I TRADITORI DI GORBACIOV di Sergio Romano

I TRADITORI DI GORBACIOV I TRADITORI DI GORBACIOV L'Urss vista da Giuliette Chiesa politica. Dopo avere cifrato e decifrato, con le sue favole esopiche, le angosce e gli umori della coscienza russa, gli intellettuali riponevano i ferri del mestiere e si preparavano a dare battaglia per la trasformazione e il rinnovamento del loro Paese. I cinque anni trascorsi da quel momento permettono un bilancio. Quale parte ha avuto l'intelligencija nelle vicende sovietiche e russe fra le elezioni del 1989 e l'assalto alla Casa Bianca nell'ottobre del 1993? Il libro di Giulietto Chiesa contiene due risposte. La prima è in un saggio di Gavrijl Popov («Agosto 1991») che l'autore, economista e sindaco di Mosca, pubblicò per la prima volta in quattro puntate sulle Izvestija dell'agosto 1992. La seconda è nel lungo commento polemico con cui Chiesa risponde a COME altre rivoluzioni russe anche la perestrojka fu una «rivoluzione dall'alto», concepita al vertice dello Stato e appoggiata da quei settori dell'apparato che conoscevano i vizi del sistema. Nella sua preparazione gli intellettuali non ebbero alcun ruolo. A parte la piccola pattuglia dei dissidenti il grosso dell'intelligencija visse e lavorò sino alla seconda metà degli Anni Ottanta con la stessa collaudata strategia di cui si era servita in passato: un po' di «esopismo» (il linguaggio allusivo e metaforico che gli intellettuali avevano imparato a usare sin dal Settecento), qualche timida sortita per tastare il terreno e conquistare piccoli margini di libertà, un accorto dosaggio di citazioni da Marx e Lenin per contrabbandare i suoi flirt con la cultura occidentale. La situazione accennò a cambiare quando Gorbaciov comprese che l'intelligencija poteva dargli una mano a smantellare le resistenze della nomenklatura e dette alle «Unioni», per ingraziarsele, qualche apprezzabile margine di autonomia corporativa. Comincia da allora la partecipazione degli intellettuali più coraggiosi e vivaci alla trasformazione politica e culturale del Paese. La prima grande tappa di quel processo fu Memoria!, un'associazione voluta da Andrej Sacharov per recuperare il passato perduto e riannodare i fili spezzati della storia nazionale. Nel 1989 - l'anno della riforma costituzionale e delle prime elezioni pluraliste - Memorial generò un movimento politico, Russia democratica, da cui sorse quel Gruppo parlamentare interregionale che divenne presto il primo «partito d'opposizione» del Parlamento sovietico. In un libro recante (Da Mosca: alle origini di un colpo di Stato annunciato, Laterza, pp. 168, L. 20.000) Giulietto Chiesa ricorda di avere proposto ai fondatori di Memorial, prima delle elezioni, un piccolo sondaggio di opinioni: quanti di loro sarebbero stati eletti? La domanda produsse «una reazione di ilarità collettiva» perché nessuno pensava di farcela. Si sbagliavano. «Qualche mese dopo - scrive Giulietta Chiesa - tutti i candidati presenti (...) sedevano nel palazzo dei Congressi, deputati del popolo dell'Urss, di quel popolo che essi avevano dimostrato di conoscere così poco». L'intelligencija era entrata in Popov e fornisce a sua volta un'interpretazione jiegli avvenimenti. ' » i * . Popov rievoca le delusioni degli intellettuali per i tentennamenti di Gorbaciov, la loro decisione di scendere in campo a fianco di Eltsin, l'improvvisa scoperta, dopo la fallita manovra autoritaria dell'agosto 1991, che l'intelligencija è poco adatta a sedere nella «stanza dei bottoni», la decisione di assumere verso la politica un ruolo più distaccato e «sacerdotale». Chiesa, a sua volta, li rimprovera di non avere capito la complessità dello Stato sovietico e degli interessi socioeconomici di cui era espressione, di avere adattato all'Urss astratti modelli di derivazione occidentale, di avere dato dure spallate alla traballante autorità di Gorbaciov senza pesare il risultato della loro politica. Così facendo, continua Chiesa, non presero il potere, ma distrussero l'Urss e permisero che la cosa pubblica cadesse nelle mani di nuove élite radicali, frettolosamente cre¬ UVENEZIA N'ANATOMIA della borghesia «rosa», piemontese e no, veleggiarne fra cose e anime di pessimo e di buon gusto. Ma eseguita con un bisturi perfidamente lieve, che incide, non squarcia, rischiara, non acceca. E' Il matrimonio di Raffaele Albanese (Anabasi, pp. 224, L. 25.000), imbastito da Luisa Accati, signora torinese che vive fra callette e campielli e insegna Storia moderna nell'Università di Trieste. Aspettando che Venezia indossi la maschera, Luisa Accati si prova ad andare oltre gli antichi veli. «Ho scelto di scrutare le donne della borghesia cattolica con occhiali letterari, dopo averle "visitate" scientificamente, un'inchiesta a Udine, durata quindici anni. Sentivo la necessità di stemperare tanto coinvolgimento. Anna Albanese e Maria Rinaldi, le protagoniste del libro, un romanzo antropologico, riassumono le numerose figure femminili incontrate nelle mie ricerche. Ma non solo: anche nelle letture e nel mondo domestico, fra Nord (padre biellese) e Sud (la napoletanità materna)». Anna Albanese dissipa le migliori energie nel tentativo (riuscito) di allontanare il figlio Raffaele da una ragazza meri¬ Giulietto Chiesa sciute intorno a Eltsin. All'origine del dissenso con Popov vi è la convinzione di Chiesa che lo Stato e l'economia sovietica fossero riformabili, che la via intrapresa da Gorbaciov potesse portare il Paese verso traguardi reali, non immaginari. Forte di questa premessa Chiesa mi sembra attribuire agli intellettuali democratici una colpa simile a quella commessa da Lenin nel 1917. Il leader bolscevico costruì la sua rivoluzione sull'assunto di un proletariato industriale che ancora non esisteva; gli intellettuali democratici costruirono la loro strategia innovatrice sull'esistenza di un gruppo sociale, i ceti medi, di cui nella società russa s'intravede, tutt'al più, una caricatura avida e spericolata. Il confronto è calzante, ma non sono certo che Chiesa abbia ragione quando sostiene che Gorbaciov aveva davvero un progetto riformatore ed era in grado di realizzarlo. Il suo progetto fu dapprima insufficiente, poi improvvisato, incoerente e fondato prevalentemente sull'opportunità di stare al centro fra le due ah estreme che egli stesso aveva suscitato con le sue riforme. Non cadde, fra l'agosto e il dicembre del 1991, perché l'intelligencija democratica lo privò del suo appoggio. Morì polìticamente squartato quando le due ah si allontanarono l'una dall'altra sino a rendere del tutto impossibili le sue acrobazie mediatrici. Se Chiesa non partisse da questa premessa - che l'Urss era riformabile - avrebbe maggior simpatia per lo stato d'animo degli intellettuali democratici fra il 1989 e il 1991, per il loro timore di perdere lungo la strada quella prospettiva di rinnovamento che il segretario generale aveva aperto con il Paese nella fase precedente, fra il 1986 e il 1989. Ma il suo severo giudizio sugli astratti velleitarismi dell'inteUigencija russa è per altri aspetti azzeccato. Questa «catilinaria» è appassionata, polemica, umorale, discutibile, ma scaturisce dall'interno della Russia e ne conserva tutto il sapore. Con un piccolo gruppo di corrispondenti soprattutto americani (David Remnick, Serge Schmemann, Celestine Bohlen) Giulietto Chiesa è uno dei pochi le cui cronache e analisi serviranno a comprendere la storia dei giorni - nel 1989, nel 1991, nel 1993 - che «sconvolsero il mondo». Sergio Romano