LA MAREA PASOLINI di Masolino D'amico

LA MAREA PASOLINI LA MAREA PASOLINI / versi di «Bestemmia» : ma pochi diventano tragedia NELLA prefazione alla raccolta che si definisce di «tutte le poesie» di Pasolini, Giovanni Giudici parla di «marea poetica» che si riversa sopra il lettore: e si tratta, infatti, di 2350 pagine di versi, editi e inediti. C'è subito da dire che i criteri dell'edizione, sempre che di criteri si possa parlare, non aiutano per nulla ad affrontare tale diluvio poetico, che pur contiene la testimonianza e le prove di un poeta fondamentale della seconda metà del nostro Novecento: anzi, ci si trova di fronte a una certa confusione. Le raccolte pasoliniane sono messe l'una dopo l'altra in ordine cronologico, ma soltanto per quel che si riferisce ai volumi che vanno da La meglio gioventù, del 1954, a La nuova gioventù, del 1975, quest'ultima ristampa con l'esclusione della parte che riproduce pressoché alla lettera la prima raccolta. Ma, dopo, ci sono tutte le altre raccolte poetiche che Pasolini ha pubblicato prima de La meglio gioventù. E proprio non si capisce perché non siano state collocate nella loro esatta posizione cronologica, onde meglio chiarire l'itinerario poetico di Pasolini, fra poesia in friulano e poesia in lingua, liricità, confessione, pateticità, meditazione, coscienza inquieta di sé e del mondo, confronto, infine, a partire da L'usignolo della Chiesa cattolica e soprattutto ne Le ceneri di Gramsci e dopo, con la storia, con le idee, con la società, col mondo. Né si dice come i testi pubblicati nelle raccoltine a partire dalle Poesie a Casarsa del 1942 siano, poi, confluiti nei volumi maggiori. Le poesie disperse, poi, ogni tanto propongono al lettore la sorpresa di trovarsi di fronte non a testi diversi da quelli dei libri, ma semplicemente davanti a varianti; né manca l'altra sorpresa di trovare componimenti alquanto inconditi, pur dopo che il curatore Walter Siti nella premessa ha dichiarato di aver lasciato da parte quei testi che gli sono apparsi troppo provvisori. E', quest'ultimo, proprio il caso del testo che ha l'onore (immeritato) di dare il titolo all'intero corpus poetico di Pasolini: Bestemmia, non riprodotto integralmente, ma soltanto nelle parti più elaborate, senza, tuttavia, l'indicazione di quanto Pasolini aveva progettato per concluderlo. E già che ci sono, anch'io, come altri, non trovo abbastanza giustificata da una lettera di Pasolini a Garzanti la scelta del titolo Bestemmia per l'intera raccolta delle poesie IL sesto romanzo nonché primo tradotto in italiano di David Malouf (n. 1934), illustre scrittore australiano di ascendenze ebraico-sefardite, prende spunto da un caso autenticamente avvenuto nel Queensland intorno alla metà del secolo scorso, quando riapparve un giovane inglese il quale dopo molti anni trascorsi presso una tribù di aborigeni aveva pressoché dimenticato perfino la sua lingua. «Non sparate», furono le sue prime parole, «I am a British object» (invece che «subject»), ossia, «sono un oggetto» (invece che «un suddito») «britannico». Gemmy, così si chiama il reduce, viene ospitato dalla famiglia di coloni che per prima lo ha visto sbucare dalla macchia, simile a un selvaggio perfino nei lineamenti del viso, forse modificati dall'usura dei denti a forza di mangiare il cibo dei neri, oppure dalle contorsioni effettuate per parlare come loro. Gemmy, vedi l'allusione nel titolo, è ora un uomo privo di idioma, perché quello degli in¬ pasoliniane, dal momento che, in ogni caso, Pasolini proponeva tale titolo soltanto per la publicazione complessiva delle principali raccolte edite. Aggiungo, tuttavia, che il titolo ha un suo senso nella titolistica pasoliniana accanto a Lettere luterane e a Empirismo eretico, come indicazione immediata e clamorosa della propria diversità ideologica rispetto a istituzioni religiose, civili, politiche, partitiche, anzi più ancora come protesta radicale e opposizione. In questo senso è da interpretare Bestemmia, che, poi, nel testo che ha lo stesso titolo e che non sarebbe per nulla comparso nella raccolta progettata da Pasolini, non è che un altro nome, più scandaloso, di Stracci, il protagonista della cinematografica Ricotta. La lunga premessa non intende passare sotto silenzio o quasi quello che, di fronte a Tutte le poesie di Pasolini, è il problema fondamentale: quanto, cioè, di esse è tuttora vivo e vitale e significativo e qual è il senso complessivo di così accanita scrittura in versi, tale da dimostrare che Pasolini stesso era ben consapevole che, a malgrado degli altri numerosi generi letterari sperimentati e del cinema, sulla poesia in versi giocava le sue vere carte. E' subito da dire che, in qualunque genere poetico si provi, Pasolini sa mettervi il segno di una straordinaria personalità, che esprime una capacità unica di variazione manierista sulle diverse forme assunte da tradizioni recenti e remote, anche in virtù di un'intelligenza critica tanto bene nutrita dalle suggestioni di Contini per la letteratura e di Longhi per le arti figurative. Così i versi in friulano costituiscono l'esempio originalissimo dell'idea del- dialetto come linguaggio eminentemente, anzi esclusivamente poetico, in quanto legato con la terra e con la madre e l'infanzia, la vera lingua vergine e pura, in opposizione all'italiano usurato e greve di memorie letterarie. Nei Diarii, ne I pianti, in Dal diario, in Roma 1950, nel Sonetto primaverile, nelle sezioni più remote de L'usignolo della Chiesa cattolica la capacità di ricezione di modelli e di forme, che è tipica del manierismo di Pasolini, lo conduce a essere il migliore fra i tardoermetici e i «lirici nuovi» del dopoguerra, quello più estatico, più limpido, più appassionato, più puro come lingua e come verso, in grado di scendere, al tempo stesso, più a fondo nei sensi e nell'anima, a sondarne e rivelarne i segreti palpiti e le tentazioni più sottili. L'usignolo arriva fino a coniugare ideologie (Marx e Cristo) e liricità, quale preludio a ginaria e felice perché inconsapevole, il popolo, contro Gramsci e l'impegno della trasformazione degli uomini nella storia. E' un tema drammatico e potente; e anche il solito manierismo, che gli detta l'uso della terzina pasccliana di andamento narrativo, più o meno regolare e rimata, qui è in funzione della forza esemplare dell'invenzione poetica. Dopo, Pasolini finisce a perdere via via la cura formale e a correre dietro tutte le occasioni di fare versi, anche di quelle più fragili della cronaca, con una fretta che lo conduce a mettere insieme filze sempre più ampie ed effuse di versi liberi (o quasi), di andamento discorsivo, raziocinante, espositivo, senza più misura e ordine, che il trascorrere del tempo e la dimenticanza dei fatti che li dettarono hanno portato allo stato di materiali per eruditi. Ne L'usignolo Pasolini aveva presentato se stesso come il San Sebastiano legato nudo alla colonna, esposto al lancio di frecce da parte dei soldati, e anche come il Cristo crocifisso, torturato e irriso. Ebbene, dopo Le ceneri di Gramsci Pasolini si riveste pressoché esclusivamente di tale parte: la vittima sacrificale, oggetto di tutte le persecuzioni, colui che è sempre sulla scena a mostrare le sue viscere ulcerate, le sue pene infinite del corpo e dell'animo, mentre, al tempo stesso, assume l'altra parte, quella del vate. La religione del mio tempo, Transumar e organizzar e Poesia informa di rosa, oltre a molti dei versi dispersi e inediti, sono la testimonianza di tale continua lamentazione, sempre più lagnosa, e della contemporanea pretesa di rinnovare i fasti dei vati antichi e moderni (Foscolo, Carducci ecc.): di essere il poeta compianto e dolorante e il poeta che parla per tutti e di tutto, privilegiato nella sublimità del dolore e nella delega a parlare senza limiti e misura e discrezione. Giudici parla di Pasolini come «poeta tragico», ma non coglie la verità. Per giungere alla tragedia a Pasolini mancano le capacità di oggettivazione, il distacco, il rigore, il senso dell'universale destino, il sacro come mistero, e troppo patetico cola da troppi suoi versi e anche troppa oratoria per di più incondita li aduggia. Resta una personalità d'eccezione, ma resiste soltanto una parte non troppo estesa del suo invece estesissimo libro di versi. Giorgio Bàrberi Squarotti Pier Paolo Pasolini Le ceneri di Gramsci, che sono uno dei libri poetici fondamentali del nostro Novecento per la perfetta compenetrazione di slancio del cuore e meditazione politica e storica, di amore del primitivo e dell'istintivo e coscienza delle ragioni della storia. Pasolini vi propone la sua contraddizione di fondo, quella con cui fino a quel momento ha combattuto e che ora accetta, fra le ragioni del cuore e gli obblighi della ragione; e sceglie il simbolo della natura ori¬ Pier Paolo Pasolini Bestemmia. Tutte le poesie a cura di G. Chiarcossi e W. Siti pp.XXX-2406, L. 140.000 tato anziano uomo di governo, visita Brisbane allo scopo di sedare un altro caso di intolleranza cieca e insensata, a far le spese del quale stavolta è un tedesco, che dato il clima bellico benché naturalizzato australiano è emarginato e addirittura condannato all'esilio e alla confisca dei beni: il mondo non cambia mai. Incuriosito dalla sorte di Gemmy, vari anni prima lo statista aveva cercato la tribù presso la quale costui era presumibilmente tornato; ma i superstiti del piccolo nucleo, attaccato dai pionieri, si erano dispersi, e fra le ossa delle vittime di quella aggressione non era stato possibile riconoscere con certezza quelle dell'«oggetto britannico» tornato dalla sua vera gente, o se vogliamo, dai suoi autentici «vicini»; almeno secondo la definizione del Vangelo. Masolino d'Amico David Malouf Ritorno a Babilonia trad. Franca Cavagnoli Anabasi, pp.220. L. 25.000

Luoghi citati: Babilonia, Brisbane, Roma