-finita Decima di Mahler (è nota la sua fobia scaramantica di non poter superare la fatidica Nona beethoveniana); il frontespizio con l'indicazione Scherzo cancellato a matita blu, per gettarvi sopra, con grafia incerta ed ansiosa, la fatidica frase: «Il diavolo lo danza con me». «Dio mio, perché mi hai abbandonato?». «Follia, afferrami, ch'io sia dannato». «Annientami... in modo che io dimentichi di esistere, che io scompaia». E poi: «Per te vivere, per te morire, Almschi», «Mia lira»: riferite alla terribile Alma, che sta tramando una fuga con il giovane innamorato Gropius, il quale la fa «finalmente sentire donna» e che per un equivoco molto freudiano spedisce le sue lettere infuocate d'amore intestandole al «Direttore Mahler». Che non a caso si farà ricevere dal padre della psicoanalisi. Ma è tutt'un mondo che vive di scambi, d'intricati rapporti: Egon Schiele che ritrae Webern e Schoenberg, Schoenberg il musicista-pittore che dipinge l'amico Berg (bellissima la fotografia di questi alla finestra con sotto il suo «doppio» dipinto), Altenberg che sputa veleni su Kraus: «E' da tempo che hai rinunziato, per codardia, al cammino della verità, che ti rifugi nella menzogna! E' questa la tua amicizia? Tutto perché ti irrita che sia io a dirigere la rivista», Freud che si lamenta con Kraus del «caso Fliess» ma si rallegra che quest'occasione li abbia messi in contatto, ed ecco il numero di quattro cifre del telefono di Berggasse 19. Ed ecco il folle e geniale pittore Richard Gerstl, che vive praticamente nella «comune» Schoenberg, insieme agli Zemlinsky, diventandone una sorta di cantore ad olio: e che quando Mattoide Schoenberg si rifiuta di tradire il marito e di fuggire via con lui, si taglia disinvoltamente la gola nel salotto della casa del musicista, troncando a soli 25 anni la propria promettente carriera. In mostra ci sono alcuni suoi formidabili ritratti cupi ed irridenti, e soprattutto il suo impressionante autoritratto fauve dalla risata sgangherata e satanica. Ma ci sono anche altre interessanti presenze artistiche: per esempio i poco conosciuti paesaggi del Garda di Kolo Moser (più noto come grafico e come delicatissimo impaginatore di manifesti), molto simili a quelli di Hodler e vicini a Giacometti-padre (ima conoscenza del divisionismo di Segantini è documentata dalla bellissima rilegatura che lo stesso Moser realizza per una precoce monografia 1902 dell'italiano). Ci sono ben scelti Kokoschka, strazianti nudi di Schiele, insoliti ritratti di Boeckl, il cubisteggiante Quartetto per archi di Max Oppenheimer. Una mostra intelligentemente orchestrata si deduce anche dalle scelte ragionate, per esempio con un pittore inflazionato come Klimt. Ma qui tutto diventa arte: la grafia microbica e nevrotica del Lieder da Stefan George di Webern, o quella ansiosa e scomposta di Hugo Wolf per il Corregidor, gli ex libris edipici studiati per Freud, i guantini «in pelle di cigno» o il cestello d'argento che contiene due paste due di numero, la copia confezionata-in-casa della rivista Fackell o quella a mano di Girotondo di Schnitzler. All'uscita, come per un incantesimo della Storia, ci spia Sissy, sfuggente in un ritratto di Winterhalter, accanto ad una simbolica fotografia del corteo di Sarajevo, un attimo proprio prima del fatale sparo. Marco Vallora Fervore creativo dalle borsette all'architettura dei sanatori Psicanalisi e design musica e manifesti una complicità che porta a risultati rivoluzionari H Le Alpi di Courmayeur viste da Kokoschka (qui a fianco). Sotto, l'autoritratto di Egon Schiele «Faggeto», una delle opere più famose di Gustav Klimt. esposto per la prima volta alla XVII mostra della Secessione nel 1903. Sotto, Sigmund Freud

Luoghi citati: Courmayeur, Genova, Giacometti-padre, Madrid, Sarajevo, Spagna, Vienna