LA BIBLIOTECA DEL MILITANTE

LA BIBLIOTECA DEL MILITANTE LA BIBLIOTECA DEL MILITANTE Progressisti e conservatori: letture a confronto «Il mio maestro è stato Màrquez » » «Con Guareschi e Montanelli» LRIVALTA A faccia scavata di Pietro Valpreda nell'angolino in basso, lo strillo nero «130° migliaio!» dalla parte opposta: è un reperto storico della sinistra extra, La strage di Stato, libro-inchiesta su piazza Fontana e la morte di Pinelli, anonima, collettiva, tipo parole e musica del proletariato, come si leggeva sul 45 giri con l'inno di Lotta continua. Il libro salta fuori da un mucchietto che Nicola De Ruggiero, medico quarantenne, di origine napoletana, sindaco di Rivalta, ex città rossa della cintura torinese, eletto da pds, Ad e Rete, deve ancora sistemare nelle librerie della sua nuova villetta a schiera. «Letto e straletto», dice sorridendo e sfogliando le pagine piene di paragrafi segnati in rosso. Lo lascia cadere e fra Come si fa una tesi di laurea di Eco e Come salvarsi la vita di Erica Jong pesca un altro cult-book degli Anni Settanta: Padre padrone: l'educazione d'un pastore, il romanzo di Gavino Ledda, cinematografato dai fratelli Taviani, per i lettori di sinistra metafora della rivoluzione generazionale che vide i figli ribellarsi alla cultura dei padri, arcaica e oppressiva. Siamo venuti a vedere la biblioteca della nuova classe politica di sinistra. Nelle case degli amministratori pubblici o funzionari di partito del pei trovavi una volta il Che fare di Lenin, la biografia di Marx e l'antologia di Gramsci regalate agli abbonati dell'Unità, la Storia del pei di Paolo Spriano, la Storia della Resistenza di Roberto Battaglia, e anche un po' di narrativa impegnata: La ragazza di Bube di Cassola o La giornata di uno scrutatore di Calvino, qualche vecchia edizione di Metello, naturalmente qualche titolo di Pavese. Erano i documenti di una educazione civile, prima ancora che di una formazione politica. E adesso? Su che libri si sono formati i nuovi dirigenti della sinistra? Non scienza della politica, né filosofia, né economia sugli scaffali del sindaco di questa cittadina di diciottomila abitanti, dove la Fiat vuole spostare la produzione dell'Alfa. Niente storiografia, salvo un vecchio testo sull'Italia dal fascismo al Quarantotto, di Franco Catalano, storico amato dai giovani extraparlamentari. Non vedo neanche quella romantica cronaca della rivoluzione d'ottobre che è I dieci giorni che sconvolsero il mondo di John Reed. Tutto sepolto sotto la macerie delle ideologie? «Quando stavo nel "manifesto" e nel pdup, li leggevo i libriccini di politica e di economia degli Editori Riuniti. Chissà dove sono finiti: io sono cresciuto a Napoli, ho fatto l'università a Roma, da dieci anni sto qua, sono divorziato, tante cose si sono perse. Però è vero che i libri |1 un piccolo libro dalla co/ pertina di color sommesso, appena un poco più chiaro di quelli del- I l'antica indimenticabile Bur. Il titolo è Bonus Malus. Al posto giusto, in basso, dove di solito è impresso il nome dell'editore, si legge: «per cura e a spese dell'autore». In alto spiccano il nome e cognome dell'autore, e qui sta la sorpresa: Geno Pampaloni. Pampaloni è il più grande critico letterario italiano che rispetti la tradizione e, insieme, non sia insensibile al nuovo. Ovvero sappia capire il nuovo, e, quindi, combatterlo o incoraggiarlo. Che, a settantasei anni, si sia pagato la pubblicazione come un autore esordiente timoroso di rivolgersi agli editori conclamati, è un tratto di squisitezza toccante e di felice orgoglio, per cui chi riceve questo omaggio è già gratificato nel leggere: «Finito di stampare per i tipi della tipografia Aurora in Firenze nel mese di ottobre 1993 edizione fuori commercio numerata da I a 300». Ma la gratificazione aumenta perché in questo piccolo libro è contenuto un racconto, anzi un racconto d'amore straordinario per nitore e fascino. Una settimana dell'ottobre 1938, l'anno del faticoso rinvio della seconda guerra mondiale. II ventenne P. è stato invitato a Udine da Fabio Gopetti nominato da pochi mesi segretario dell'Istituto di cultura fascista di Udine. I due si erano conosciuti l'anno prima a Pisa all'esame di ammissione alla Scuola Normale. Erano diventati amici nel culto delle Confessioni di Ippolito Nievo e soprattutto della bella Pisana. P., che quasi non riusciva a parlare con gli amici di Grosseto, da cui proveniva, che in politica si andavano indirizzando verso l'antifascismo dopo esser cresciuti nel fascismo e in amore erano almeno a parole truculenti e sboccati come cacciatori vanagloriosi, si era trovato improvvisamente a sfogarsi con l'affabile fascista Copetti: «La Pisana», si era sorpreso a dire, «è peccato e innocenza. Se uno si pone sul versante ottocentesco, è l'innocenza del peccato. Ma se uno si pone sul versante del Novecento è qualcosa di più inquietante, è il peccato dell'innocenza...». All'esame per l'ammissione alla Normale P. era passato, Copetti, no, ma non aveva perso il buonumore. Se n'era tornato volentieri a casa e aveva organizzato con il Sindacato Artisti la mostra di un gran Maestro e aveva colto l'occasione per invitare a spese del Sindacato anche P. la cui famiglia era amica di quella del Maestro. Per P. così si compirà, mentre risuonano gli altoparlanti di discorsi di Mussolini su pace e guerra il 20 a Udine e il 26 a Verona, un'avventura esistenziale e ideologica. Il primo vero incontro d'amore, alla vigilia della guerra un'autentica iniziazione, per lui frequentatore solo di bordelli, da parte di una bella signora sposata all'erede fannullone di una famiglia d'industriali, mobilitato per ignavia (come soldato semplice) in un reggimento di stanza in Calabria. Un'esperienza fondamentale illuminante il futuro. Bonus Malus. L'ambigua parola del destino. «Aveva davanti agli occhi un barbaglio misteriosamente aperto sull'avvenire. Seppe con certezza che presto sarebbe scoppiata la guerra, che anche l'Italia sarebbe stata ferita da lutti e rovine, ma che lui ne sarebbe scampato per custodire il più a lungo possibile dentro di sé il ricordo di quei giorni d'amore». Un tempo della storia d'Italia scritto con candore da un grande critico per fedeltà a un'emozione di mezzo secolo fa. Flores d'Arcais CONSIGLIO 1 PENSATORI CRITICI DA MONI/VIGNE A TOCQUEVILLE y-i I ITALI autori dovrebbero I I trovare posto nella biblioI I teca del buon progressista? I I «La mia risposta è che A/J ognuno legge quello che V vuole, secondo i propri interessi e tendenze. Un progressista si giudica da ciò che fa non da ciò che legge - risponde Paolo Flores d'/^ais, direttore della rivista di sinistra Micromega -. Perché si rischia altrimenti di nobilitare con etichette culturali, tipo la cultura liberal-socialista o liberal-democratica, basse operazioni fra marpioni della politica. Detto questo, io posso ricordare i libri che sono stati importanti nella mia formazione. Innanzi tutto, se si era critici verso la società non si poteva non essere anche marxisti, ma la ...:a fort'.ma è stata di conoscere il marxismo attraverso Trockij e Rosa Luxemburg piuttosto che Lenin o lo stesso Marx. Poi considero importantissimi, fra i primi critici importanti, anche politicamente, per me sono stati altri: per esempio i romanzi dei narratori sudamericani. Anche perché ho fatto il venditore per la Feltrinelli e li potevo acquistare con lo sconto. Eh sì, per la mia generazione erano dei testi politici. Mi ricordo quando Garcia Màrquez presentò uno dei suoi romanzi e io me ne stavo fuori, tutto emozionato, con il mio bancarello». Eccoli lì, tutti in fila, i sudamericani d'oro della Feltrinelli, su uno scaffale dello studio: il capolavoro per antonomasia, Cent'anni di solitudine di Garcia Màrquez, e le storie violente di Manuel Scorza, prime fra tutte, Rulli di tamburo per Rancas e Storia di Garabombo l'invisibile, mentre non vedo, né De Ruggiero ricorda, La città e i cani di Mario Vargas Llosa, 1967, diventato uno dei vangeli sessantottini. Di quell'anno c'è invece Cambio di pelle di Carlos Fuentes, «ma in realtà non mi è piaciuto molto». Quella per la narrativa sudamericana è una passione di lunga durata, che arriva fino alla Casa degli spiriti e D'amore e ombra di Isabel Allende, la nipote del presidente cileno vittima di Pinochet. Un altro filone feltrinelliano che sopravvive è quello della medicina alternativa: ecco lo sfogliatissimo Manuale critico di psichiatria di Giovanni Jervis, 1975, uno dei padri nobili dell'antipsichiatria, poi ritrattosi «in gran dispitto», ed ecco l'esplosivo Bambino dalle uova d'oro di Elvio Facchinelli, 1974, psicoanalista milanese fuori dagli schemi, precocemente scomparso. Tra un paio di volumi di storia della medicina, di Le Goff e di Cosmacini, spuntano le copertine nere di Malaria urbana, di Giovanni Berlinguer, 1974, e Per una medicina da rinnovare, di Giulio A. Maccacaro, 1979, leader storico della «medicina di classe». Una libreria a vetri conserva i libri del cuore, «quelli cui uno è più affezionato». Due «Meridiani» Mondadori: Natalia Ginzburg, Opere, ed Eugenio Montale, Tutte le poesie. Poi Baudelaire, I fiori del male, e due libri Guanda: Gibran Kahil Gibran, Il profeta, e Prévert, Poesie. Vedo un Rimini di Tondelli, «bellissimo!», il vecchio Boll di Opinioni d'un clown e tutto Eduardo, che «veniva a parlare al mio liceo», nei «Millenni» einaudiani. Lì a fianco il libro più letto: Il Gattopardo, nella versione conforme al manoscritto, rilegata in stoffa, comprato a metà prezzo su una bancarella. Perché II Gattopardo! Perché è un simbolo della politica italiana? No, «perché è la Sicilia, cioè il Meridione, il caldo, i tempi lenti, qualcosa che non ho conosciuto e che mi attira moltissimo». Ma uno degli ultimi volumi acquistati è una nostalgica riedizione: Il vangelo secondo Charlie Brown, di Robert L. Short. La sinistra al governo è anche Linus, perché no? Paolo Flores d'Arcais direttore di «Micromega» dello stalinismo, Ante Ciliga e Victor Serge. Se guardiamo ai classici credo che si debba recuperare tutta la tradizione dei pensatori critici, da Montaigne a Hume e anche a Tocqueville, non letto però nell'interpretazione dei conservatori. 0 addirittura prima Guglielmo di Occam, invece che Tommaso. Poi Max Weber. Poi Hans Kelsen. Quindi due autori di questo dopoguerra che io ritengo essenziali in campo filosofico, Albert Camus e Hannah Arendt, anche se Sartre considerava il primo un filosofo dilettante, mentre la Arendt non era neppure presa in considerazione. Infine, tra i pensatori della mia generazione, il più interessante è Maicel Gauchet. Purtroppo dalla Francia arrivano in Italia soprattutto le mode, per cui si fanno conoscere delle nullità intellettuali come Bernard Henry-Lévy, mentre si .ìorano i pensatori originali». II Giornale l'ho comprato tutti i giorni. Adesso, naturalmente passerò alla Voce. Con Montanelli mi sono trovato quasi sempre d'accordo. Su tutto». E con Giulio Andreotti? Vedo infatti due bei volumoni del democristiano più longevo: La sciarada di Papa Mastai, 1968, e Autoritratti. De Gasperi e il suo tempo, 1969. «Ma guarda, ci sono anche dei libri di Andreotti», fa il sindaco come se ne avesse smarrito il ricordo. «No, non mi entusiasmava. Io, poi, sono laico. Li ho letti perché mi appassiona la storia». Dal mobile in tek, intanto, tira fuori la narrativa: un «com'eravamo» delle patrie lettere, altro che tre Italie. Si parte da lontano, da storie popolari come II dottor Antonio di Giovanni Ruffini, si passa per II quartiere di Pratolini e L'airone di Bassani, s'incontrano via via un Piovene, Le stelle fredde, due Cassola, La ragazza di Bube e Paura e tristezza, un Flaiano, Il gioco e il massacro, due Arpino, Il buio e il miele e Anima persa, un Moravia, Io e lui, due Tobino Le libere donne di Magliano e Sulla spiaggia e al di là del molo. Ci sono anche Gianna Manzini con II cielo addosso. Alba De Céspedes con La bambolona, un paio di «Corani» einaudiani come Todo modo di Sciascia e Il meridionale di Vigevano di Mastronardi, infine anche Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini. «Questo è bello», dice porgendomi Koto di Kawabata. «E questo è bellissimo», aggiunge mettendomi sotto gli occhi Gli uomini di mais di Asturias. Mentre del voluminoso Papillon di Charrière, reso famoso da Steve McQueen e Dustin Hoffman, borbotta fra i denti: «Bè, insomma, una favoletta». Poi un best-seller del dissenso sovietico: Il primo cerchio di Solzenicyn. Tra le novità, due Forattini, «ma non è Guareschi». In fondo allo scomparto un volumetto verde: Grazia Deledda, quattro romanzi, Utet 1964. «L'avevo comprato perché lei ha abitato qui. Non lo sapeva? Aveva sposato un Madesani di Cicognara, che faceva affari con le canne palustri. Non si ha idea di quanti usi industriali si fanno delle canne palustri: per la coltura dei bachi, nell'edilizia, per le stuoie. Comunque io non sono mica un intellettuale. Preferivo leggere invece che guardare la televisione. Per me i libri sono stati una conquista del benessere. Da ragazzo non potevo permettermeli. Mio padre era bracciante: lavorava i campi degli altri a compartecipazione, che voleva dire quattro parti al padrone, la quinta parte a noi. Studiavo su libri in prestito: solo una volta mi comprai un manuale di ragioneria usato. Facevo ogni giorno 15 chilometri in bicicletta avanti e indietro per frequentare la scuola e durante le vacanze lavoravo i campi. Non sono un intellettuale. E' sicuro di essere venuto dalla persona giusta?». BVIADANA ISOGNAVA forse arrivare nella Bassa, fra le nebbioline che serpeggiano dal Po, per trovare nella bibliotechina di un esponente della nuova classe politica la vecchia copertina gialla e nera, con silhouette di donnina Bella Epoque, di un capolavoro di comicità: Il destino si chiama Clotilde, fuoco d'artificio di Giovannino Guareschi, che ancor più di Don Camillo conquistò negli anni belli Sergio Parazzi, dirigente d'azienda in pensione, sindaco della Lega a Viadana, sedicimila abitanti, ricco centro di piccole industrie, sprofondato in fondo alla campagna mantovana. Accanto a Clotilde, sono ammonticchiati diversi altri volumi guareschiani. «Ero un assiduo lettore del Candido ed un fedele ammiratore di Guareschi - racconta Parazzi -. L'ho visto in diverse occasioni, senza conoscerlo di persona. D'altronde era di queste zone. E di là del Po, nel Comune di Brescello, girarono il film, con Fernandel e Cervi». Se i nuovi dirigenti politici della sinistra si sono formati sui libri sessantottini, qual è invece il percorso di letture degli uomini che vengono a galla nello schieramento moderato? Guareschi è logico, soprattutto per gli anziani: è il mangia comunisti, con i suoi trinariciuti e contrordine compagni: «Sì, io sono sempre stato d'idee anticomuniste», dichiara Parazzi. Però sotto Guareschi salta fuori Mazzolari: il diario La Pieve sull'argine e il romanzo L'uomo di nessuno, di don Primo Mazzolari, prete antifascista, anch' egli di queste parti. «Quella era la sua canonica, assaltata dai fascisti, neanche duecento metri da qui - dice Parazzi, aprendo la finestra -. Lui lo conoscevo bene, ho sentito le sue prediche». Ma guardi che è un patrimonio della sinistra cattolica, Mazzolari lo legge Martinazzoli non Bossi: «Quando prendeva posizioni populistiche, non è che fossi d'accordo. Però era una persona pulita, un cristiano, uno tutto d'un pezzo. E questo mi fa perdonare il suo populismo». A ben guardare, non c'è contraddizione. L'Italia che si rimbocca le maniche, l'Italia nata nelle campagne, può tenere insieme anche Guareschi e Mazzolari: il cemento è una concezione dell'onestà individuale che si traduce in diffidenza per la politica di mestiere: «La politica non mi ha mai attratto - ripete Parazzi -. Sono un amministratore non un militante». Ma quali sono ì libri che hanno contribuito a formare più direttamente le idee politiche di questo leghista tranquillo? Mi mostra i rizzoliani volumi in brossura dell'Italia della Controriforma e dell'Italia giacobina di Indro Montanelli. «Lo leggevo sul Corriere e anche sulla Domenica, quella con le copertine prima di Beltrame e poi di Molino. i