Rifiuti i figli e non lo sai di Tilde Giani Gallino

Firpo, versi in forma di malinconia Una ricerca sui bimbi introversi Rifiuti i figli e non lo sai I ELLE ricerche più recenti di psicologia evolutiva si tende a privilegiare lo studio del rapporto bambinobambino, mentre un tempo ci si interessava piuttosto al rapporto adulto-bambino. Al centro di tali indagini vi sono i comportamenti individuali che paiono determinanti nel creare relazioni buone o cattive fra coetanei. In altre parole, possiamo dire che la popolarità di un bambino, o il rifiuto che gli oppongono i suoi coetanei, dipendono dalla competenza sociale che egli sa dimostrare nelle interazioni sociali di studio o di gioco con i compagni. Un compagno di scuola può essere sgradito perché «prende sempre le cose degli altri, e non le restituisce», «vuole sempre giocare soltanto a quello che vuole lui», «fa sempre i dispetti agli altri, soprattutto alle bambine», «non impresta mai niente agli altri». Quel «sempre» che ritorna di continuo ha una sua importanza. Indica infatti che i bambini tendono a dimostrare una certa tolleranza nei confronti degli altri. Possono dunque sopportare una mancanza o un'offesa quando si tratti di un fatto sporadico. Ma quando diventa chiaro che l'atteggiamento negativo è abituale la cosa non è più accettabile. E' interessante osservare che, visto dall'adulto, il comportamento negativo del bambino rifiutato non sembra essere così grave o distruttivo. A nessuno o quasi, di questi bambini, viene imputato di essere cattivo o violento, e i loro peccati potrebbero senz'altro essere definiti veniali. Tuttavia, come succede del resto nelle relazioni tra adulti, non è tanto il fatto macroscopico, ma piuttosto lo stillicidio quotidiano di piccole prepotenze, quello che logora i rapporti tra bambini e porta ad isolare il coetaneo che si manifesta come «incompetente sociale». Per contro, il bambino popolare possiede tutte le competenze per sapere come muoversi fra i coetanei: «è generoso e disponibile», «impresta volentieri i suoi giochi», «non fa mai scherzi o dispetti», «partecipa ai giochi senza imporre le sue regole», «sa ascoltare», «ride, scherza e gioca volentieri». Al di là delle azioni compiute, vi sono poi certi atteggiamenti di fondo (forse l'espressione del volto, il modo di gestire o modulare la voce) che, a detta dei compagni, rendono immediatamente simpatico o antipatico un altro bambino. Sono ad esempio molti i ragazzini che spiegano la repulsione verso il compagno rifiutato dicendo: «E' un bambino che ha l'aria da arrabbiato e stare con lui rende arrabbiato anche me», e al contrario, sottolineano come sia facile andare d'accordo con un altro semplicemente perché «è sempre sorridente». Una ricerca recente, compiuta dall'istituto di Psicologia dì Firenze, ha voluto esaminare le eventuali differenze di comportamento di un certo numero di bambini - che in precedenza erano già stati individuati come soggetti popolari o rifiutati - di fronte ad un compito-gioco, che era uguale per tutti. Un esercizio comune, proposto prima, aveva permesso di stabilire che tutti i bambini (tra 6 e 9 anni), indipendentemente dal grado di simpatia che riscuotevano fra i coetanei, avevano pari abilità individuali. Eppure, nell'esecuzione di un compito che esigeva capacità di cooperazione con un partner, si è dimostrato che i bambini rifiutati offrivano in effetti prestazioni significativamente inferiori a quelle offerte dai bambini popolari. Questa incapacità di cooperare nel gioco con il proprio partner (al fine di vincere insieme) diminuiva ancora laddove vi fosse una coppia formata da due bambini entrambi «rifiutati». Una delle ipotesi delle ricercatrici, che sembra confermata dall'indagine, è che i bambini rifiutati manifestino in genere una scarsa capacità di coordinare la propria azione con quella degli eventuali partners. Simili risultati sembrano suffragati dalle ricerche compiute dal Dipartimento di Psicologia di Torino. A livello di scuola materna, è più comune che alcuni compagni vengano rifiutati perché «picchiano». Sono infatti molti i bambini che a cinque o sei anni, non sapendo esprimersi bene o comunque al medesimo livello degli altri, passerebbero impulsivamente ad un comportamento manesco, l'unico attraverso il quale credono possibile farsi le proprie ragioni. Se così fosse, questo ritardo linguistico potrebbe però costare loro molto caro, poiché contribuirebbe al formarsi non solo di una cattiva nomea, ma anche dì una immagine interiore di se stessi come, appunto, di individui non accettati dagli altri. Tra i soggetti più grandi, da 7 a 9 anni, si sottolineano invece certi comportamenti di rifiuto di quei coetanei che, in un certo senso, non offrono garanzie, non danno fiducia. «Prende in giro gli altri», «fa la spia», «scherza sempre, anche quando si parla di cose serie», «è un bambino con cui non si può ragionare», «lui vuole sempre giocare alla guerra». 0 addirittura: «E' antipatico perché vorrebbe sempre darmi baci e io non li voglio». Spesso, invece, i bambini sono considerati tali anche in forza dì una lunga consuetudine: «Lo conosco fin da quando andavamo all'asilo», oppure dando sicurezze reciproche: «Ci raccontiamo tante cose che sono soltanto nostre, sono segreti». Da ultimo appare interessante, soprattutto a livello di scuola materna, ma anche nelle prime classi elementari, l'importanza che parecchi bambini attribuiscono al fatto di «darsi la mano». A 6 anni, il bambino definito antipatico può essere uno a cui «io gli ho dato la mano, ma lui non me l'ha voluta dare». Mentre in realtà per iniziare un'amicizia basta poco. «Sono scesa dalla panchina, l'ho salutato e ho detto: "Come ti chiami?". Lui mi ha risposto: "Ciao, mi chiamo Andrea", e siamo diventati amici». Tilde Giani Gallino

Luoghi citati: Firenze, Torino