I tre «monelli» dicono addio alla dc di Fabio Martini

Mastella, Casini e D'Onofrio hanno deciso: daranno vita all'Unione cristiano-democratica Mastella, Casini e D'Onofrio hanno deciso: daranno vita all'Unione cristiano-democratica I tre «monelli» dicono oddio olio de Martinazzoli: è una diserzione ROMA. Non poteva essere uno scherzo, quel bigliettino era troppo esplicito: «Si invita mister Mastella presso l'ambasciata degli Stati Uniti, in occasione...». Lo stesso cartoncino è arrivato agli altri due «monelli» della de - a mister Pierferdinando Casini e a mister Francesco D'Onofrio - e così, l'altra sera, quasi come Cenerentola al ballo del principe, i tre capi della scissione sono entrati nel salone dei ricevimenti dell'ambasciata Usa a Roma. A riceverli l'ambasciatore Reginald Bartholomew e il sottosegretario agli affari europei del Dipartimento di Stato Stephen Oxman. E così, tra deliziose tartine alla carota e frizzanti calici di Moét Chandon, i neocentristi che stanno per lasciare la de hanno incassato il miglior viatico per la loro avventura. Certo, nel salone c'erano anche altri invitati - il ministro Spini, il pidiessino Barbera e per la de ufficiale Rosa Russo Jervolino e Rocco Buttiglione - ma loro, i tre monelli, sono stati invitati dall'ambasciatore proprio come leader di qualcosa di diverso dalla de. Bartholomew e Oxman hanno voluto sapere dai tre molte cose sulla politica italiana e nell'incrociarsi di battute è intervenuto anche l'ambasciatore bulgaro: «Ma chi me lo avrebbe detto che sarei finito in un Paese in mano ai comunisti?». Certo, l'invito dell'ambasciatore Bartholomew è nulla più che un invito («Negli Stati Uniti saremmo repubblicani...», gli ha detto sorridendo D'Onofrio), ma evidentemente anche in via Veneto si sono accorti che la de è alla vigilia della spaccatura. Lo strappo si è consumato due sere fa, in un incontro a quattr'occhi tra Martinazzoli e D'Onofrio, che per l'ultima volta ha rilanciato il progetto dei «centristi» di un accordo minimo con la Lega e con Berlusconi. Non c'è stato nulla da fare, Martinazzoli ha ripetuto che il partito popolare andrà alle elezioni senza alleati, anche se ha fatto capire che, a risultati elettorali digeriti, un discorso con la Lega si potrà impostare. Dunque, l'annuncio ufficiale della scissione è questione di ore e Martinazzoli, che ha capito l'antifona, ieri ha cominciato ad incrudire la sua prosa rotonda: «Una scissione? Piuttosto una diserzione: la scissione riguarda l'identità di un partito e non credo che ci siano moventi di questo tipo...». Come dire: i neocentristi se ne vanno perché vogliono salvarsi il posto in Parlamento. Certo, il trio avrebbe preferito restare, essere candidato con tutti i crismi da Segni e Martinazzoli, ma visto che questo non è stato possibile ora i «neocentristi» se ne vanno con la motivazione politica che declamano da mesi: senza un accordo elettorale con la Lega e con Berlusconi lo schieramento moderato va incontro alla sconfitta. Ma, una volta tagliati i ponti con Martinazzoli, i centristi non sanno ancora chi potrà aiutarli. Il partito che nasce dalla scissione della de per ora ha soltanto un nome (Unione cristiano-democratica) e un elenco di quadri (soprattutto nel Mezzogiorno) pronti a scattare all'appello dei tre. E soprattutto gli scissionisti hanno in tasca un'alleanza - se così si può definire - con un altro drappello nato dalle macerie degli altri partiti: è l'«Unione dei democratici e socialisti», un cartello sorto semiclandestinamente nelle ultime ore e che tiene assieme il psdi, i socialisti anti-Del Turco (guidati da Maurizio Sacconi e Franco Piro), i repubblicani di destra (Santoro e Castagnetti) e due personaggi che hanno fatto un lungo, originale tragitto: Tiziana Maiolo e l'ex parlamentare di Rifondazione Gianni Sarritzu. Gli scissionisti de e questo nuovo cartello-macedonia hanno lo stesso obiettivo, la stessa pallida speranza: «Quello di convincere Segni a trovare un'intesa con Bossi e Berlusconi», dice Maurizio Sacconi, una delle poche facce pulite del psi «craxiano». E, dietro le quinte, per far decollare questa alleanza così difficile, stanno lavorando ad un possibile programma comune Bossi-Segni anche due intellettuali di prestigio come Saverio Vertone e Giulio Tremonti. Di più: ieri, nella speranza di schiodare Segni dalla sua alleanza autarchica con Martinazzoli, è sceso in campo persino Cossiga. I due sardi si sono incontrati a Montecitorio, ma non si sono intesi se è vero che alla fine dell'incontro Segni ha detto: «Mi sono limitato ad ascoltare...». Come dire: oramai sto con Martinazzoli e non se ne parla più. E così, ai centristi-scissionisti non resta che una prospettiva: massima flessibilità nelle alleanze. Se Casini potrà sperare, nella sua Bologna, in un appoggio da Lega e Berlusconi, Mastella e D'Onofrio che a Benevento e Roma convivono con un msi rampante potrebbero non scartare un'alleanza «tattica» anche con Fini. E Martinazzoli, che proprio ieri ha rifiutato un incontro con gli scissionisti, lancia il suo ultimatum: «La Lega sta evidenziando una debolezza strategica insanabile: perché lasciamo a Bossi la possibilità di spaccarci?». Fabio Martini Il segretario della democrazia cristiana Mino Martinazzoli

Luoghi citati: Benevento, Bologna, Roma, Stati Uniti, Usa