Riuscita la protesta dei commercianti contro tasse e criminalità: due vetrine su tre sono rimaste al buio di Emanuela Minucci

Riuscita la protesta dei commercianti contro tasse e criminalità: due vetrine su tre sono rimaste al buio Riuscita la protesta dei commercianti contro tasse e criminalità: due vetrine su tre sono rimaste al buio Ore 17, shopping a lume di candela Ventiseimila negozi hanno spento le insegne Shopping a lume di candela in periferia, orfano dogli sfavillanti mega-neon in centro. E' riuscita l'iniziativa di «staccare la spina alla città» promossa dall'Ascolti contro fisco e delinquenza. Ai due motivi, negli ultimi giorni, se n'è aggiunto un terzo: la protesta contro la cassa integrazione. Ieri pomeriggio il 70 per cento dei 38 mila negozi di Torino e provincia hanno scelto di non accendere le insegne. I più convinti - commercianti di corso Traiano, via Vanchiglia, corso Belgio - hanno messo a lutto le vetrine coprendole con drappi neri. La manifestazione, annunciata già un mese fa, col passare dei giorni ha assunto significati più profondi: la drammatica rapina di Chivasso (cui la cittadina ha risposto con la serrata generale dei negozi) ha aggiunto ai motivi della protesta quello della criminalità crescente. La settimana scorsa, mentre in via Magenta si distribuiva il kit da protesta (cellophan neri, candele e locandine) i commercianti parlavano soltanto di fisco e criminalità: il caro-insegna era diventato un motivo secondario. La Confesercenti ha colto l'occasione per manifestare solidarietà ai lavoratori in cassa integrazione: «L'oscuramento delle vetrine - ha detto il presidente Gianluigi Bonino - deve diventare il simbolo del buio che avvolge il futuro di Torino». Nel tris di buoni motivi per spegnere le vetrine hanno creduto i commercianti di Chivasso, Leinì, Susa, Bussoleno, Ivrea: qui sono rimaste accese soltanto le insegne dei super-mercati. A Torino la manifestazione è riuscita in modo particolare nelle vie periferiche o comunque non centralissime. E' il caso di via Vanchiglia: qui, fin dal primo mattino, si respirava un clima da coprifuoco. Insegne ricoperte da un foglio di plastica nero, porte sorvegliate dall'immancabile locandina che spiega le ragioni della protesta, pochi passanti. Stessa adesione in corso Belgio e corso Traiano, con una protesta più curata nei dettagli: qualche commerciante armato di ceri bianchi, altri che espongono cartelli con la scritta «Vetrine spente oggi per non restare spenti per sempre». Ma l'appuntamento con la «prova del fuoco» era fissato per le 17,30 in piazza San Carlo, osservatorio privilegiato sui meganeon di via Roma. Sincronizzato col tramonto arriva Giuseppe De Maria, vicepresidente dell'Ascom: «Che soddisfazione esclama sorridendo - guardi come risaltano i semafori con tutto questo buio». Le maxi-insegne della via salotto di Torino sono spente. Le luci delle boutique di lusso, invece, continuano a sfavillare. Come mai? «Ce lo aspettavamo, quelli non concepiscono la parola protesta collettiva». La soddisfazione di De Maria non si deve soltanto alla riuscita di «Torino spenta»: «Due giorni fa abbiamo avuto una riunione dice il vice-presidente - con gli assessori a Bilancio e Commercio: abbiamo chiesto sia la ridu¬ zione della zona speciale dove le tariffe dei neon sono più care, sia la revisione dei metodi di quantificazione delle imposte». Risposta? «Disponibilità a discuterne nella giunta di martedì». Se le boutique di piazza San Carlo hanno snobbato l'esperimento giustificandosi con un «Tanto non serve a nulla», molti negozi di vie super-commerciali e comunque centrali hanno dimostrato di credere nell'iniziativa. Dice Brigida Sacerdoti di via della Rocca: «Siamo molto uniti e l'abbiamo dimostrato». L'antiquaria si sente di fare un discorso a nome di tutti: «Non oscuriamo le nostre vetrine soltanto per il problema tasse, ma anche per solidarietà verso chi ha ricevuto quella famosa lettera che lo invita a non andare più a lavorare». Stesso discorso, ma ancor più partecipe, da parte di Francesco Albanese, ex-operaio Teksid, oggi titolare di un negozio di frutta e verdura in via Vanchiglia: «So che cosa vuol dire finire in cassa integrazione: per aiutare quei lavoratori chiuderei bottega». Chi sente il problema della disoccupazione, chi quello della sicurezza. E' il caso dell'orefice Agliani di via Madama Cristina, tre vetrine a lume di candela: «Nell'86 fui sequestrato insieme con tutta la mia famiglia, oggi vivo in questo negozio bunker con l'angoscia addosso». Emanuela Minucci Gli organizzatori «Vogliamo dare la solidarietà ai cassaintegrati» Vetrine a lutto e insegne spente da via Roma ai quartieri periferici Alla protesta dell'Ascom aveva anche aderito la Confesercenti Nella foto in basso la commerciante Brigida Sacerdoti

Persone citate: Agliani, Brigida Sacerdoti, De Maria, Francesco Albanese, Gianluigi Bonino, Giuseppe De Maria, Susa

Luoghi citati: Bussoleno, Chivasso, Ivrea, Torino