In acqua per Ronconi di Donata Gianeri

A colloquio con gli interpreti di «Venezia salva» della Weil, in prova al Carignano A colloquio con gli interpreti di «Venezia salva» della Weil, in prova al Carignano In acqua per Ronconi Grande tensione e raffreddori TORINO. Venezia non si vede mai: è soltanto acqua. Acqua che riga le mura color piombo, gronda da rugginosi tubi a gomito, sgocciola da lunghe docce, trasuda dalle pietre del pavimento formando pozzanghere e rigagnoli entro cui gli attori sguazzano nel fervore dei monologhi. In più, luci basse di grande effetto e molti rumori fuori scena, borborigmi, risucchi che a volte ingoiano le parole degli attori, in tuta da lavoro e stivali di gomma come le mondine. Malgrado gli stivali, sono in molti a trascinarsi il raffreddore preso quando provavano al Nuovo in una grande pozza comune e l'umidità sembrava ristagnare nell'aria. Da pochi giorni si sono spostati al Carignano e va meglio: se non altro, l'acqua è riscaldata, così come il teatro. Si prova, «Venezia salva» di Simone Weil, regia di Luca Ronconi. Una tragedia sospesa, difficile, incompiuta: «Incompiuta perché? Quando un'opera arriva a dire quello che vuol dire una sua compiutezza ce l'ha; si tratta, piuttosto, di un testo non completamente formalizzato, cosa che caratterizza molte opere della Weil. In quanto alle difficoltà, non ne vedo: vi si parla in modo lineare e semplice di sentimenti quali la pietà, l'amicizia, la volontà di dominio», ribatte il regista che, seduto in platea, sottolinea, suggerisce, corregge quanto avviene in scena. La pronuncia, il tempo, il volume di ogni singola battuta vengono provati anche trenta volte di seguito: e ogni volta Ronconi si alza, sale sul palcoscenico, sussurra la versione preferita. Quindi torna al suo posto, saltellando fra le pozzanghere e accade anche che metta il piede in fallo fra grandi spruzzi, senza che un gesto di stizza lo faccia uscire dal tradizionale aplomb. «Vista così, si potrebbe chiamare Mestre salva», dice ridendo Massimo Popolizio che interpreta Jaffier, ruolo di estrema difficoltà e impegno: «Un personaggio di quelli che non capitano facilmente: un condottiero che nel momento in cui deve possedere Venezia, quasi fosse una donna, viene folgorato dalla pietà, insomma, un San Paolo. E per Simone Weil santo è qualcuno che porta su di sé quei dolori che dovrebbero ricadere sugli altri. Eccolo quindi compiere una sorta di Via Crucis, Cristo e Giuda insieme, toccando tutte le stazioni della degradazione umana, sino a diventare una bestia che si trascina per terra e accetta persino l'oro del suo tradi- mento. Un personaggio bello e drammatico: anzi, tragico. Il mio secondo personaggio tragico, dopo l'Aiace di Sofocle. Anche se qui si tratta di una tragedia moderna e la grande difficoltà consiste nel rendere, sulla scena, l'emozione che si prova leggendola: la scommessa non è sulle didascalie né sul testo non scritto, ma proprio sulle parole del testo poetico». Bisogna dimenticare un po' il teatro, la forma retorica del parlato, la bella voce impostata: solo così è possibile dar vita a didascalie, appunti, battute lasciate a metà. «Per questo occorre una grande trasparenza nella recitazione, non essendo possibile aderire al personaggio al cento per cento», dice Mauro Avogadro, segretario dei Dieci di Venezia: «Io all'inizio del terzo atto dico soltanto una lunga didascalia che è poi la descrizione di come sarebbe dovuta essere la scena. Ma trovo ancora più stimolante interpretare il percorso di scrittura per arrivare al personaggio, che non il personaggio compiutamente disegnato. Sono al mio ventesimo spettacolo con Ronconi e apprezzo questa sua scelta coraggiosa che vuole dimostrare come si possa rendere scenicamente un respiro altamente poetico: una scommessa a rischio, certo, ma anche un modo serio di far cultura». Intanto dalla platea, Ronconi di¬ spone gli attori come pedine, su una scacchiera: «Graziano mettiti lì, dietro la panca; tu, Alfonso, rimani dove sei e tu, Marco, parti su di lui e finisci su Massimo... Soprattutto, non assumete quell'atteggiamento impalato, da adunata». Avanza Renaud-Pambieri, avvolto in un lungo impermeabile cupo: è l'anima nera del complotto, il teorico della violenza, il duro. «Mi è capitato molto spesso di inteipretare personaggi negativi forse perché si ama giocare sul contrasto fra l'anima cattiva e l'aspetto de) buono». Più che del buono, del bello: Pambieri si è tagliato i baffi e sembra più giovane, con gli occhi più azzurri, un'aria quasi innocente. «Il personaggio di Renaud è affascinante, pur nella sua smania di dominio. Ronconi me lo ha fatto vedere sotto un taglio del tutto diverso da quello cui avevo pensato io: un uomo grottesco preso da questi suoi interminabili monologhi in cui non cerca neppure di convincere, tant'è la sua autoesaltazione. Sono alla mia prima esperienza con Luca e devo dire che mi sento stimolato al massimo: forse perché è un regista che ti spiazza di continuo, rimettendoti ogni volta in discussione per provocare reazioni che non supponevi neppure di poter avere». Anche Graziano Piazza, che interpreta Pierre, amico fraterno di Jaffer, è al suo primo impatto con Ronconi. Torinese, 29 anni, era uno dei due fratelli maledetti nel «Tito Andronico» di Peter Stein: «La grande emozione è finita non appena mi è stato detto che avevo la possibilità di fare questo testo. Non è facile, lo ammetto: mi sembra di dover riconvertire tutta la materia su cui avevo lavorato sino ad oggi. Anche se Ronconi ti dipana il testo con la massima semplicità, lanciandoti continuamente grandi perle di interpretazione che devi saper afferrare al volo. Per esempio: il mio personaggio è fortemente emozionale, ma non bisogna lasciar trapelare le emozioni, va vissuto con controllo estremo, senza farsi mai trasportare dai sentimenti per non cadere nel sentimentalismo spicciolo o nella comodità della convenzione. Non è facile, ma è affascinante essere coinvolti in questa operazione che rappresenta, per Ronconi, una grandissima sfida». Lo è davvero? L'interessato, nega: «Non è certo una sfida: non mi sembra che il fatto di vedere se riesco o meno a mettere in scena un testo sia una ragione sufficiente per farlo. Semplicemente, lo considero un'opera di rara grandezza poetica, con personaggi che dicono cose bellissime, per cui mi sembra importante e doveroso metterlo in scena. E' tutto». Donata Gianeri Giuseppe Pambieri genio del male ha sacrificato i baffi e pare ringiovanito Qui accanto il gruppo degli attori che interpretano «Venezia salva» di Simone Weil un testo ardimentoso pieno di incompiutezze e di battute lasciate a metà Nella foto piccola il regista Luca Ronconi

Luoghi citati: San Paolo, Torino, Venezia