«Italiani, comprate Imi»

«Italiani, comprate Imi» «Italiani, comprate Imi» Arcuti spiega la privatizzazione Vendita anche in Usa e Giappone MILANO. «L'Imi, senza voler essere blasfemi, è unum e trinum. Il core business è costituito dalla attività creditizia a medio e lungo termine con la sua redditività consolidata, e a fianco esistono due altre linee di attività, servizi e assicurazioni alle famiglie e investment banking, che a loro volta contribuiscono al 38% del margine operativo. Due settori che, in un futuro di mercato più aperto e di contenuimento del deficit pubblico, dovrebbero avere ulteriori sviluppi». Ecco le ragioni per le quali il presidente dell'Imi, Luigi Arcuti, si dice fiducioso suU'imminente privatizzazione dell'istituto. Arcuti è a Milano dove, insieme ai vertici Imi, al direttore generale del Tesoro Mario Draghi e ai rappresentanti di Morgan Stanley, tiene a battesimo 3 road-show che, nel giro di due settimane, contatterà nelle capitali europee e statunitensi 1100 investitori interessati alla prima tranche del 33% del capitale Imi. Che porterà al mercato 200 milioni di titoli, 100 dei quali destinati all'estero. Ad un prezzo che verrà reso noto il 30 gennaio, e dovrebbe essere compreso tra le 9800 e le 11.000 lire. Perché solo il 33%? Ha risposto Draghi, che rappresenta l'azionista di controllo, il Tesoro: «Perchè il Governo ha deciso di non cedere tutto, perché quando abbiamo deciso esisteva un timore di sovraffollamento. Ma la decisione è stata ben meditata, ed ha tenuto conto che in altri casi, ad esempio British Telecom, con le seconde tranche si ottengono prezzi più alti». Ma l'estero non è perplesso dal fatto che esistono già, per Imi, un «nocciolo duro» e un vincolo del 10%? «L'estero apprezza questa operazione per altri aspetti» ha precisato Draghi. «Perché finalmente si esce dalle dichiarazioni politiche per dare il via alla prima privatizzazione dello Stato, e perché il vincolo del 10% dà garanzie che l'indipendenza del management verrà rispettata. Gli investitori guardano alla bontà del prodotto, non alle alchimie societarie». E Rainer Masera, direttore generale dell'Imi ha ricordato che «i 35 milioni di azioni destinate agli Stati Uniti rappresentano il maggior collocamento di una banca non americana sul mercato statunitense». Arcuti ha aggiunto altri dati: un dividendo 1993 raddoppiato a 400 lire, mezzi dell'istituto investiti per il 20% in valuta, sofferenze inferiori all'1%, ben al di sotto della media del sistema che è oggi intorno al 6%. Spera, Arcuti, che se Moody's alzerà il rating Italia, anche il rating Imi possa presto tornare alla tripla A. Il road show si sposta oggi a Parigi e Ginevra, domani a Zurigo, giovedì a Londra dove, oltre agli investitori inglesi, i vertici Imi incontreranno gli investitori giappones. Poi via subito per gli Stati Uniti: Minneapolis, Chicago, Los Angeles, San Francisco, Boston, New York, Filadelfia e Toronto. Al ritorno a casa, bisognerà studiare bene il responso del «book building». Sulla base del quale il Tesoro, sentiti l'Imi e Morgan Stanley, deciderà il prezzo di collocamento. [v.s.] Natalino Irti

Persone citate: Arcuti, Luigi Arcuti, Mario Draghi, Morgan Stanley, Natalino Irti, Rainer Masera