Se il giudice è femminista l'assalto agli istituti di cultura

Se il giudice è femminista; l'assalto agli istituti di cultura LETTERE Ai GIORNALE Se il giudice è femminista; l'assalto agli istituti di cultura Maternità e giustizia Mi riferisco ai vari articoli apparsi sulla Stampa nella rubrica Lettere al giornale per fare alcune considerazioni dopo anni di lotte e sofferenze. Lotte e sofferenze vissute in modo diverso, perché io sono l'altra, sono la donna che condivide la vita con un padre separato. In questi anni ho potuto capire quanto le donne possano ottenere «sfruttando abilmente e ignobilmente» il loro essere madri. La ex cui mi riferisco non voleva il figlio perché si sarebbe rovinata esteticamente, ha successivamente abortito liberamente due volte (contro la volontà del marito...) e adesso usa il proprio bambino per ottenere ciò che vuole. La giustizia in Italia non esiste, o quanto meno non è dalla parte degli onesti (basta guardarsi intorno!), e i giudici italiani per tradizione sono schierati dalla parte delle donne. Io sono donna, ma sinceramente sono diventata maschilista grazie a certe tristi esperienze. Una donna che usa il proprio figlio come un oggetto non ha diritto di essere madre. Mi chiedo se si rendono conto certe madri che nemmeno le bestie farebbero ai propri figli, ai propri simili, ciò che loro giorno dopo giorno, con astuzia, prepotenza e perfidia, fanno a chi non ha chiesto loro di venire al mondo. Il giudizio negativo sui padri separati è frutto di una indagine di parte e di un lavoro fatto sicuramente con superficialità e disinteresse. Andiamo nei tribunali a constatare quali battaglie debbono affrontare i padri, quante porte chiuse trovano nella ricerca di un po' di giustizia, proviamo a verificare con quanto amore vengono cresciuti ed educati i figli dai padri ed impariamo soprattutto a non generalizzare. Imparino soprattutto i giudici a non generalizzare. E' inutile sentirsi dire da questi signori «ho capito, lei è più equilibrato, è più sensibile e disponibile verso il bambino...» ma poi vedere che il 90% dei figli è affidato a madri non degne di portare un nome così ricco di significato. Lettera firmata, Aosta Nord e Sud divisi sul cornetto Mi riferisco alla lettera del signor Lorenzo Catinari pubblicata il 13 gennaio, desidero far presente che anni fa, in occasione del mio primo viaggio a Roma, avendo richiesto in alcuni bar le paste da sempre conosciute come «croissant», mi sono ugualmente sentito rispondere con ironia. In quella occasione ho avuto modo di imparare il termine «cornetto». Senza certo aver mai pensato di pretendere di far cambiare ai romani l'abitudine al loro vocabolo, mi sono quindi adeguato per il periodo di soggiorno all'uso locale, comportamento che continuo ad adottare quando mi trovo in altre città italiane. Per quanto riguarda il toccare con le mani i prodotti alimentari richiesti dopo aver maneggiato i soldi posso affermare che tale abitudine vige anche in molti locali pubblici della capitale, né più né meno come nel resto del Paese. Renzo Raimondi, Chivasso La sanità che confusione In qualità di medici di Medicina Generale e quali membri della Fimmg di Torino, Alessandria, Asti, Cuneo, Novara e Vercelli, desideriamo porre alcune chiarificazioni in merito all'articolo a firma G. Armand-Pilon: «Quando la visita non si rifiuta». Ci riesce difficile comprendere quale spirito abbia animato l'articolista nella stesura del pezzo in questione: ad ogni passo traspare sarcasmo sovente misto ad acrimonia nei confronti della classe medica, di cui non riusciamo a darci ragione. Se obbiettivo del dr. ArmandPilon era quello di rendere un servizio utile ai cittadini, non ci pare che i modi ed i contenuti abbiano potuto cogliere nel segno. Dal momento che ora più che mai regna confusione nel mondo sanitario, sarebbe opportuno che tutti ci attenessimo alle conoscenze di cui siamo certi, migliorando le stesse quando necessario, al fine di rendere alla comunità quel servizio che tutti vorremmo produrre, e che noi medici ci sforziamo quotidianamente di fornire tentando di correggere i nostri immanca- bili errori, cercando di migliorarci culturalmente ed umanamente per rendere il nostro rapporto con la gente ricco di contenuti sociali ed umani e non solo «assistenzial-burocratici», come vorrebbe far intendere l'articolista. Lo stesso sembra ignorare l'esistenza di precise normative stabilite dalla legge 333 del 1978, ove si stabilisce l'orario di servizio (8-20) nell'ambito del quale il medico svolge attività ambulatoriale, effettua le visite domiciliari con obbligo di espletare in giornata le chiamate pervenute entro le ore 10, altresì effettua le urgenze recepite nell'arco della giornata lavorativa (8-20). Al di fuori di tale orario e nelle giornate festive esiste il servizio di Guardia Medica (detta appunto notturna e festiva), servizio che l'articolista sembra non conoscere o aver soppresso ancor prima di quanto vorrebbe fare la recente normativa in discussione! Sarebbe peraltro interessante conoscere le fonti d'informazione dalle quali l'articolista ha tratto dati «statistici» ridicoli sia per il contenuto che per la mancante spiegazione degli stessi. Al di fuori della polemica, invitiamo a provvedere quanto prima a pubblicare una rettifica alle imprecise citazioni legislative contenute nell'articolo ma, ribadendo che è nostro preciso intento operare nell'interesse della gente e ritenendo che una corretta informazione sia indispensabile, chiediamo di poter incontrare al più presto possibile in un cordiale dibattito il dr. Armand-Pilon, al fine di poter illustrare la realtà della vita e del lavoro del medico generale. Ci rendiamo inoltre disponibili ad ospitare il cronista per una o più giornate, affinché possa verificare di persona la realtà del nostro operato e di conseguenza possa fornire un'informazione aggiornata circa la figura del medico di famiglia. dott. Giuseppe Sampieri Torino, (seguono 45 firme) La pagina «Guida del cittadino» a cui fanno riferimento i medici è stata realizzata con il contributo dei consulenti della Regione Piemonte per i problemi della Sanità. Nella stesura si è cercato di tenere conto sia delle indicazioni di legge, sia delle situazio¬ ni di fatto. Quanto ai dati «statistici», non sono frutto di una ricerca dell'articolista: si tratta di materiale d'archivio pubblicato per scelta della redazione. [g. a. p.] Lottizzazioni all'ambasciata Alcune lettere pubblicate ieri da La Stampa dimostrano l'interesse e l'importanza che rivestono la politica extra culturale dell'Italia e il problema degli istituti di cultura. Posso comprendere la stizza con cui Salvatore Sechi risponde a due constatazioni di fatto che, al di là dei toni, non riesce a smentire e che ho formulato, non per perseguitarlo, ma per esemplificare alcune pratiche passate, nella nomina dei direttori: 1) che egli non conosce a sufficienza, o comun me meno di molti altri, il contesto culturale in cui ha operato (gli Stati Uniti); 2) che, al di là della tessera, egli abbia reso dei segnalati servigi al ministro De Michelis e alla sua parte politica. D'accordo sull'importanza di qualità manageriali che, però, non possono essere «effimere», perché richiedono la conoscenza necessaria per stabilire autorevolmente rapporti con l'alta cultura del luogo, come dimostra il professor Mascioni, la cui lettera mi sembra una classica excusatio non petita. Le insinuazioni di Sechi non mi preoccupano. Molti lettori delle pagine culturali de La Stampa, che è anche giornale di Torino, ci conoscono entrambi da molto tempo e sono, quindi, in grado di giudicarci con equilibrio. Inviterei, invece, il professor Arpaia a non cadere in un equivoco frequente: ciò che si contesta non è il diritto di ciascuno di avere le opinioni politiche che meglio crede (in nome di maccartismi di segno variabile), ma quello di usarle per pretendere posti non giustificati dai propri titoli professionali. Gian Giacomo Migone

Persone citate: De Michelis, Gian Giacomo Migone, Giuseppe Sampieri, Lorenzo Catinari, Mascioni, Pilon, Renzo Raimondi, Salvatore Sechi, Sechi