La grandeur dell'Egitto di Enrico Benedetto

La grandeur dell'Egitto Da oggi in mostra al Louvre due secoli di scoperte La grandeur dell'Egitto I Faraoni, storia d'un mito moderno PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Una sfinge monumentale in pohstirene, realizzata nel 1987 per il «Giulio Cesare» di Haendel, accoglierà stamane i visitatori che inaugureranno la grande mostra suU'Egittomania al Louvre. Le opere originali esposte sono oltre 300, in provenienza da 70 musei francesi e numerose collezioni estere. Uno sforzo monumentale, che ben testimonia l'immenso fascino che le antichità egizie esercitarono tra il 1730 e il 1930 sull'Europa e il Nuovo Mondo. Figurachiave, il Napoleone imperatore (o neo-faraone?) che trasferì per qualche tempo sul Nilo nel 1798 la sua grandeur espansionista. Quella colonizzazione doveva rivelarsi feconda e sopravvivere a Bonaparte nell'immaginario europeo. Sfingi, piramidi, geroglifici erano ormai «cosa nostra» per il vecchio continente. Il quale, non pago di immergersi nella grande avventura archeologica (e, talora, nella spoliazione sistematica) iniziò a «copiare». Fu proprio l'Egitto che varò l'era moderna del gadget. La dinosauromania spielberghiana, con t-shirt, portapenne, cartelle... trova un autorevole antenato sul Nilo. «Sì, con una differenza: i dinosauri passeranno di moda, l'amore per l'universo egizio no» spiega Jean Leclant. E' almeno dal 1973 che il celebre egittologo francese oggi settantaquattrenne coltiva ricerche parallele sulle fortune di Cleopatra 8- C. nella civiltà occidentale. Che siano i monumenti funerari in stile esotico al Pére Lachaise o le fontane parigine dal sapore nilotico, il fenomeno l'appassiona. «La mostra - osserva - esplora un periodo lungo ma non esaustivo. Pensiamo al Rinascimento, quando Marsilio Ficino e non solo lui idolatravano i misteri egizi. Culla del revival fu proprio l'Italia. Principi e cardinali tennero volentieri la prima linea. Si lasciavano sedurre, come oggi i turisti. E la fascinazione proseguì in epoche e regimi diversi, traversò senza scosse le fratture della storia e i crinali ideologici, accomunando per un mezzo millennio rivoluzionari, conservatori, aristocratici, borghesi, massoni, uomini di Chiesa». Successo che oltrepassa quasi ogni frontiera. «In un secondo tempo l'esposizione emigrerà a Vienna e non per caso» afferma Leclant: «Gli austriaci sono pieni di souvenir egizi '800. Ma anche in Russia possiamo visitare castelli dalla chiara influenza architettonica orientale». «Che siano paccottiglia, manufatti o palazzi, che vi sia del kitsch, è indubbio. Anzi, a ben vedere il Louvre non mette in scena null'altro. «Sarebbe arduo far rivivere la grandiosità faraonica prescindendo da testimonianze e opere un po' grottesche. Lo studioso non può che rallegrarsene». Il gusto per l'effimero soggiacente a ogni moda ne sancisce assieme il rapido sviluppo e la caducità. Ma - sottolinea Leclant - l'uomo contemporaneo inseguirebbe attraverso l'Egitto il contrario d'una fugace malia. «Cerca, trovandoli, il mistero e l'eternità. In un'epoca ove tutto è deperibile evocare un impero plurimillenario vuole dire sottrarsi per qualche attimo al ritmo feroce delle nostre esistenze. E ciò che vale per gli individui lo ritroviamo spesso a livello collettivo, politico. Come non vedere nel Lenin imbalsamato una riedizione marxista degli onori postumi per i faraoni? I défilé sulla Piazza Rossa fotocopiavano i fastosi cortei egizi. Aggiungerei la fame di sacralità. La spiegazione razionale non esaurisce il bisogno umano. Grazie ai suoi enigmi, il richiamo all'occulto, i rituali misterici, l'approccio egittofilo ci viene in soccorso». Con tali premesse, non v'è da stupirsi se il pubblico rimarrà ipnotizzato visitando i dieci stand in cui s'articola la rassegna. Moquette e muri neri rafforzeranno l'impressione di uno scenario sepolcrale, da cui i singoli «mezzi» alcuni bellissimi - emergono per stacco. Fra le mille imitazioni classiche, romanticheggianti o liberty, qualche capolavoro antico (per esempio una Cleopatra in marmo) ci scruta dalle nicchie. Comparare i modelli alle relizzazioni successive è istruttivo. Che cosa rimane del «vero» Egitto in un servizio da tavola Wedgwood che lo interpretava usando quale intermediario Piranesi? E le bizzarre sedie fatte realizzare da Thomas Hope con figure antropomorfe? I magnifici bijoux Art Déco, infine, o i capi femminili di chiara impronta faraonica? Che siano quantomeno reinterpretazioni libere salta agli occhi. L'archetipo fuziona quale Musa (solo Verdi fu insolitamente pignolo nel costruire l'Aida), gli scrupoli critici non attanagliano i realizzatori, è l'«idea» non la realtà egizia che occorre far rifulgere. L'estetismo non fu tuttavia l'unico parametro. Insospettabilmente, anche la ragion di Stato e la psicologia sociale svolsero un ruolo. Apprenderemo quindi come nel realizzare edifici moderni, la cui novità spaventava i cittadini - stazioni, ponti sospesi - gli architetti anglosassoni aggirarono l'ostacolo proponendo loro un'ingegneria dal design Old Egypt. Nell'autunno 1922, una vera rivoluzione galvanizzerà gli egittofili. Mentre Benito Mussolini mar¬ ciava in treno su Roma, ben più a Sud la sabbia restituiva il sepolcro di Tutankhamon (e l'annessa maledizione). Una pubblicità ancora in fasce se ne impadronì con straordinaria bravura. L'Egitto diveniva ormai spendibile anche nei consumi di massa. Profumo, sigarette («Carnei» insegna), ninnoli. Ma neanche l'arte nobile doveva uscirne indenne. Dai fauves ai cubisti, non mancano i saccheggi in terra egizia. E i gioielli di Cartier o VanCleef &Arpels? Per chi non ha miliardi, il Louvre offre una linea egittomaniaca (bracciali, collier, orecchini...) a firma Roberto Ostinelh. Ulteriori riproduzioni - tra le 80 e le 800 mila lire - si possono acquistare nella boutique del museo. Comprese le t-shirt che sfideranno Spielberg. Enrico Benedetto Oltre trecento le opere esposte Qui nacque la moda dei gadget La grande piramide che fa da ingresso al Louvre A destra, Verdi; sopra, Domingo nell'«Aida»