«lo, vittima dell'invidia» di Marina Verna

«lo, vittima dell'invidia» «lo, vittima dell'invidia» Una carriera tra successi e polemiche UN «MAGO» CON TANTI NEMICI FU Manuela, vent'anni circa, a far conoscere al grande pubblico Severino Antinori. Era il 1988, Sergio Zavoli conduceva in tv «Viaggio intorno all'uomo». E una sera comparvero loro, la famiglia dello scandalo: una donna ormai prossima alla menopausa, che non poteva più avere figli ma ne desiderava ancora uno dal nuovo marito; lui, assai più giovane e altrettanto determinato a diventare padre; la figlia di lei, Manuela per l'appunto, che aveva accettato il ruolo di incubatrice di un bambino non suo. L'ovulo era infatti attribuito alla madre, il seme era del patrigno. In studio, i commenti furono scandalizzati. «Molti volevano mandare in galera l'uomo che aveva osato tanto - ricorda uno degli ospiti, il ginecologo Carlo Campagnoli qualcun altro invocava una nuova regolamentazione. Antinori, seduto fra noi, si guardò bene dal presentarsi come il padre della prodezza. Manuela, intimorita, si limitò a dire: "Io mi vergogno tanto"». Severino Antinori si definisce «un abbruzzese onesto, forte e gentile». Poi aggiunge, minaccioso: «Ma sono nato in un paese vicino a quello di Di Pietro...». I nemici sono avvisati. E non gli mancano certo. Per lui, è tutta gentaglia invidiosa del suo successo. «L'Italia è una fogna delle baronie. Sono loro che mi attaccano. All'estero, invece, mi apprezzano e mi invitano. Eppure il 90 per cento dei cattedratici italiani non ha mai pubblicato su una rivista prestigiosa come "The Lancet". Io invece sì: due volte». Pubblicazioni molto chiacchierate, però. Perché portano una doppia firma: la sua, ma anche, e innanzitutto, quella dell'inglese Simon Fishel, un biologo dall'ottimo pedegree scientifico, venuto in Italia a lavorare con lui perché il Comitato Etico britannico gli aveva negato l'autorizzazione a sperimentare sulle coppie un suo trattamento rivoluzionario per le forme più gravi di infertilità maschile. I suoi successi, Antinori li ha sempre sbandierati ai quattro venti, spesso forzandoli un po'. Come quando in un'intervista si attribuì la priorità scientifica di una tecnica, messa a punto invece dall'americano Jacques Cohen. Un ricercatore della Stazione Zoologica di Napoli, Brian Dale, mandò una lettera al giornale mettendo i puntini sulle i. Antinori replicò con la sua arma preferita: la querela. La sentenza è attesa a giorni. Di scoop in scoop, questo abruzzese non ancora cinquantenne, con una prima specializzazione in Gastroenterologia e una seconda in Ostetricia ginecologia, si è fatto largo con grande disinvoltura nel mondo disperato di chi non può avere figli. Si vanta di poter accedere quando vuole alla televisione. E anche il cinema gli ha aperto le porte: nei mesi scorsi ha interpretato se stesso nel film di Pino Quartullo «Le donne non vogliono più», storia di due coppie, una etero, l'altra omosessuale, che vorrebbero avere un figlio ma non ci riescono. A suo dire, sono circa 630 i bambini nati con le varie tecniche usate nel suo Istituto di Ricercatori per la Riproduzione Umana - R.A.P.R.U. - un numero neanche troppo alto, dato che dichiara di aver fatto in vita sua più di diecimila interventi. A fargli qualche conto in tasca in base alle voci, deve aver accumulato un patrimonio impressionante. La visita per conoscere la coppia costa 600 mila lire. L'analisi del caso, un milione. E ogni ciclo di trattamento (mediamente, ce ne vogliono quattro o cinque perche l'ovulo attacchi e si sviluppi) almeno dieci milioni. «Sono menzogne - lui ribatte - Le mie tariffe sono al di sotto dei quattro milioni per ciclo. E il 10-12 per cento delle mie pazienti non paga: ho avuto molte donazioni, soprattutto da arabi e tedeschi, che utilizzo per la ricerca e la solidarietà». La sua ultima frontiera sono le gravidanze in menopausa. «Ho già trattato - dice - centocinquanta donne. Senza aver avuto nessun incidente. Perché faccio esami seri: se il fisico non è a posto, se la speranza di vita non è di almeno vent'anni, io le congedo. E loro magari vanno da qualcuno dei miei colleghi, che a parole mi demonizzano, ma nel chiuso del loro studio fanno quello che io mi rifiuto di fare. Come quel barone cattolico che ha preso in cura una cardiopatica grave di 39 anni: il figlio è nato, ma lei è morta. E che dire di tutti quei prelati del Vaticano che mi raccomandano donne disperate, pregandomi però di non fare il loro nome? Sono già 26 i bambini nati da donne in menopausa, tra i 49 e i 55 anni». Antinori si vanta di essere l'unico ad aver portato in un convegno una casistica scientifica sulle gravidanze in menopausa e le problematiche connesse. Una vanteria molto discutibile: pochi altri ginecologi osano sfidare un tabù biologico e culturale di questa portata. Ma lui tira dritto. «Oggi una donna vive in media 80 anni. Questo cambia tutta la prospettiva della sua vita, avere un figlio in tarda età non significa condannarlo a un destino di orfano. Sarà un bambino infelice, con una nonna per madre? E che dire allora di chi ha una pornostar per madre, o una drogata? O una che lo maltratta e lo trascura?» Lo accusano di usare farmaci pericolosi, per ridare vitalità all'utero. E lui si scalda: «Non è vero. Io uso i famosi cerotti per la menopausa, con una semplificazione e un miglioramento delle dosi. E le mie ricerche andranno lontano, questi farmaci faranno vivere fino a cent'anni, dato che ridanno alla donna gli ormoni che la menopausa le ha tolto e che sono fondamentali per la sua gioventù». Ma dov'è il senso di queste maternità che la natura non concederebbe? «Questi ragionamenti sono crudeli. E in genere li fa chi ha già dei figli. L'ha detto anche il ministro Conso: l'assenza di figli è una sofferenza profonda, come la depressione. E come tale andrebbe curata. A qualunque età, con tutti i mezzi a disposizione». Ma qualcuno non aveva detto: «Non tutto quello che si sa fare, si deve anche fare»? Marina Verna

Luoghi citati: Italia, Napoli