Oggi a 51 anni muore la dc di Fabio Martini

Dopo Segni se ne vanno anche i neocentristi di Casini, D'Onofrio e Mastella Dopo Segni se ne vanno anche i neocentristi di Casini, D'Onofrio e Mastella Oggi, a 51 anni, muore la de Martinazzoli battezza il Partito Popolare ROMA. La drammaturgia è quella collaudata, classica delle scissioni: alle 10, in una saletta dell'hotel Minerva - 1' albergo più apprezzato della Roma dei Papi - si riuniscono gli scissionisti di Casini, D'Onofrio e Mastella che, tra grandi tormenti, stanno per lasciare la casa madre; sei ore dopo - a un tiro di schioppo - si consuma l'evento della giornata: Mino Martinazzoli affida alla storia il nome ingombrante della de e, con un solenne discorso, inaugura la stagione del partito popolare italiano. Un annuncio che Martinazzoli farà nel palazzo che ospita l'Istituto Sturzo e nel quale - ironia casuale del destino - un secolo fa abitò il generale Giuseppe Garibaldi, grande nemico dei pontefici, come ricorda una lapide collocata sulla facciata del palazzo. E così, in un batter di ciglia, nel giro di sei ore calerà il sipario su 51 anni di storia democristiana, su un partito che, in mezzo secolo di vita, era rimasto monolitico, sempre al potere, studiato per la sua unicità dai politologi di tutto il mondo. Alle cinque di stasera il partito popolare di Martinazzoli comincerà la navigazione in un mare aperto ma già tempestoso. Dunque, il 18 gennaio 1994 muore la de e dalle sue ceneri nascono due nuove formazioni: il partito popolare e l'Unione cristiano-democratica, il partitino che è nei progetti dei neocentristi di Casini, Mastella e D'Onofrio e che, formalmente, prenderà corpo soltanto nei prossimi giorni. Il terzetto scissonista ha già in tasca un accordo con Forza Italia di Berlusconi e una mezza intesa con la Lega, ma prima di lasciare il vecchio ceppo democristiano aspetta che si consumi l'ultimo, disperato tentativo di trovare un accordo nello schieramento moderato. E l'ultima carta dovrebbe calarla, tra oggi e domani, l'amletico Segni: la diplomazia segreta della Lega e quella del leader referendario stanno lavorando da diversi giorni per un incontro a quattr'occhi tra Umberto Bossi e Mariotto Segni. E non è certo un caso che proprio ieri Segni abbia affidato ad un'intervista alla Sicilia la più esplicita apertura alla Lega mai fatta: «Sono pronto a confrontarmi con Bossi - ha detto ieri Segni - soprattutto dopo l'abbandono delle posizioni massimalistiche della Lega sulle tre Italie». Un'apertura, quella di Mariotto, che trattiene i neocentristi dall'ultimo strattone. Ma è più una sceneggiata, un gioco delle parti: ormai la separazione tra Martinazzoli e gli scissionisti si è già consumata sullo scoglio dei rapporti con la Lega e con Berlusconi, che i «neocentristi» democristiani considerano indispensabili per battere l'Alleanza dei progressisti. «La nostra politica è semplicissima - dice il neocentrista Franco Fausti - in ogni collegio un solo candidato. E' l'unico modo per battere la sinistra, che riuscirà a presentarsi con un unico candidato e con un unico simbolo». Ma da questo orecchio Martinazzoli non ci sente. Negli ultimi giorni lo ha ripetuto a tutti: a Berlusconi, a Cossiga, ieri al presidente dei deputati leghisti Maroni. E oggi il segretariocommissario della de lo ripeterà ai cronisti che lo assedieranno al termine della cerimonia all'istituto Sturzo, che invece vuole avere un sapore storico. Oggi ricorre infatti il settantacinqesimo anniversario dell'appello di don Luigi Sturzo «ai liberi e forti» e dunque il battesimo del partito popolare dovrebbe avvenire - nelle intenzioni di Martinazzoli in un clima ricco di suggestioni. Oltre al segretario, parlerà lo storico Gabriele De Rosa e saranno presenti i due presidenti delle Camere, Giovanni Spadolini e Giorgio Napolitano. Il vero «lancio» del partito popolare ci sarà dunque fra quattro giorni, con un'assemblea-kermesse al palazzo dei congressi dell'Eur. E sabato, sotto le volte del palazzo dei congressi dell'Eur fatto costruire da Musso¬ lini, sarà tutto più chiaro: Silvio Berlusconi avrà fatto conoscere le sue vere intenzioni; si sarà capito qualcosa sul fantasmatico incontro Segni-Bossi e soprattutto sarà finalmente chiara la consisenza del drappello degli scissionisti. «Contano il cinque per cento del partito», dice Rosy Bindi, che proprio quando i suoi «nemici» interni stanno per andarsene, ne scopre l'importanza: «L'abbandono dei neocentristi - dice la «Pasionaria bianca» - aggiungerebbe quella percentuale che manca al cartello delle sinistre per raggiungere la maggioranza assoluta». Proprio in queste ore gli scissionisti stanno facendo il conto delle proprie forze: con loro c'è una ventina di parlamentari (tra cui Ombretta Fumagalli, Carulli e Sandro Fontana), un buon numero di assessori e di quadri, concentrati in Emilia, Lazio, Campania, Puglie e Sicilia. Il presidente del partito scissionista sarebbe il vecchissimo Giuseppe Alessi, uno dei fondatori della de, già presidente dell'Enciclopedia Treccani. «Ma una volta che dovessimo decidere di andarcene per la nostra strada - dice D'Onofrio non ho dubbi che avremmo la fila alla nostra porta e ci ritroveremmo inevitabilmente a fare una selezione». Fabio Martini Mino Martinazzoli, segretario della democrazia cristiana

Luoghi citati: Campania, Emilia, Lazio, Roma, Sicilia