Quella stretta di mano di Fiamma Nirenstein

Quella stretta di mano Quella stretta di mano Un pugno allo stomaco per gli israeliani UNO CHOC NAZIONALE CTEL AVIV I siamo, ha commentato il leader del Golan Eli Malka guardando la tv, che domenica pomeriggio dava in diretta l'incontro Assad-Clinton: «Dopo tanti anni di sforzi israeliani per liberare i tremila ebrei siriani dalle grinfie della dittatura, adesso gli vogliamo regalare altri 10 mila ebrei: noialtri, i residenti del Golan». Si tratta di una reazione estrema, certo, ma quando tutta Israele si è piazzata l'altra sera a quattro mesi e tre giorni di distanza davanti al televisore, ancora una volta si è dovuta tener forte ai braccioli della poltrona per digerire la seconda stretta di mano proibita dopo quella fra Rabin e Arafat: adesso il vecchio amico di famiglia, quel ragazzone del Presidente americano, era là a dire ai giornalisti di tutto il mondo come quello con Hafez Assad risultasse un incontro diretto e prolungato: «Niente affatto inferiore alle aspettative, tutt'altro...». Un commento, hanno sghignazzato amare molte famiglie israeliane, che può apparire ironico trattandosi, come ha scritto il New York Times, «del campione del mondo di assassinio ancora in carica», o, come ha scritto il Wall Street Journal, dell'uomo che «mantiene più di una dozzina di campi di training per terroristi, compie- ti di scuole di esplosivo, di tiro e di percorsi di guerra». Un'altra spiritosaggine in voga nel giorno dell'incontro era quella di sedersi di traverso sul divano di fronte al televisore, visto che così, si dice, sempre un po' storti e sul margine della poltrona, Assad piazza i suoi interlocutori, che dopo un po' avvertono ferocemente la preminenza di un leader forte e rilassato, alto sul suo seggiolone. Sono scherzi che esorcizzano un profondo sentimento di inquietudine: la prima stretta di mano del 13 settembre, è stata pur sempre una scelti' israeliana. E Arafat è il nemico interno, quasi il nemico interiore, che gioca dentro un campo quanto mai controverso, ma tuttavia sotto controllo. Hafez Assad è il nemico esterno, il capo di uno Stato in guerra, padrone di un potentissimo esercito. E anche se la sua maggiore protezione, quella sovietica, è venuta a cadere, tuttavia non ha mai abbandonato lo spauracchio dell'opzione militare. Infatti, curioso a dirsi, uno dei punti di vista più possibilisti verso la pace con la Siria è quello dell'esercito. Un esperto militare come Jaacov Erez, che ricorda ancora la terribile notte del kippur 1973 quando i carri armati siriani ruggirono la loro vendetta sulle alture del Golan facendo strepe di soldati israeliani e le lacrime di Moshe Dayan, accorso nel buio, è convinto che non ci sarà pace senza la Siria: «La pace con Assad è quella che può consentire la grande svolta rispetto al nostro permanente stato di guerra, che ci può consentire una mano tesa anche con la Giordania e con il Libano...». L'esercito sa bene, infatti, che Assad è l'unico che può letteralmente dare il permesso a tutti i Paesi mediorientali di riconoscere lo Stato di Israele non tanto come un'entità morale, (questo è più nelle mani del palestinesi), ma come entità statuale dotata di confini riconosciuti. Anche Erez sa che Assad, benché abbandonato dai sovietici e privato del loro fondamentale know-how, ha tuttavia seguitato a investire potentemente in carri armati, missili, aerei. E soprattutto che il suo ego di dittatore al potere dal novembre 1970 è talmente priapistico che nulla potrà tenerlo lontano dal ruolo di protagonista dell'attuale fase mediorientale, neppure la paura di Zahal, l'esercito israeliano. La gente cerca disperatamente, se così si può dire, di farsi una ragione di come anche un nemico così strenuo come il protettore degli hezbollah, di Ahmed Jibril e di George Habbash, cioè l'effettivo mandante e padrone delle azioni del terrorismo internazionale, possa d'un tratto diventare un vecchio simpatico signore in giacca e cravatta, amico intimo di Clinton. Le risposte a questa intrigante visione sono di carattere quasi psicanalitico, come quella di Amos Gilboa, un commentatore militare del Maariv: Assad è un carattere dominante ma lento, solo oggi veramente consapevole di quanto i palestinesi gli abbiano rubato il palcoscenico; pieno d'odio per Arafat, che ha tentato più volte di far ammazzare senza successo (e quante punizioni in Siria per questi fallimenti!) e ricolmo di gelosia verso l'Egitto, il Paese arabo più civilizzato e nel miglior rapporto col padrone unico del mondo, l'America. Assad dopo un periodo in cui è rimasto spiazzato dalle novità e ha verificato che il vecchio attrezzo del terrorismo gli serviva ormai a poco, ha deciso, secondo Gilboa, di rientrare in grande, e ha ottenuto che Clinton venisse fino a Ginevra. Che diamine, la Siria è pur sempre un Paese da 600 mila barili di petrolio al giorno. Clinton è venuto in posizione di debitore, visto che finora Assad ha evitato di porre il veto al processo di pace, pur seguitando a terrorizzare libanesi e giordani e tenendo in pugno l'integralismo islamico. Ora dunque tocca a Clinton farlo entrare di nuovo in gioco e costringendo gli israeliani a restituirgli il Golan e fornendogli in proprio un buon aiuto economico. Così gli israeliani cercano di accettare che cosa sta accadendo. Ma il tassista ebreo marocchino, il negoziante del marcato di Tel Aviv Shuk Ha Carmel non sono per niente contenti: perché mai far rientrare in gioco la Siria proprio ora che è così debole, e priva dei suoi antichi amici? Perché regalarle il Golan che è vitale per la difesa di Israele? Che smania è questa che ha preso Clinton e che prenderà Rabin? Il terrorismo islamico, la vecchia arma di Assad, non resterà nelle sue mani per sempre, finirà per travolgere anche lui; bene o male non fu il dittatore siriano quello che sterminò l'intera città religiosa in rivolta, Hama nel 1982? Eppure proprio ieri ad Alja Ramuh in Siria, tutte le fazioni ribelli dell'Olp si sono riunite sotto l'ala di Assad, questo avveniva nel preciso istante in cui Assad sfoderava al fianco di Clinton quel sorriso da nonnino affettuoso. «Deve averlo provato un sacco di volte davanti allo specchio», sospira l'israeliano medio. E' dura avere a che fare con questi gran volponi mediorientali. Fiamma Nirenstein