LUISA ACCATI: VI RACCONTO LE PERFIDE BORGHESI di Bruno Quaranta
LUISA ACCATI: VI RACCONTO LE PERFIDE BORGHESI LUISA ACCATI: VI RACCONTO LE PERFIDE BORGHESI dionale che ha il difetto di non essere «una signora» (pur possedendone «i modi disinvolti e sicuri»). Un'operazione condotta non lesinando cinismo, malvagità, filtri menzogneri, cui seguiranno nozze di maniera, votate alla noia. Maria Rinaldi, consuocera di Anna, ha in gran disdegno i doveri coniugali, si «liquefa» tenendo a bada il marito, l'ingegner Giulio, ne diffonde una falsa (riecco la menzogna) immagine libertina per camuffare l'autentico motivo della sua infelicità: il clima morale dov'è cresciuta, come caposaldo la certezza che «far l'amore è cosa da prostitute». «Ho, non sono io. Quasi tutti confondono» avverte Luisa Accati. Eppure la donna del quadro le somiglia, i capelli a crocchia, gli eleganti occhiali cerchiati di un colore autunnale, il volto abitato da una maturità armonica. «No, non sono io, è una creatura di Carlo Levi, zio di mio marito». Sulle pareti del salotto domina il segno caldo, aristocraticamente estroverso dell'intellettuale gobettiano: c'è il ritratto di Spazzapan, c'è Edoardo Persico con la bombetta, pulsano le nature morte. «La nostra casa torinese, la dimora liberty di via Bezzecca, era la sua. Speriamo un giorno di tornarci. Nostalgia di Torino? Sì, in particolare della laicità che la permea. E delle pa- Luisa Accati sticcerie». Studi dalle Domenicane, come si conviene alla buona borghesia subalpina, laurea in Storia del Risorgimento con Alessandro Galante Garrone, corsi di antropologia a Parigi, due passioni ottocentesche, Stendhal («A differenza di Flaubert e Proust si immerge nella pagina, contamina ed è contaminato») e Maupassant («Ad affascinarmi è la ferocia, la cattiveria in cui nuota»). E uno stile inglese, nel tratto, nei gesti, nel vestire, un po' scuola Bloomsbury, Virginia Woolf esclusa, beninteso: «La Woolf - l'io narrante è implacabile - mi è furi¬ bondamente odiosa. Non sopporto il rifiuto sostanziale del suo sesso, che emana da lei». Il sesso, un sentiero (o il sentiero?) del romanzo d'esordio di Luisa Accati: «Perché mi sono calata nell'universo femminile e cattolico? La cultura delle donne italiane ha un humus per eccellenza religioso: qui va cercata la ragione di non pochi comportamenti. Un'educazione fondata, ad esempio, sulla castità ispira un rapporto con i figli intenso, assoluto, illimitato. Meno "sto" con il marito più soffoco, schiaccio la prole». Non a caso la vicenda di Raffaele Albanese (che scorre parallela ad altre, o si interseca) ha «dettato» il titolo del romanzo: «Mi pare esemplifichi con speciale vigore la liaison dangereuse fra madre e figlio. Anna "usa", annulla, umilia Raffaele». Ma di non minore intensità (un'ottava sotto, al massimo) è la «caduta» di Piero Rinaldi: «La fiducia e il coraggio di riuscire a godere la vita senza allontanarsi dalla generosità accattivante di sua madre prima e di sua moglie poi, lo hanno perduto» concluderà la nipote, implacabile nell'identificare l'egoismo, i ricatti, i guinzagli, i cliché, i capricci che snaturano gli uomini di casa Rinaldi e di casa Albanese. Piero Rinaldi «amava la letteratura e la musica; amava il cinema, conosceva tutti i vecchi film e tutti i nuovi». «Sì, Il matrimonio di Raffaele Albanese qualcosa deve al cinema ammette Luisa Accati -. Penso a "Fanny e Alexandre" di Bergman, una galleria di tipi maschili severi e cattivi, di una severità e di una cattiveria figliate dall'insoddisfazione affettiva (un nobile femminismo dovrebbe proporsi di rivalutare l'affettività degli uomini, responsabilizzandoli, quindi). E penso al Bunuel di "Quell'oscuro oggetto del desiderio", il rebus intriso di ambiguità e di castità che zia Adelina riuscirà felicemente a risolvere». Sembra uscita dalle Due città di Mario Soldati, zia Adelina, la zitella che si diverte ad addomesticare la religione. Fin dalla giovinezza, quando interpretava il precetto «Vestire gli ignudi» a modo suo («era giunta alla conclusione che per poter vestire gli ignudi, bisogna prima spogliarli»). Via via che s'incanutiva «le lusinghe del demonio» mutavano: i giovani di bello e gentile aspetto cedevano il passo ai frutti canditi, ai marron glacés, al marzapane. Questi come quelli centellinati e delibati con garbo, grazia, misura. No, gli Albanese e i Rinaldi non conobbero la sua anticonformista soavità, forse neppure la invidiarono. Bruno Quaranta
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