Un detective tra Raffaello e Tiziano di Marco Vallora

Oxfordiano a Firenze, sulla scia di Berenson Maestri del disegno dal Rinascimento al Barocco: gli Uffizi ricordano Pouncey Un detective tra Raffaello e Tiziano Oxfordiano a Firenze, sulla scia di Berenson BFIRENZE ERNHARD Berenson, è noto, aveva spesso toni bruschi, burberi. «Tutto questo per lei sarà greco», osservò con aristocratico sarcasmo, investendo il giovane visitatore Philip Pouncey, che aveva già distrattamente conosciuto a Londra e che ora gli rendeva devota visita ai Tatti. Il celebre conoscitore stava dialogando di attribuzioni con un collega americano, Pouncey aveva dovuto assistere in silenzio. Ma da quel fenomeno precoce che era non seppe resistere, e con rapida, maliziosa replica riuscì a dimostrare immediatamente che quel «greco» gli era familiarissimo. Uscì dai Tatti, amico stimato e riverito: Berenson - e non era pratica usuale : confidò all'amica e collaboratrice Nicky Mariano che quel giovane poteva ottenere da loro tutte le fotografie che gli erano utili per continuare le sue ricerche. Un segnale confortante per questo giovane talento della connoisseurship, che a sedici anni si divorava già voluttuosamente il Crowe-Cavalcaselle, che era innamorato dell'arte italiana e che divenuto un esperto di disegni - materia al tempo ancora assai trascurata - fece moltissimo per il nostro patrimonio grafico e pittorico. Ragionevole che a tre anni dalla morte, gli Uffizi, nonostante i problemi che quest'istituzione ha dovuto subire, sentano il dovere di dedicargli in memoria una preziosa rassegna di Disegni italiani di tre secoli, tutti studiati e spesso rivoluzionariamente attribuiti dal conoscitore inglese, nato a Oxford nel 1910, figlio di un pastore protestante. Inizia a studiare Letteratura Inglese al Queen's College di Cambridge perché non esiste nemmeno il corso in storia dell'arte. Ma frequenta il Fizwilliam Museum diretto da sir Sidney Cockerell, dipinge ritratti, copia gli antichi, è musicista e dà concerti come voce solista. E' Cockerell che gli fa ottenere una borsa di studio e convince Pouncey a venire a studiare a Firenze. Alla vigilia di rientrare, richiesto dal Museo di Birmingham, Pouncey si rende conto di noi. aver ancora visitato Siena: una fuga ed una rapida scelta. Passa davanti ad un ufficio postale e decide il suo destino con un telegramma. Resterà a studiare in Italia: da Assisi lo aiuta anche il mecenate-collezionista Mason Perkins. Quando torna in patria dopo sei mesi, Kenneth Clark lo vuole come assistente alla National Gallery, permettendogli di lavorare sul catalogo ragionato dei rinascimentalisti italiani. Scambi con Gronau, Wilde, PopeHennesy, conversazioni con Antal sul Manierismo, frequentazione dell'Istituto Warburg: Pouncey si guadagna la stima degli iconologi svelando l'iconografia misteriosa di un Tiziano. La passione per i disegni si intensifica durante le ore morte a Aberystwyth, nel Galles, dove sono state sfollate per precauzione le opere del British Museum, durante la guerra. Pouncey ha anche mansioni militari, deve decrittare i dispacci tedeschi. Ricorda la moglie e collaboratrice Myril, in un affettuoso ritratto del catalogo Olschki, di quando il marito preparava il tè per i compagni del servizio segreto - poteva esserci anche Churchill tra loro - e poi si ritirava a preparare le meticolose note per la Storia dei pittori italiani del Baldinucci. Collaboratore di John Gere per il catalogo di Raffaello e la sua cerchia, si deve soprattutto a Pouncey il progressivo approfondimento delle figure attive intorno all'artista urbinate, ovvero ai frescatori della Farnesina e delle Logge Vaticane, come Peruzzi, Perin del Vaga e l'adorato Polidoro da Caravaggio, di cui collezionò alcune preziose sanguigne (e che diede nome ad una delle sue private salse gastronomiche). Ma come dimostra questa fascinosa, ragionata scelta di opere, a cura del genero Marco Charmi, di Gianvittorio Dillon e Annamaria Petrioli Tofani, Pouncey fu preziosissimo per individuare la fisionomia di artisti minori - per pregiudizio e non per valore artistico - come dimostrano qui i risultati sorprendenti del faentino Ferrau Fenzoni o di Antonio Gionima, del rilevante Giovanni de' Vecchi, da San Sepolcro, del senese Petrazzi o di Giovanni Balducci. Non soltanto l'area tosco-romana, dunque, ma anche il piemontese Moncalvo, il napoletano Pirro Ligorio, e poi i lombardo-ferraresi, il Malosso, Aurelio Luini, il Garofano. Magari rivalutando la figura di Vasari, anche come artista; con la prodigiosa sua memoria collegando schizzi misteriosi ad opere pittoriche ritrovate; spostando sapientemente intieri corpus grafici e riscattandoli da antiche, improponibili gaffes attributive. Ecco come procedeva induttivamente, per esempio: «Se Bastianino avesse disegnato, questo sarebbe esattamente il genere di di- segni che potremmo attenderci da lui»: intuizioni folgoranti, poi comprovate da successive scoperte definitive. Quante volte l'operazione di restauro o di rimontatura ha permesso di scoprire dettagli ed indizi che accertavano le meravigliose intuizioni di Pouncey, spesso sprecate a margine di un passe-par-tout o vergate alla svelta nella sua minuta grafia, dietro una fotografia. Talvolta persino i suoi errori sono risultati fecondi. Come spiega John Gere in un omaggio del 1985 ristampato in catalogo, Pouncey era un mago del «fiuto», campione di quella curiosa facoltà attributiva «a metà tra scienza e arte». Che procedeva dai dettagli involontari alla Morelli (la forma delle mani, delle orecchie), per studiare lo stile consapevole ed inconfondibile di ogni artista. La struttura compositiva di un disegno, progettata nei dettagli, così come un poeta sceglie la parola giusta per evocare un'immagine lirica. Perché «lo stile di un'opera d'arte» come suggeriva Berenson «è anche un documento»: da studiare nel suo contesto. Come ricorda Myril Pouncey, un'attribuzione poteva essere arricchita da allusioni alle leggende dei Santi, ad un romanzo di Jane Austen o ad una novella di Maupassant. Uomo ricco di humour, Pouncey aveva una carica comunicativa rara. Un giorno, per convincere un prelato a non sostituire in chiesa una tela misconosciuta ma di valore, perorò così bene la propria causa, che il sacerdote disse ai suoi novizi: «Se sapessimo predicare con la stessa foga, convertiremmo il mondo intiero al cattolicesimo». Ma anche chi non volesse leggere questa mostra alla luce della sua figura non potrebbe che rimanere affascinato da alcuni straordinari fogli del Ghirlandaio, di Beccafumi, di Boccaccino, di Amico Aspertini, di Lotto, del Parmigianino, di Genga, di Bernardino India, di Lelio Orsi, del Pomarancio o degli Zuccari: dal Rinascimento al Barocco. Marco Vallora A sinistra, «Gruppo di giovani che cantano» di Lorenzo Lotto; sopra, «Combattimento di due guerrieri» di Jacopo Zangrandi: in mostra agli Uffizi.