«Fini ripudia Almirante lascia perdere il duce»
«Giorgio è stato il Mario Merola della destra Una nullità ingombrante» L'ex presidente missino dice «no» ai vertici della Fiamma «Fini, ripudia Almirante lascia perdere il duce» SBRINDELLI AROMA LLA fine l'ammiraglio ha risposto: no, grazie. Con serena amarezza e sconsolato ottimismo: «Penso che sia mio dovere mettere in guardia quelli che ancora credono a Babbo Natale». Come nella pubblicità della Bistefani. Certo, gli avevano chiesto di aderire ad Alleanza nazionale. Ma l'ammiraglio Gino Birindelli, eroe di Alessandria e di Gibilterra, una medaglia d'oro e una d'argento, 83 anni (portati che è una bellezza), di cui due «buttati» al servizio del msi come tempestosissimo presidente fino al 1974, ha contro-proposto una tale quantità di stentoree condizioni che il professor Fisichella e l'economista De Napoli, interpretando benissimo come avrebbe potuto reagire donna Assunta Almirante («che conta molto e certe cose non le può ammettere, come una vera regina Madre»), ecco, hanno concluso che forse era meglio così. Anzi senza il forse. «E io rimango a casa» dice lui con un sorriso tra il soddisfatto e il crudele, carezzando un gioioso cocker bianco e blu con tanto di pallina in bocca. Dice: «Firn non mi convince. Vent'anni fa ho sbagliato, e ho passato i successivi vent'anni a capire quel che non avevo capito». L'illuminazione del soldato, nella sua sorprendente violenza postuma, è che Fini, il msi, Alleanza nazionale, insomma tutto quello che si muove a destra resta purtroppo subalterno a un personaggio che poi ma questo l'ammiragho non lo dice - è un fantasma: Giorgio Almirante. «L'uomo di tutto e del contrario di tutto, un nulla ingombrantissimo, il vero responsabile dell'ermafroditismo politico del msi». E neanche la morte riesce ad alleviare un giudizio che più drastico non si potrebbe: «Io mi sono pentito. Io, che per 50 anni ho servito l'Italia, mi sono fatto uomo di parte per far da mallevadore a un politico che non voleva essere credibile. Non ha alcun senso, adesso, rinnegare il fascismo e Mussolini. Il punto semmai è che a Fini e ad Alleanza nazionale conviene di fare quest'abiura perché sanno di non poter fare quella vera». Navi e poltrone, com'è ovvio, nel salotto di casa. Lui identico, nell'aspetto, al militare e al politico degli Anni Settanta, «l'ammiraglio Birìn Birindelli/ ammiraglio di noti squadroni/ ammiraglio, ci hai rotto i coglioni» come si ascoltava nel 45 giri, invero un po' volgaruccio, che nel 1972 la propaganda elettorale dell'allora pei aveva appunto intitolato «La Birindelleide». Ora dai suoi ricordi vien fuori che anche a destra, come guastafeste, l'ammiraglio non scherzava per niente. Che cosa non riesce a perdonare ad Almirante? «La sua astuzia luciferina, la girandola di manovre e di contromanovre messe in atto non per costruire una destra seria, moderata, ma solo per tenere in vita un partito che aveva l'unico scopo di risolvere un suo problema esistenziale e personale di potere. Era il Mario Merola del nazionalismo. Intelligente, oratore abilissimo, anche affascinante incantatore, sapeva toccare le corde di un patriottismo ad alta intensità emotiva che entusiasmava - anch'io ci sono cascato - ma si risolveva nell'aizzare gli uni contro gli altri». Lei gli attraversò la strada. «Io veramente, una volta divenuto presidente, lo tampinavo continuamente su ogni questione. Gli ricordavo gli impegni presi, avrò scritto una trentina di lettere. Lui si scocciava, non sapeva più cosa fare. Insomma, ero diventato definitivamente il classico rompicoglioni». Perciò... «A un certo punto, per la precisione quando gli arrivò l'incriminazione per ricostituzione del partito fascista, posi l'aut aut. Ci saremmo dovuti dimettere tutti, quindi pure lui. Almirante lasciare la segreteria? Non ci pensava nemmeno. Aveva lottato durissimamente per averla, l'aveva per¬ sa, l'aveva ripresa. Insomma, mica era scemo. Allora, fatti i conti, pensò che poteva togliermisi dalle scatole, anche se perdere l'ammiraglio Birindelli significava perdere una bandiera». Ma i rapporti tra voi? «Erano pessimi, ormai. Aveva iniziato a far circolare la voce che ero al servizio della de. E lo stesso fece, più tardi, ai tempi della scissione di democrazia nazionale (cui peraltro io non partecipai) aggiungendo la grave calunnia di un supposto giro di soldi. Figurarsi». Però anche lei, ammiraglio, non era tenero. «Beh, io gli detti del vigliacco quando a Milano fu ucciso l'agente Marino, e di quel delitto venne imputato il msi. Ricordo che mi trovavo a Firenze, e corsi immediatamente a Milano per dimostrare non solo che il partito era accusato a torto, ma che si presentava ai milanesi per assurmersi le relative responsabilità. L'atmosfera era tesissima. Davanti al feretro dell'agente un paio di generali non mi rivolsero neanche la parola, mentre riaccompagnandomi in albergo i poliziotti della scorta dissero che non mi avrebbero più protetto. Cercavo e ricercavo, intanto, di mettermi in contatto con Almirante. Invano. L'unica risposta che ottenni fu quella del telefonista del msi: "Non c'è più nessuno, sono tutti fuggiti"». Ricorda il momento della rottura? «Fu a casa sua, dopo tre riunioni di seguito della segreteria. Davvero non riuscivo a capire perché non volesse una destra moderna. "Tu sei la forza e il limite del partito", gli dissi. Non c'era verso, come con Catullo: né con te, né senza di te c'è rimedio alle mie pene. Senza di te - continuai perché il msi muore. Con te, perché lo ammazzi. Nel senso che prendeva, sì, i voti, ma questi poi rimanevano nel frigorifero, non contavano. Questa osservazione lo punse. "Contano, eccome", disse. No, anche dopo vent'anni resto convinto che i voti del msi di Almirante non contavano un amato tubo». Ma contano, adesso? «Mah. Fino a quando il msi non si rappacificherà con quelli di democrazia nazionale - che poi sarebbe l'Alleanza nazionale tentata con vent'anni di anticipo - e fino a quando, soprattutto, seguiterà a vivere nel mito di Almirante è impossibile che contino. E' qui che va compiuta una svolta». Lei comunque, ammiraglio, si chiama fuori. «Senta, io quando cominciai con la politica, nel 1972, potevo fare quel che volevo. Mi avevano offerto la presidenza della Honeywell Italia, oppure di far parte del Board of directors di quella americana. I liberali mi volevano, i socialdemocratici pure. E invece io, come un bischero, sono andato con il msi perché cantava la Patria. Veda, effettivamente gli utopisti ci sono, io ci credevo. Ho fatto una puttanata. Ma siccome nel msi non ci sono andato per qualche cosa, ecco, allo stesso modo adesso non voglio ritornarci per qualche cos'altro». Filippo Ceccareili «Giorgio è stato il Mario Merola della destra Una nullità ingombrante» Da sinistra: Birindelli con Almirante, Assunta Almirante, e Fini Sotto: gli scontri del '73
Luoghi citati: Alessandria, Babbo Natale, Fini, Firenze, Gibilterra, Italia, Milano
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