Cristina, primo tragico anello di Paolo Poletti

Cristina, primo tragico anello Cristina, primo tragico anello Morì in cella, il corpo gettato nei rifiuti ■ ' y. -.' . ' ' ' . ' «illlilllili IMS;S5S3 ili ymm t^:^'^ìà^;'£s^^ mi- 1 ESTORSIONE NEL SANGUE F U un caso clamoroso, che tenne l'Italia col fiato sospeso per tutta l'estate del lontano 1975. A quell'epoca i sequestri di persona rappresentavano nel Settentrione un fatto nuovo, una violenza che sembrava dover essere confinata alla Sardegna e alla Calabria e che invece stava esplodendo nel cuore della società più industrializzata del Paese. Il caso Mazzotti, con la morte dell'ostaggio dopo lunghe e frenetiche ricerche - incluse quelle del cadavere in alcune discariche - scosse ancor di più l'opinione pubblica. Anche perché negli stessi mesi la cronaca doveva registrare nel Varesotto due casi analoghi: quello del giovane Emanuele Riboli, 17 anni, figlio di un industriale meccanico, rapito mentre tornava da scuola, e quello dell'industriale sessantenne di Comerio, Tullio De Micheli. Due scomparsi nel nulla, e per sempre. Molte famiglie benestanti iniziarono a prendere precauzioni, diversi giovani «a rischio» presero la via dell'estero, per completare gli studi in Sviz- zera, in Francia, a Londra. Cristina Mazzotti, 18 anni, venne rapita alle tre di notte del 1° luglio 1975 mentre rientrava nella villa di famiglia a Eupilio, vicino a Erba, in Alta Brianza. Era accompagnata da due amici che non poterono far nulla davanti a quel gruppo di banditi professionisti, armi in pugno. La ragazza venne caricata su un'auto, e scomparve. Il padre Elios, noto commerciante di cereali, era in Argentina per lavoro, rientrò in Italia dopo 24 ore e iniziarono le trattative con la ban- da. Si saprà poi che il «basista» del rapimento, colui che aveva indicato la vittima, era un macellaio della zona, Alberto Menzaghi, ma che l'esecuzione era opera di una cosca calabrese di Lamezia, il clan Giacobbe, indiziata per l'omicidio del magistrato Ferlaino. E forse era la stessa banda che aveva rapito Riboli e De Micheli. Per venti giorni Cristina fu chiusa in un cubicolo senza luce, e imbottita di Valium. Non aveva una gran salute, e non sopravvis¬ se ai maltrattamenti. Quando il padre pagò un miliardo di riscatto, in luglio (somma enorme raccolta anche con l'aiuto di alcuni concorrenti in affari), la ragazza era già morta ed era stata sepolta in una discarica del Novarese, dove venne trovata alla fine di agosto. Elios Mazzotti non resistette a lungo al dolore, morì d'infarto pochi mesi dopo a Buenos Aires, a soli 54 anni. Lo zio di Cristina creò una Fondazione col nome della nipote assassinata. I banditi, o perlomeno gli esecutori ma¬ teriali, vennero quasi tutti arrestati grazie alla confessione del più maldestro di loro, lo svizzero ticinese Libero Ballinari, il carceriere della ragazza. Il 7 maggio 1977 la corte d'Assise di Novara comminò otto ergastoli, che furono ridotti alla metà due anni più tardi in appello, a Torino. Il 14 luglio 1979 i giudici torinesi condannarono al carcere a vita i «becchini» Ballinari, Angelini, Geroldi e l'uomo venuto dal sud, Achille Gaetano. Due donne che avevano ricoperto il ruolo di carceriere, Loredana Petroncini e Rosa Cristiano, passarono dall'ergastolo a 25 e a 18 anni di reclusione. Il «boss» Nino Giacobbe e il suo luogotenente Gattini videro tramutato l'ergastolo in trent'anni di carcere. Ma Giacobbe non fu soddisfatto, urlò dalla gabbia frasi sconnesse e insulti all'indirizzo dei giudici. Forse sperava nell'assoluzione. Invece, quindici anni dopo, le porte del carcere si sono aperte anche per la «mente» di quell'orribile misfatto anni '70. Paolo Poletti Il padre Elios stroncato dal dolore Pagato un miliardo Da sinistra: Cristina Mazzotti, Emanuele Riboli, Antonella Dellea