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Prossimamente Prossimamente EINAUDI E GALASSO SI CONTENDONO EVOLA ^v~|UESTIONE di cromosomi fi I culturali comuni o coinciI E dcnza? Comunque una guI I stosa occasione di tam tam Y I editoriale. Perché i protagoV nisti della chiacchiera sono Giulio Einaudi e Roberto Calasso. Il luogo: la romana libreria antiquaria Al Vascello. La story: come d'abitudine quando stanno nella capitale, entrambi sono passati, poco tempo fa, dalla boutique di via Dezza: un'occhiata ai nuovi arrivi, un'altra al catalogo. Il Papa dello Struzzo ha fermato la propria attenzione sul foglio numero 29, volume numero 106, autore Julius Evola, titolo II fascismo. Saggio di una analisi crìtica dalpunto di vista della Destra, editore Volpe, 1964, lire 35.000, prima edizione. Acquisto immediato. Al boss dell'Adelphi non è rimasto che portarsi via il volume successivo, il numero 107; stesso autore, stessa opera, ma in una seconda edizione del '70 corredata di un'appendice di Note sul Terzo Reich, il tutto per sole 25.000. Gli elementi straordinari di questa «scorreria», all'apparenza minima, sono due. Primo elemento: tutti sanno clù è stato Julius Evola, dadaista geniale nei Venti e poi teorico estremista della destra europea, feroce antisemita, l'uomo che sosteneva: «Libertà e democrazia sono doni del diavolo giudeo», giudicato «un razzista così sporco che ripugna toccarlo con le dita» anche da Furio Jesi nel suo saggio «La cultura della Destra», appena ristampato, tra le polemiche, da Garzanti. Secondo elemento: Einaudi e Calasso hanno fatto la loro «operazione» quasi contemporaneamente ma separatamente e, di certo, senza sapere l'uno dell'altro. Come «leggere», in prospettiva futura, questa scelta da parte di due uomini così importanti e diversi (tanto?) della nostra scena editoriale? Di sicuro per Giulio Einaudi, oltre all'indomabile curiosità intellettuale, la convinzione, è persino superfluo sottolinearlo, che sui misfatti anche culturali del fascismo nessuno potrà mai saperne abbastanza. Altrettanto vale, senza nessun dubbio, per Roberto Calasso. (E l'ombra di lieve destrismo sulla sua Casa, tutta da provare, non ha nulla a che vedere con tutto ciò). La domanda, invece, è: non sarebbe utile, in un momento come questo, far conoscere anche al grande pubblico nel debito contesto un documento di tale demenza? Che ci riguarda così da vicino? Giuria leghista per il Chiara? Colpo di mano leghista attorno al Premio Chiara, nato cinque anni fa e vinto sinora da Rugarli e Lodoli, Zucconi e Silvana La Spina? La vecchia giuria presieduta sino all'altro ieri dal napoletano Michele Prisco e che, per quanto riguarda gli scrittori comprendeva, oltre a Fernanda Pivano, anche il «barese» Raffaele Nigro è stata, senza preavviso per nessuno, spazzata via dalla giunta comunale di Varese su proposta dell'assessore alla cultura Gottardo Ortelli che ha già nominato i nuovi giurati. Assolutamente di tutto rispetto: Sebastiano Vassalli, Marta Morazzoni, Guido Almansi, Paola Capriolo, presidente Giovanni Mariotti. Ma tutti «nordici». Unico rimasto, nel suo ruolo di segretario, è Federico Roncoroni perché incaricato a suo tempo da Piero Chiara di occuparsi di tutta la sua produzione letteraria edita e inedita. Tuttavia Roncoroni non ha per ora accettato ufficialmente, d'accordo con Prisco che insieme a Nigro lamenta con signorilità: «Potevano benissimo sostituirci, ma con un po' di stile. E anche i nuovi giurati potevano almeno darci un colpo di telefono, un saluto, dopo tanto lavoro...». Roncoroni si riserva di interpellare il figlio di Chiara, Marco (ricco e felice pendolare tra la Lombardia e New York): «Se davvero questa risultasse una manovra razzista, saremmo pronti a togliere il nome di Chiara al premio, anzi a | farne rinascere uno nuovo, con respiro nazionale». Mirella Appiotti
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