Indiana Jones trova l'arca perduta di Noè di Fabio Galvano

La prossima estate cominceranno gli scavi archeologici L'archeologo americano che ispirò il personaggio cinematografico annuncia: intercettata dal radar Indiana Jones trova l'arca perduta di Noè Dopo il diluvio, naufragio a duemila metri d'altezza LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Che sia davvero esistita? Un gruppo di archeologi americani e turchi, che da sei anni svolgono ricerche nella zona di confine fra la Turchia e l'Iran, affermano di avere ritrovato l'arca di Noè. Non sull'Ararat, come vuole la ricostruzione biblica, ma poco distante: a una trentina di chilometri, ai piedi di un'altra vetta, quella dell'Ai Judi che il Corano indica come località in cui Noè approdò dopo il diluvio universale. E nel ritrovamento, in una curiosa fusione di realtà e fantasia, è coinvolto l'archeologo americano Vendyl Jones. Jones? Sì, proprio l'esperto di civiltà mediorientali che ha ispirato a Hollywood il personaggio di Indiana Jones. A chi gli domanda se si tratta davvero dell'arca, risponde con un sorriso: «Siamo fra il "può darsi" e il ' 'probabilmente' ' ». Di fronte all'inevitabile scetticismo che notizie di questa na¬ tura possono generare, gli scienziati rispondono con le fredde rilevazioni dei loro strumenti. Le loro affermazioni sono così convincenti - rivela la stampa inglese - che, dopo anni d'intransigenza e d'incredulità, il governo turco ha definito la zona «di particolare interesse archeologico» e ha deciso di av- viare nel corso della prossima estate una serie di scavi sistematici alla ricerca della nave perduta fra le pagine della Bibbia. L'arca, spiega David Fasold, è sotto uno spesso strato di terra, su un fianco della montagna a duemila metri d'altitudine. «Le immagini radar sono di una chiarezza sconvolgente», dice: «A circa 25 metri dalla poppa si possono persino contare le plance della coperta, fra le due pareti laterali». Fasold non è un archeologo, è un esperto di recuperi navali e per questo, con un gioco di parole, ama farsi chiamare «arcologo». E' il leader dell'equipe, forse l'uomo che, abituato alle ricerche sul fondo dei mari, meno di tutti credeva alla possibilità di una nave finita su una montagna. Eppure, dicono i suoi strumenti, eccola: più larga della Queen Mary - come nota l'Observer - e lunga circa la metà. Misura 157 metri per 42: quasi esattamente i 300 cubiti per 50 che Dio comandò a Noè quando gli diede istruzioni di cantieristica e come la Bibbia registra nel sesto capitolo della Genesi. Di fronte a tanti particolari viene quasi la tentazione di crederci. I radar, oltre a ima straordinaria concentrazione di ossido di ferro - la ruggine, chiaro indice di intervento umano -, avreb¬ bero identificato grandi pietre con un foro all'estremità: le pietre di zavorra che le navi dell'antichità trascinavano alla ricerca di maggiore stabilità. Salih Bayraktutan, che dirige il reparto di archeologia dell'università Ataturk, ritiene che l'età dell'arca sia di almeno 100 mila anni: «E' una struttura costruita dall'uomo - afferma con certezza - e non può essere che l'arca di Noè». I resti sono quasi fossilizzati, ma tutta la struttura inferiore - fatta probabilmente di giunco intrecciato - si è disintegrata. Inevitabilmente il presunto ritrovamento sull'Ai Judi infuria schic -e di «cacciatori c"arca», che ogni anno ven¬ gono in Turchia e si dirigono verso l'Ararat; e probabilmente crea qualche apprensione anche per l'industria turistica. David Fasold va controcorrente anche quando, alla luce delle sue ricerche, tenta una spiegazione del diluvio universale. Probabilmente, dice, non fu quello che si crede: non una grande inondazione, ma piuttosto un evento astronomico che provocò un cataclisma tettonico capace di spingere l'arca a duemila metri. Sarà. Ma per ora della prova definitiva - le orme degli animali - non c'è sugli schermi radar neppure l'ombra. Fabio Galvano La prossima estate cominceranno gli scavi archeologici

Luoghi citati: Hollywood, Indiana, Iran, Londra, Turchia