Malpica adesso si sente «un prigioniero politico»

Malpica adesso si senle «un prigioniero politico» Malpica adesso si senle «un prigioniero politico» L'EX DIRETTORE IN CELLA ■ROMA L carcere di Rebibbia ha ben poco dell'isola di Montecristo. Eppure il prefetto Riccardo Malpica, ex direttore dei servizi segreti, dopo settanta giorni di isolamento in una lugubre cella, si sente addosso gli abiti dell'abate Faria. Si è lasciato crescere un'incolta barba bianca. Veste in modo trasandato. Rimugina sulle sue tristi sorti. Legge libri di logica matematica e mastica amaro. L'unico filo di collegamento con il resto del mondo, che l'abate Faria certo non conosceva, è un televisore che gli regala grandi arrabbiature. Così, da un po' di tempo, Sua Eccellenza ha preso a spegnere l'apparecchio quando ci sono i telegiornali. «I giornalisti li querelo tutti, ogni volta distorcono quello che dico». Si sfoga con il deputato Alfonso Pecoraro Scanio, dei Verdi, che passa di lì in visita: «Onorevole, se non fossero parole grosse, e non richiamassero questioni tanto più serie, io mi definirei un prigioniero politico». Braccio GÌ2, sezione di massima sicurezza. Il prefetto Malpica è qui. Nella cella numero dieci. Pareti di colore giallo-paglierino. Pochi metri quadrati, dove entrano a malapena un letto, uno scrittoio e una seggiola. Quando i visitatori passano dalle sue parti, l'ex direttore del Sisde è seduto sul letto e legge. Veste una tuta color rosso fuoco che lo ingoffa non poco. Pantofole ai piedi. E' bassino, con gli occhi a mandorla che ogni tanto diventano duri e cattivi. Mostra una gran barba bianca da profeta. «Come va?», butta lì il deputato. All'inizio Malpica non risponde. E' sorpreso. Poi la prende alla lontana: «Eh, che vuole, va così. Sto pensando di scrivere le mie memorie. E' un'esperienza anche questa. Pensavo peggio del carcere. Ma da due mesi non parlo che con avvocati, giudici e guardie penitenziarie». Eccolo, dunque, il grande accusatore. L'uomo che con le sue rivelazioni sull'uso e l'abuso dei fondi riservati del Sisde sta facendo tremare i Palazzi che contano. L'ex direttore ha alle spalle una lunghissima carriera, tutta interna al Viminale. Eminenza grigia di un ministero dove peraltro sono concentrati i segreti dello Stato. E lui di misteri ne conosce tanti davvero. Ci tiene a presentarsi al meglio: «Onorevole, io ho sessantadue anni e quarantadue di onorato servizio. Mi mancavano tre anni alla pensione. Di cose giuste, ne ho fatte tante. Mica solo di sbagliate. E comunque non ho mai preso soldi». Ecco, i soldi. La gigantesca buccia di banana (nell'ordine di miliardi) che ha fatto scivolare la Banda del Sisde. Sui conti cor¬ renti delle spie Broccoletti, Di Pasquale, Finocchi, Galati, Sorrentino, Martucci, gli zeri si sprecano. «Ma nel mio caso possono dire ben poco - si accalora Malpica - anche se il giorno della Befana, sentendo il telegiornale, ho fatto un salto sul letto. Lo speaker diceva che i giudici avevano trovato un mio conto corrente da quattordici miliardi. Che bel regalo della Befana! Non era vero. E poi s'è visto che è un conto dei miei colleghi. Ma tanto, che vuole farci, è riportato tutto in maniera distorta». Questo senso di frustrazione, il prefetto Malpica lo sfoga sulla carta scritta. La sua cella è ingombra di fogli e di libri. Scrive tantissimi appunti, nelle lunghe ore di sohtudine. E legge. «Storie di spionaggio?», la domanda è d'obbligo. Macché. «No, sono testi di logica matematica». E' irrimediabilmente giù d'umore, l'ex direttore del Sisde. Non è un duro come Broccoletti, che sta disteso sul letto, divora i giornali, rifiuta pure l'ora d'aria e rimugina propositi di vendetta. O un bellicoso come Antonio Galati, l'altro cassiere del servizio segreto, che sogna di dare lunghe interviste televisive per precisare in pubblico le indiscrezioni che riguardano i suoi interrogatori. «Ma come è possibile? - s'indigna Galati con Pecoraro Scanio -. Io non faccio in tempo ad usci- re da un interrogatorio e già la televisione ne parla. Qui c'è puzza di strumentalizzazione, politica e giornalistica». No, Malpica, l'uomo che subentrò nel 1987 a Parisi alla guida del servizio segreto, che per anni è stato dipinto come uno dei migliori dirigenti del Viminale, che ancora qualche mese fa era a capo di una nevralgica direzione generale del ministero (gli affari civili) e intanto gestiva il Comune di Torino come commissario prefettizio, ora ripensa con nostalgia ai tempi che furono in una cella di tre metri per quattro. Avrebbe diritto a due ore d'aria, una al mattino e una al pomeriggio. Ma siccome queste uscite all'aperto si tengono in un cortiletto con mura altissime, in solitudine e guardato a vista da agenti, ci rinuncia spesso e volentieri. Della Banda del Sisde non parla. Fa solo un accenno alle imputazioni: «Gli altri hanno l'associazione a delinquere. Io ho soltanto il peculato. Tra venti giorni riesamineranno il mio caso. Speriamo di uscire presto da qui». Però il mondo esterno, adesso, gli fa un po' paura. Dentro il carcere, in fondo, un depositario di così tanti segreti si sente al sicuro. Fuori, un po' meno. Quando ne parla, i suoi occhi si fanno a fessura e diventano di ghiaccio. «E' gravissimo il modo in cui mi hanno dipinto i giornali». Già, il mondo fuori. Malpica, ormai, è bollato come il Grande Vecchio del complotto di chi vuole destabilizzare il Paese terremotando il Quirinale. Come filo di collegamento con l'esterno gli è rimasto il figlio Nanni, 38 anni, scrittore teatrale che legge il manifesto. E' toccato a lui, nei giorni scorsi, dirgli che la nonna era morta. E' sempre lui a portare notizie della madre malata, sofferente e confinata ad Anzio. «Sì, ho un po' paura per il giorno in cui uscirò», sono le ultime parole del prefetto. E così dicendo si ritira verso il letto. Francesco Grignetti Rifiuta l'ora d'aria e si è fatto crescere una lunga barba bianca «Non leggo i giornali perché mi calunniano» A sinistra la «spia» Broccoletti, acanto il capo della polizia Parisi

Luoghi citati: Anzio, Comune Di Torino, Roma