Il tesoro dei boss era sepolto in un campo

Nascosti in Svizzera due milioni di dollari: sono stati ritrovati grazie alle rivelazioni di un «pentito» Nascosti in Svizzera due milioni di dollari: sono stati ritrovati grazie alle rivelazioni di un «pentito» Il tesoro dei boss era sepolto in un campo Le banconote sotterrate in una cassetta metallica Il bottino è ilfrutto del traffico di stupefacenti PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Dopo aver fatto importanti rivelazioni ammettendo di aver partecipato alla strage di Capaci, il pentito Salvatore Cancemi ha permesso di recuperare 2 milioni di dollari che per conto del clan dei corleonesi aveva sepolto in un podere in Svizzera, poco distante da Lugano. I soldi, valore di circa 3 miliardi e mezzo in lire italiane, erano stati versati nell'ambito di un traffico internazionale di droga al quale aveva partecipato la mafia siciliana. Cancemi li aveva sotterrati in una cassetta metallica a tenuta stagna che inizialmente era stata depositata in una banca del Canton Ticino che però, a un certo punto, non era sembrata ai boss sufficientemente sicura. Alcuni «picciotti» erano stati incaricati di prelevare il denaro e di affidarlo a Cancemi perché lo mettesse al sicuro. Si era temuto infatti che gli inquirenti, ricostruendo i vari passaggi del traffico di droga, risalissero al deposito bancario non più inaccessibile come un tempo ora che recenti normative emanate dalle autorità elvetiche ostacolano seriamente il riciclaggio di capitali di sospetta provenienza illecita. Sul posto che vien tenuto rigorosamente segreto Salvatore Cancemi è stato scortato da Palermo in gran silenzio venerdì scorso da carabinieri dei Ros e agenti della polizia del Canton Ticino. Ha assistito al celere scavo Carla Del Ponte neo procuratore generale della Giustizia di Lugano che a suo tempo, in più riprese, collaborò con Giovanni Falcone in serratissime indagini sulle proiezioni elvetiche delle cosche siciliane. Il procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo, Luigi Croce, ieri mattina a Palazzo di giustizia ha confermato che il pentito ha fornito «indicazioni precise» ma subito dopo ha aggiunto un passaggio che non ammanta certo di chiarezza il ruolo di Cancemi. «Le sue dichiarazioni - ha detto infatti il magistrato sono state fornite in un contesto ancora particolarmente confuso». Che cosa ha inteso dire Croce? Ha voluto prender tempo per non confermare particolari scot¬ tanti e preoccupato di mantenere il riserbo ovvero i racconti di Cancemi non sono del tutto convincenti? Cancemi, 51 anni, grandi baffi neri, subentrò sette o otto anni fa al capo della «famiglia» di Palermo centro Pippo Calò condannato all'ergastolo per la strage del treno Bologna-Firenze e a 22 anni nel primo maxi processo e recentemente protagonista, nell'aula bunker di Palermo, di un drammatico confronto-scontro con Totò Riina. E l'anno scorso, non condividendo più i metodi sanguinari del capo di Cosa Nostra (del resto come altri pentiti da Pino Marchese a Giuseppe Drago), Cancemi alle 5 del mattino del 22 luglio varcò la soglia del comando carabinieri di Palermo, annunciando di esser pronto a collaborare. Parlò della strage di Capaci in cui furono assassinati Giovanni Falcone, la moglie Francesca e tre agenti della scorta e anche del progettato attenta¬ to al «capitano ultimo», l'ufficiale dei Ros che il 15 gennaio precedente aveva guidato il commando che aveva catturato Riina a pochi passi dalla elegante villa con piscina suo dorato rifugio in cui si nascondeva con moglie e figli. La sua partecipazione alla strage di Capaci, compiuta il 23 maggio 1992, Cancemi la confessò dopo un confronto con un altro boss il cui nome tutt'oggi non dice molto al grande pubblico, Santo Di Matteo. «Ma sì, è bene che si sappia tutta la verità», avrebbe esclamato Cancemi che con Riina in carcere, a quel punto temeva assai meno il capo della Cupola. E, parlando a più non posso, il pentito avrebbe finito per riferirsi a «un tesoro sporco di sangue che sotterrai io stesso». La frase faceva sperare nella localizzazione di quell'ormai mitico tesoro di Riina che secondo alcuni esisterebbe davvero chissà dove nascosto e che forse ha un guardiano pronto a tutto pur di difenderlo, il latitante Leoluca Bagarella. Antonio Ravidà li capo di Cosa Nostra, Totò Riina