Ravenna eutanasia di una famiglia

«Tutto era possibile narcisismo e delirio di onnipotenza a livelli mai visti» Ravenna eutanasia di una famiglia Barche senza skipper e aerei venduti, muore l'impero BUDDENBROOK D'ITALIA LUCI lampeggianti e motori imballati, sfreccia sulla pista dell'Ata, l'aeroporto executive di Milano, il Falcon 900 di Raul Gardini, la Rolls Royce dei cieli che era diventata quasi un accessorio corporeo del ravennate. Emozione: qualcuno in torre di controllo deve avere un sussulto, un leggero brivido, come se dalla scaletta dovesse comparire di nuovo, per la millesima volta, con la sua sigaretta all'angolo della bocca, stile Casablanca, il fantasma del Buddenbrook romagnolo, morto suicida l'estate scorsa. Scende, invece, un giovane e distinto businessman, cui la leggenda metropolitana dà anche un volto e un nome: Niki Grauso, imprenditore cagliaritano poco più che quarantenne, impegnato in nuovi affari editoriali di non piccolo momento, che lo conducono continuamente in Polonia e in altri Paesi dell'Est. Vero? Falso? Di certo, la flotta gardiniana - sei jet e due elicotteri - che ha fatto grande l'aeroporto di Forlì, dove assurdamente faceva base, è stata liquidata: ne fa fede il fatto che uno dei due elicotteri è ormai utilizzato quotidianamente da Francesco Caltagirone, dell'omonima premiata dinastia di palazzinari romani: lavora a Milano e la sera gli piace tornarsene, via cielo, a Montecarlo, principato di Monaco, dove l'aspetta la nuova moglie, orfana di Nino Rovelli, che con i suoi congiunti ha appena riscosso un migliaio di miliardi lordi come rifusione da parte dell'Imi per i torti patiti in vita dal papà; forse, adesso, Francesco cambierà l'elicottero con un Falcon 900. Le cose, gli oggetti, la roba verghiana: quando una dinastia industriale, una grande famiglia della borghesia imprenditoriale va a gambe all'aria - spettacolo abbastanza frequente in Italia, replicato ieri nel modo più clamoroso con i Ferruzzi - la prima curiosità va ai destini dell'impero industriale che si sfalda, la seconda curiosità va alle cose, agli innumerevoli simboli di ricchezza e di potenza, che hanno contribuito a edificare il mito. Una volta, prevalevano le ville. Ricordate la villa dei Mondadori a Portofino? La villa Rizzoli a Cap Ferrat, proprio sulla punta, con il mare a strapiombo, tra gli alberi, dove si aggirava la bella Ljuha Rosa? Le ville - al plurale - del già citato Rovelli a Capri, dove soggiornavano sereni il presidente della Repubblica italiana, Donna Vittoria e i quattro frugoletti? Oggi è diverso, le ville sono un simbolo di status quasi piccolo-borgl' tse, ben altri sono i trasferimenti di possesso che segnano il definitivo declino di una grande famiglia, come quella con il cromosoma bizantino, la seconda d'Italia fino al tracollo dell'estate scorsa e all'annuncio di ieri dell'indagine per associazione a delinquere, che ne fa virtualmente una specie di Banda Bassotti dell'alta finanza italiana. Le barche, per esempio: i mitici «Moro» di Raul, la «Serafina» e chissà quali altri affilati scafi, si coprono ormai di alghe, giorno dopo giorno, vuoi a Marina di Ravenna, vuoi a Cap d'Antibes. Lì resteranno, forse per sempre, come in uno di quei film di vecchie golette corsare cigolanti, ormai piene di fantasmi, ma dotate di un'anima propria, sensibili ai venti, anche senza skipper e votate inesorabilmente alla distruzione, ad opera di una tempesta o del fuoco purificatore. Di tempeste non ne potrà sfidare, per la verità, l'ultima creazione nautica di Raul, ancora chiusa nei cantieri «Tencara», proprietà Montedison. Un progetto avveniristico, 65 metri, qualche decina di miliardi di costo. La vendita sembrava ormai cosa fatta alla Marina Militare francese, quando uno zelante ammiraglio d'Oltralpe - meschino s'è accorto con raccapriccio che quei 65 metri ospitano soltanto due cabine: Raul e h lido Vianello. E' vero, in epoca di back to back, di operazioni estero-su estero, di finanze parallele, figurarsi se sono più ville, palazzi e castelli a segnare significativamente, come qualche decennio fa, la fine delle grandi dinastie imprenditoriali. Ma la pista del mattone - diciamolo - è sempre la più propizia per tentare di seguire il corso ormai torrentizio dei veleni familiari. Partiamo da Ravenna, centro storico, via D'Azeglio: si guardano il palazzo rosa di Raul e Idina Gardini e l'adiacente borghetto cittadino ri¬ strutturato, con decine di miliardi, per farne la degna residenza di Carlo Sama e della consorte Alessandra Ferruzzi. Desolatamente vuoto il palazzo gardiniano, orbato perfino della presenza del mitico Porcari, maggiordomo che valeva più di un direttore generale; abbandonato e silenzioso anche l'acquartieramento dei Sama. Dove portano le tracce? Quelle di Idina, vedova di Raul, poco lontano: all'Hotel Diana di Ravenna. Vive lì, isolata da tutto e da tutti, la vedova; pare sia uscita soltanto per andare a trovare la vecchia nonna Elisa, vedova del capostipite Serafino, operata di recente alle gambe. I tre figli approdano qualche volta a Ravenna, da Milano Ivan e Maria Speranza, da Barcellona, dove ama stare, Eleonora. Nessuno sa bene se il palazzo rosa di via D'Azeglio sia sotto sequestro, si sa invece per certo che, su consiglio degli avvocati, Idina, donna apparentemente fredda, ma religiosissima, non ha accettato l'eredità, o meglio l'ha accettata con beneficio d'inventario. Al funerale del marito, aveva relegato in file arretrate tutti i Ferruzzi, ma lei stessa sa ormai che Raul non era poi un eroe invincibile, ma soltanto un uomo generoso, forse velleitario, spesso tradito dalla sua generosità. Per esempio, nel rapporto con il figlio Ivan, che è stato brutalizzato alla feroce scuola hemingueiana del padre-mito cacciato¬ re. E' proprio il povero Ivan, perseguitato dalle banche, che sta chiudendo in questi giorni il palazzo milanese di piazza Belgioioso. Una porticina e un cortile: da una parte gli uffici, dall'altra l'appartamento privato, dove sei mesi fa Raul fu trovato insanguinato e morente in camera da letto. Arredamento tradizionale, forse firmato anche questo da Gae Aulenti, ma senza le arditezze di Barbialla, la tenuta in Toscana, deturpata da marmi, damaschi e giochi d'acqua. Si narrano cose epiche di quella tenuta, dove Raul andò a caccia non più di due volte in tutto nella sua vita: 60 miliardi spesi per la ritrutturazione; un camino, forse unico in Italia, dove si può cuocere un bue intero al girarrosto, un servizio giorno e notte per 365 giorni l'anno. Rischiamo di perderci nella geografia naval-immobiliare di Gardini, forse il più grande provinciale che la storia d'Italia ricordi. Meglio seguire i mattoni del cognato, che, per fortuna, è in vita. Natale a Las Cabezas, la tenuta argentina, con la moglie Alessandra, il neonato appena avuto in comune e i due figli del precedente, sfortunato marito, morto in un incidente motociclistico. Carlo Sama nella pampa si trova bene, anzi ha rivelato a tutti che, finito questo scempio di Mani pulite, se potrà, lui si trasferirà proprio lì, nella grande villa bianca con tor¬ retta, patio fiorito, piscina, campo da tennis e, a perdita d'occhio, 20 mila ettari. Neanche un anno fa, con Mani pulite che già scaldava il motore, era tutta lì la famiglia, ben nutrita - scusate il gioco di. parole - di famigli gongolanti: come il buon Gigi Bisignani con ospiti, perché tra gli ex colleghi dell'Ansa Gigi vendeva ormai Las Cabezas come un buen retiro familiare, disponibile a tutti gli amici per ritemprarsi un po' fino all'Epifania. chissà se Carlo Sama, finito l'incubo giudiziario, potrà mai ritirarsi tra i peones argentini, come desidera. Difficile che la famiglia possa salvare Las Cabezas. Ma ancora più difficile - per la verità - che la famiglia voglia salvare lui. Di ritorno dalle vacanze di Natale, le cose si sono complicate, anzi messe proprio male: i verbali di Carlo son venuti fuori. Come comprendere la distinzione che «il cognato» ha sempre rigorosamente tenuto a fare tra sé stesso e «chi capisce di numeri», come, ad esempio, la moglie Alessandra? Del resto, di che mai capisce lui, visto che anche nel basket, per non due dell'editoria, ha provocato i più orrendi sfracelli, ormai noti anche ai familiari? Sicuramente Carlo s'intende di affari immobiliari: i giudici hanno scoperto quasi subito della villa sull'Appia Antica graziosamente ceduta alla Montedison a prezzo d'affezione. Chissà se già sanno, tramite l'oc¬ chiuto professor Guido Rossi, che ancora all'inizio del 1993 Carlo ha rifilato ai piccoli azionisti, per la bellezza di una decina di miliardi, il suo megappartamento in via dell'Anima, sempre a Roma, vicino a Berlusconi e all'ex quartier generale di Craxi dell'Hotel Raphael. «Dimenticare Carlo», sembra ormai lo slogan dell'intera famiglia Ferruzzi, pur divisa al suo interno. Ma ormai è troppo tardi, visto che per quasi tutti scatta l'associazione per delinquere. Si sono associati per delinquere anche il buon Arturo Ferruzzi e sua moglie Cristina Busi, vedova di un simpatico uomo d'affari emiliano, morto prematuramente qualche anno fa? «Tutto era possibile, il narcisismo e il delirio di onnipotenza avevano raggiunto vette mai viste», confessano oggi off the records, come si dice, alcuni dei familiari, parlando di Ra''1 ma ormai anche di Carlo Sam:, «.i.e imitava negli ultimi tempi il cognato anche nei vizi più biechi: si narra ancora di quando si presentò in Montedison, a Foro Buonaparte, con il «suo» maggiordomo, una specie di caricatura del Porcari di Raul, che lo seguiva passo passo, gli sistemava la cravatta e quegli orrendi doppipetti da bagnino ravennate, esibiti anche a Palazzo di Giustizia, creando un incalcolabile filone di solidarietà per la polo a poco prezzo di Antonio Di Pietro. Arturo Ferruzzi e Cristina Busi si vedono poco anche loro a Ravenna, nell'appartamento di via XIII Giugno. Stanno piuttosto a Bologna o nel loro castelletto di Foghera, dove qualche volta li visitano Desideria, Massimiliano, Diletta, i figli dei precedenti matrimoni. Dei buoni borghesi tranquilli: anche loro si sono associati per delinquere o sono le vittime dei corsari di famiglia? Difficile rispondere quando, per qualunque esigenza finanziaria, vigeva una finanza familiare occulta e parallela. Mi serve cento per il mio diletto? Sovviene Berlini, con l'inestinguibile patrimonio di Serafino. L'azienda? La famiglia? Che differenza fa? Ne ha forse approfittato 0 mite Arturo, anche lui massacrato a suo tempo, come adesso il giovane Ivan, dalla presenza preponderante del padre Serafino? Chissà. In un sistema marcio è ben difficile distinguere l'ingenuità dalla mascalzonaggine. Certo, Arturo era una vittima designata del padre e non una specie di vedova, come la sorella Alessandra, che per cinque minuti perse l'aereo privato che portò il padre alla morte, in una piovosa notte a Ravenna, mentre le ancora solide chiatte della Ferruzzi risalivano, placide, le anse del Mississippi, cariche di granaglie acquistate alla Borsa di Chicago. Rimangono i Giuliani Ricci, Vittorio e Franca Ferruzzi, che nella geografia ravennate stanno in via XIII Giugno ma in quella familiare sono un po' come i paria. Coinvolto in Mani pulite, Sama dichiarava di non aver neanche i soldi per mettere la benzina nella Mercedes. Vittorio Giuliani Ricci andava già a pescare in «Panda». Non è mai stato un cuor di leone Vittorio, ma dirigeva e ha continuato a dirigere la flotta aziendale, come Arturo Ferruzzi ha continuato a dirigere le attività agricole. Una differenza: mentre il povero Ivan veniva designato dal padre piccolo-grande condottiero nascente, Carlotta Giuliani Ricci, figlia di Vittorio e Franca, fa la farmacista a Padova e sua sorella Allegra studia farmacia a Roma, dov'è sposata con Alfio Marchini, erede poco più che trentenne di una dinastia di palazzinari, ma nipote di un nonno che gli ha spiegato quanto vale il denaro. Volevano affibbiargli «Il Sabato», testata andreottian-sbardelliana: Alfio ha annusato e ha scoperto che la vendita reale in edicola del settimanale era di circa 6 mila copie, contro le 100 mila e passa dichiarate e ha rimesso Allegra a studiare farmacia. A questo punto vorreste sapere perché le grandi famiglie imprenditoriali italiane crollano sempre travolte dai debiti se non inseguite da un'accusa di associazione per delinquere? Vorremmo saperlo anche noi, ma un sospetto l'abbiamo: in genere i Buddenbrook d'Italia tutto hanno in testa, tranne che investire nella loro azienda. Molto meglio - direbbe Sama sopravvivere a Las Cabezas. Alberto Staterà «Tutto era possibile narcisismo e delirio di onnipotenza a livelli mai visti» «Dimenticare Carlo Sama» è lo slogan della dinastia I Natali ?iLas Cabezas la tenuta argentina A Barbialla giochi d'acqua e un camino per cuocere un bue intero allo spiedo Carlo Sama con Alessandra Ferruzzi Sopra Raul Gardini sotto Arturo Ferruzzi, ex presidente del Gruppo Qui sopra Sergio Cragnotti e Ivan Gardini