Tokyo sette giorni per una rivoluzione

r OSSiitVAfCrRiO Tokyo, sette giorni per una rivoluzione OMINCIA oggi a Toky" ìttimana cruciale. Infa. • s.ibato finisce la sessione Dieta, cioè del Parlamenti., e dunque entro cinque-sei giorni il primo ministro Hosokawa deve poter rovesciare il voto che, venerdì 21, ha bocciato la riforma elettorale, in vista della quale era nato in agosto il nuovo governo. Se Hosokawa non ce la fa, si apre una fase di estrema instabilità, con molti pericoli sia per la politica che per l'economia. La vicenda giapponese somiglia molto a quella italiana: per certi versi in meglio, per altri in peggio. In entrambi i casi, una democrazia bloccata, per quattro decenni, per la forza del partito di governo (i liberaldemocratici in Giappone, i democristiani in Italia), ma anche e molto per la debolezza dell'opposizione, poco credibile come alternativa (in se stessa e nel quadro internazionale). Come conseguenza, una classe di governo stagnante, sempre più portata a considerarsi immutabile e ad autoalimentarsi attraverso la corruzione. La vicenda giapponese somiglia in meglio a quella italiana perché il sistema, ancorché corrotto, ha funzionato molto bene, a suo modo: non solo il Giappone è diventato, come prodotto complessivo, la seconda potenza economica mondiale, ma si è creata una rete di servizi efficienti, l'ordine pubblico non è stato sfidato dalla criminalità organizzata e così via. Ma somiglia ancha in peggio, perché le resistenze della vecchia guardia, del vecchio assetto di potere, si sono rivelate più dure che in Italia: e, per dire, non c'è stata un'inchiesta tipo «Mani pulite», sono pochi i politici corrotti finiti in un'aula di tribunale. Il governo in carica è presieduto da una specie di Mario Segni nipponico, Morihiro Hosokawa, uscito dal partito di maggioranza per rinnovare il Paese e subito messosi alla testa di una coalizione di otto partiti, dopo le elezioni del 18 luglio, che per la prima volta avevano tolto ai liberaldemocratici la maggioranza assoluta. Obiettivo: una riforma elettorale e politica, attraverso l'introduzione di un sistema misto maggioritario-proporI zionale, la ridefinizione dei I collegi (per attenuare l'in¬ feudamento delle campagne alla parte conservatrice e clientelare), una legge sul finanziamento pubblico dei partiti e sui limiti delle contribuzioni (o «dazioni», come le chiama Di Pietro) ai candidati da parte delle imprese. Ebbene, questa riforma è stata bocciata in Senato, dopo essere stata approvata alla Camera. Ai conservatori passati all'opposizione si sono aggiunti franchi tiratori della nuova e composita maggioranza, tutti timorosi di non sopravvivere politicamente alle nuove regole. Hosokawa, in teoria, avrebbe già dovuto dimettersi, ma, forte della popolarità nel Paese, proverà a ottenere un nuovo e diverso voto, da qui a sabato. Se non ci riesce, le dimissioni sono inevitabili, e con esse nuove elezioni, che però si svolgerebbero con le vecchie norme. Ad aggravare il quadro c'è la crisi economica, che per la prima volta ha colpito il Giappone in profondità. Hosokawa aveva subordinato il piano di rilancio economico al varo della riforma politica, e ora è tutto fermo. Ne risentono anche i rapporti commerciali con gli Stati Uniti, ridiventati critici, come dimostrano i colloqui di ieri, a Tokyo, del segretario al Tesoro Bentsen. Che dire? Che tutto il mondo è paese? Sì, nel senso che ovunque è molto difficile rovesciare un sistema consolidato, rovesciarlo per vie democratiche. E, d'altra parte, questa è la differenza tra la democrazia liberale e gli altri regimi. Nel caso del Giappone bisogna ricordare, accanto a questa verità generale, certi effetti particolari, legati all'importanza dell'«arcipelago imperiale» nel quadro, tutto in movimento, dell'Asia orientale, così come in quello addirittura planetario. Insomma, come andrà a finire in Giappone, politicamente ed economicamente, riguarda da vicino non solo i giapponesi, ma tutti noi. Aido Rizzo :zo

Persone citate: Aido, Di Pietro, Hosokawa, Mario Segni, Morihiro Hosokawa