E c'è chi vuole un nuovo Iri di Ugo Bertone
E c'è chi vuole un nuovo Iri E c'è chi vuole un nuovo Iri Colajanni, Vitale e Sylos Labini replicano alla proposta Parlato MILANO. Soffiano i venti gelidi della crisi sull'industria. In Europa, in Italia in particolare, l'ansia per il posto di lavoro incombe, grande novità, sia sulle Partecipazioni statali, sia sui colossi privati, Fiat ed Olivetti in testa. Torna l'ombra del '29? Valentino Parlato, anima irriverente del Manifesto, non rifiuta il paragone. Anzi. E' l'occasione per una sfida, un po' schematica, un po' avventurosa. «Se la crisi degli Anni 30 - scrive - ha prodotto l'economia mista e in Italia Tiri, lo sforzo intellettuale e politico di questo fine secolo sarebbe quello di inventare un nuovo Iri, nella fase della mondializzazione, dell'elettronica e della telematica. Non so chi possano essere oggi i Beneduce, i Menichella, i Saraceno ma il caso Fiat ci dice che non si può aspettare. E al tavolo dei progressisti che cosa si pensa?». Insomma, il sasso è lanciato. La sinistra, pensa Parlato, deve inventare qualcosa alla vigilia di una possibile esperienza di governo. Deve cercare alleanze con l'area pensante del capitale, deve affrontare di petto il nodo della disoccupazione e della rincorsa tecnologica. Va bene il risanamento dei conti pubblici, ma non si campa di sole privatizzazioni... Ma che fine fa il sasso di Parlato nello stagno degli economisti? «Sì, penso che l'idea abbia senso. Ma Parlato non si faccia illusioni. La prossima stagione politica sarà gestita da scalzacani conformisti, incapaci di andare al di là del mito delle privatizzazioni». Risponde così Napoleone Colajanni, già deputato del pei, fuori dal partito ben prima della nascita della Quercia. E, soprattutto, illustre storico economico di questo secolo. «La cosa ha un senso - aggiunge - ma ad un patto». Cioè? «Non ha senso la formula Iri per la Fiat, per l'auto. Qualunque azionista, pubblico o privato non importa, si troverebbe comunque a fare i conti con i problemi di un mer¬ cato saturo, come quello europeo». Niente auto, insomma? «Certo. In quel caso si tratterebbe di una logica di salvataggio. No, non varrebbe la pena di investire lì, in particolare. Ma io penso alle trading compames, ai progetti di largo respiro internazionale...». E ci vuole un nuovo Iri? «Perché no? La formula dell'ente di gestione è tutt'altro che superata. Basta saperla capire». Come sapevano i vari Menichella, Beneduce e altri. Merce rara, di questi tempi. Ma a sinistra, comunque, l'idea può trovare adesioni, anche se con molti distinguo. «E per ora - commenta Paolo Sylos Labini - mi sembra più una battuta che altro». E altrove? Sentiamo Marco Vitale, assessore indipendente al Bilancio della Giunta leghista, e vicepresidente della libera università Carlo Cattaneo. «Un nuovo Iri? No grazie - sorride - Per la verità mi sembra che sia in atto una liquidazione ragionata e ben condotta dell'Ili attuale. Ed è questa, probabilmente, la riforma economica più importante dagli Anni Trenta». Ma, professor Vitale, la crisi batte alle porte. Anche in Fiat l'occupazione è minacciata... «I mali dell'area pubblica e dei grandi gruppi privati, Fiat in testa hanno le stesse radici. Ci vuole più mercato, signori miei. Mercato dei capitali, del management. L'Iri, negli Anni Trenta, era una cosa giusta. Oggi, per fare le cose giuste occorre capire il tremendo grado di integrazione dell'economia italiana. Noi non possiamo giocare in contrasto con le regole degli altri». Ma allora? «Il nuovo vuol dire capitalismo diffuso, public companies. E ancora: strutture agili, capaci di fare alleanze. Altro che megastrutture. Beneduce, ai tempi suoi, al mercato ci credeva... E lo Stato ha un compito determinante: una politica del risparmio e, soprattutto, una politica contro gli abusi». Ugo Bertone
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