La studentessa al Presidente si dimetta di Pierluigi Battista

Il Capo dello Stato colto di sorpresa all'Università, risponde a una domanda non prevista Il Capo dello Stato colto di sorpresa all'Università, risponde a una domanda non prevista La studentessa al Presidente; si dimetta E Scalfaro: non l'ho fatto per salvare le elezioni ROMA. La studentessa contro il Presidente. E subito dopo il Presidente costretto da un improvviso fuori programma a puntare il dito accusatore contro le oscure «volontà interessate» che avrebbero voluto colpire la sua persona e la più alta carica dello Stato per «impedire lo scioglimento delle Camere». In una cornice che doveva essere quella solenne di un'inaugurazione di anno accademico s'affaccia imprevisto il fantasma delle «dimissioni» di Oscar Luigi Scalfaro. Il quale, con veemenza, rimanda al mittente le accuse e si produce in un'appassionata difesa del suo operato. Protagonista del clamoroso happening è lei, Francesca Marasco, ventidue anni, iscritta alla facoltà di Lettere della Terza Università di Roma, rappresentante degli studenti presso questo Ateneo, eletta nella lista di area ciellina. E' lei che, sul podio, aggiunge qualche parolina estemporanea al discorso ufficiale il cui testo era già stato diffuso alle autorità presenti alla cerimonia. Parole di fuoco che rischiano di scatenare un terremoto istituzionale, che producono una smorfia di indignazione nei professori in abito da ceri- monia e nelle autorità assise in prima fila. Parole avvelenate rivolte al presidente Scalfaro intabarrato nel suo cappotto. «Ci auguriamo che lei voglia assistere all'accertamento della verità, davvero come il primo dei cittadini italiani», declama la studentessa dal podio. Poi una brevissima pausa. E subito dopo l'affondo: «Le chiediamo, quindi, signor presidente, di dare le sue dimissioni». Proprio così: «Dimissioni». Parola-tabù che la giovane pronuncia con disinvoltura, malgrado quel pizzico di apparente deferenza («signor Presidente») che non impedisce alla Marasco di andare ad omaggiare con una formale stretta di mano l'uomo che pochi attimi prima era stato invitato, così su due piedi, a dimettersi. Mormorii, brusii di disapprovazione, una voce isolata che grida «vergogna», l'imbarazzo del sindaco Rutelli, del presidente della Camera Napolitano (che più tardi, con Ciampi, darà la sua solidarietà al Capo dello Stato), qualche timido applauso in sala. E per Scalfaro, dopo un primo momento di disappunto e di sorpresa, la decisione di prendere la parola subito. Alla sua maniera, con indignazione e vee¬ menza. Anche sbattendo con forza i pugni sul tavolo. E' uno sfogo. Ma anche nel tumulto emotivo che accompagna uno sfogo del tutto inatteso, Scalfaro soppesa le parole non senza prendere di petto la questione e affrontare le voci e i veleni che in questi giorni hanno associato il nome del primo cittadino della Repubblicfa alle miserie dello scandalo Sisde. «Sarebbe stato più facile e consono al mio carattere sbattare la porta al primo stormir di fronda e andarmene da un compito che non ho chiesto a nessuno», spiega Scalfaro nel silenzio assoluto del resto della sala. Un compito, prosegue il Capo dello Stato, «per il quale non ho mosso nulla e nessuno, per il quale in tutti gli organigrammi politici il mio nome non è esistito mai». Avrebbe potuto sbattere la porta, Scalfaro, ma se non l'ha fatto è per una sola ragione: «Sentivo il dovere di non andarmene così facilmente ottenendo l'unico risultato di impedire lo scioglimento delle Camere e le elezioni». E infatti, secondo Scalfaro troppe erano «le volontà interessate che non volevano si arrivasse allo scioglimento delle Camere». «E io - continua il Presidente -, mi sono trovato in una realtà nella quale si è fatto di tutto» e qui Scalfaro raddoppia con un nuovo «di tutto», «sul piano politico e personale per impedire che si giungesse alla firma dello scioglimento». Ecco dunque cosa c'è dietro le «voci e insinuazioni» di questi giorni: un attacco anche «personale» per impedire al presidente della Repubblica di adempiere a tutti i suoi doveri istituzionali per mandare gli italiani a votare al più presto. Di fronte a questo, dice Scalfaro, sarebbe stato più facile potere avere le mani libere e rispondere ad «accuse false» e che «risalgono a fatti avvenuti prima dell'inizio del settennato». Anche a costo di non «poter fare nulla» e ai «mettere una persona nel tritacarne senza la possibilità di esercitare un proprio diritto perché si deve stare attenti a non turbare l'istituzione che si incarna». Un grande applauso accoglie queste parole di Scalfaro. L'incidente sembra chiuso. Ma un'altra ombra, l'ombra di un «complotto» contro il Capo dello Stato per impedire le nuove elezioni, si addensa cupa sull'agonia della Prima Repubblica. Pierluigi Battista

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