Pretini, miliardi e misteri

Pretini, miliardi e misteri LO SPORTELLO BENEDETTO Pretini, miliardi e misteri Quegli affari all'ombra del Torrione «Ri ODRIGO Borgia? Un grande pontefice che ha fatto grande la Chiesa», proclamava a ogni pie sospinto il vescovo americano Paul Casimir Marcinkus, fascinoso capo storico della Banca vaticana, spaziando con lo sguardo nella loggia del Bramante. Si deve sapere, invece, che l'orrido Rodrigo, proclamato papa col nome di Alessandro VI, fu una delle figure più scellerate de) Rinascimento, un pontefice dissoluto e senza Dio. Ma governò la Chiesa come un re, privilegiando sempre la politica sulla morale, la ricchezza sulla carità. Il cardinal Marcinkus, che con sommo piacere lo evocava, sommerso da una slavina di scandali ormai insostenibili al cospetto di Dio e degli uomini, se ne è dovuto tornare da qualche anno in quel di Chicago, dove pullulano i campi da golf, che ama frequentare. Ma i suoi epigoni nel Torrione di Niccolò V, allevati alla spregiudicatezza della sua scuola, continuano a dibattersi tra le opere di religione e le speculazioni, tra la carità e la grassazione, tra la morale cristiana e l'ansia pelosa della vii moneta. Ecco il senso storico - ce la passate? - della deposizione di Bisignani al processo Cusani: lui, il giovanotto che aveva sotto le dita tutti i tasti del potere («Mi manda Andreotti»), arrivava sotto l'Arco delle Campane, superava il controllo delle guardie svizzere, s'insinuava nel cortile dell'Olmo, e saliva nel Torrione di Niccolò V col suo regolamentare plico sigillato, il mazzettone gradito, atteso, forse invocato. Che volete? Se la politica costa, la religione costa assai di più e la Chiesa - possiamo dirlo? - ò tradizionalmente affamata di denari. Assolutamente mitico, nel contesto, il procuratore Di Pietro, finto fesso molisano: ma allo Ior, dottore, c'è uno sportello come in una banca? Ci sono pretini dietro il vetro ? Macché pretini, macché sportello: nel Torrione, dottor Di Pietro, c'è soltanto una grande banca estera, molto più riservata, segreta, sofisticata di quelle che lei ha potuto vedere nella sua trasferta lussemburghese. E di certo non come quell'agenzia di Milano dove lei ha il suo contiamo di servitore dello Stato. Al Torrione, se non siete una suorina sperduta che viene da Bogotà, non fate file, non riempite moduli, non incontrate pretini cassieri o contabili e neanche il Bancomat. Prendiamo il postino Bisignani: forse lui era accolto all'Arco delle Campane, a sinistra della basilica di San Pietro, da un'auto blu che lo conduceva, perché non si stancasse, ai piedi del torrione. Saliva al primo piano, dove una volta c'erano le galere, e veniva ricevuto da Donato. Sì, monsignor De Bonis, amico di Gelli, amico di Andreotti e di Colombo, mille volte interfaccia di Sindona e di Calvi, gaio, elegante, mondano, un manager che non sfigurerebbe a Wall Street. Una stanzetta, un tri- tadocumenti e un telefono d'alluminio: tutto lì - Di Pietro lo deve sapere - perché il potere del monsignore di tutto ha bisogno fuorché di orpelli. Figlio di un direttore di banca - il sangue non e acqua - e di una maestra d'asilo di Acerenza, provincia di Potenza, Donato ha un unico vezzo: far vedere che lui ha dimestichezza con i potenti e i famosi. Tra i trofei più esibiti un biglietto del 1981 di Eduardo De Filippo: «Mio caro Donato...». Chissà come nasce: Eduardo, poveretto, sembra alle prese con una commedia: «Mi è stato chiesto: cosa faresti se San Francesco bussasse alla tua porta? Ho risposto: da quando ebbi l'uso della ragione consegnai al poverello d'Assisi la chiave di casa mia. Da quel momento San Francesco non bussa alla mia porta. Entra quando vuole». Nell'aprile scorso, quando Mani pulite aveva già segnato il suo sentiero, l'elegante monsignor De Bonis, famoso per i suoi gemelli, fu fatto fuori dallo Ior e si autocelebrò in una cerimonia in Santa Maria della Fiducia, di cui, oltre a sé stesso, elesse protagonisti Cos- siga, Colombo e, soprattutto, Andreotti, applaudito a scena aperta dalla platea di prelati per un'eternità. Non solo Bisignani - figuriamoci - che portava pacchettini di Cct, era il protagonista della sua memoria storica, ma tutti i bancarottieri e i faccendieri d'Italia, da Sindona a Calvi, da Gelli a Carboni, in un intreccio inestricabile tra cattolici timorati e diabolici massoni, un intreccio per sciogliere il quale - se permettete - rimandiamo i lettori a un aureo saggio di Leonardo Coen e Leo Sisti («Il Caso Marcinkus - Le vie del denaro sono infinite»), pubblicato da Mondadori. Sono proprio infinite le vie del denaro? L'elegante monsignor De Bonis ebbe di certo a che fare, insieme ai suoi capi, con la Polonia, dove all'inizio degli Anni Ottanta furono destinate molte e molte decine di miliardi uscite dal Ban- j co Ambrosiano, che consentirono | la creazione di Solidarnosc, la l scalata di Walesa e forse il terre- j moto in tutto l'Est europeo. Lo Ior gestì tutto, non solo quanto era nella sua diretta disponibilità, ma anche i finanziamenti che parti¬ vano dagli Stati Uniti e, in particolare, dalla diocesi di Chicago, patria del vecchio capo golfista, o dalle Bahamas, dove Calvi aveva le sue scatole cinesi. Ma non vorremmo impantanarci in complesse storie politiche internazionali del papa polacco, che ha cambiato la storia del continente. Dio ce ne scampi. Ci piacerebbe piuttosto tornare da Danzica a Napoli, per esempio. Ricordate cosa accadde anni fa sotto il Vesuvio? Fu rapito il figlio dell'allora segretario del partito socialista Francesco De Martino. Pagato il riscatto, il gio- Elegante monsignore Negli anni di Marcinkus pronto per Wall Street il modello era Borgia A sin. Licio Gelli Sotto, Roberto Calvi il «banchiere di Dio» A destra, la sede dello Ior al centro dei misteri dell'Ambrosiano