Al museo della Prima Repubblica di Filippo Ceccarelli

Al museo dello Prima Repubblica gif:- MEZZO SECOLO DI MITI Al museo dello Prima Repubblica Dal cornetto di Almirante al basco di Nenni AROMA DESSO che è finita sul serio, un po' di rispetto per la Prima Repubblica. E forse anche un po' di malinconia per questo mezzo secolo di storia, per questi partiti e per i loro simboli di pietra, di carta, di cenere, forse anche di sangue. Assicurarsi bene, comunque, prima di partire con gli struggimenti sul rosso tramonto romano che abbraccia Montecitorio, e le ombre lunghe della sera che calano sugli ultimi deputati, infreddoliti, un volo di piccioni sulla piazza transennata, l'ultimo autista fedele e baffuto, l'ultimo portaborse che non ha ancora capito, l'ultimo caffè, l'ultimo giro sulla giostra di piazza Navona (come davvero hanno fatto i leghisti), ecco, prima di seguitare con questo sogno di poetica nostalgia assicurarsi che non sia stata sepolta viva, la Prima Repubblica. E poi - ma solo a quel punto - buona notte. E allora addio ai miti, ai riti, ai siti di questo ciclo durato quasi mezzo secolo. Addio alla rinfusa: le «cacciarelle» di Saragat a Castel Porziano, l'udienza pontificia al segretario della de, la stanza un po' buia della Vigilanza del pei, il fazzoletto di Mancini, i gilet scozzesi di Trombadori, la velina di Orefice, le risse a calcioni e gli operatori giapponesi nel cortile di Palazzo Chigi, la sequenza di Almirante che tira fuori il cornetto propiziatorio a Tribuna politica, il basco di Nenni, il manuale Cencelli, il doppiopetto di Togliatti, la biblioteca politica di Cossiga venduta all'ingrosso alle librerie seconda mano, il quadro di Mauro Leone donato dal papà presidente a Gerald Ford, la pipa di Pertini, la marcetta «Avanti, compagni!» che scassava i timpani ai congressi craxiani e garantiva che «Socialismo è un lavoro sicurooooo!» [zùm zùm), gli svenimenti di De Gasperi, la paccottiglia nostalgica di Rifondazione, la coperta che avvolgeva il corpo di Moro nella Renault rossa... E senza gerarchie, senza allegrie, come sospeso tra la rassegnazione, la speranza e l'entomologia, può continuare più di quanto s'immagini il repertorio delle cose che questa benedetta Prima Repubblica dovrebbe portarsi via. Se non se le è già portate. Leggero stordimento, adesso, da obiettivo conseguito. Viene quasi la voglia di figurarsi come se la immaginavano, la Seconda, più di vent'anni fa. E forse bisogna prendere lassù in alto, nella libreria, un volumetto stampato dalla Garzanti nel 1972: «La Repubblica probabile. L'Italia di domani nel pensiero delle diverse correnti politiche», con i testi di Andreolti, Bertoldi (psi), Cottone (pli), La Malfa (Ugo), Luzzatto (psiup), Natoli (Manifesto), Orlandi (psdi), Pieraccini, Sullo, Terracini. Ebbene, a parte Andreotti, ce ne fosse uno degli altri autori rimasto in servizio. Ma la loro Seconda Repubblica è una delusione per il lettore di oggi: 350 pagine fumose e anche un po' soporifere. Le vertigini, piuttosto, vengono a sfogliare un altro testo più o meno coevo, un dizionario che ti da la terribile misura del tempo passato, «Le Parole della politica» dell'eruditissimo giornalista demitiano Di Capua. Altro che la voce «craxismo», qui si parla di ;Abolizionismo» (delle case chiuse), di «Acpol» (gruppo nato dalle Acli che ai tempi di Livio Labor fecero la «scelta di classe»), di (Addormentare» (si legge con tenerezza che «Aldo Moro è considerato un maestro nell'arte di a.», di «assiemaggio» (locuzione tavianea)... I tempi in cui le piccole agenzie giornalistiche, quasi tutte de, erano quasi una trentina con nomi e sigle stranissime (Agenparl, Aipe, Airi, Aisa, Ari, Dap, Dies, Ipe, Np, quest'ultima distinta da «Nuove proposte»). Ma queste, in fondo, già da tempo non c'erano più. Così come, a prescindere dal lexicon dicapuano, ma sempre ri- manendo alla lettera «A», stanno per sparire - se non sono già spariti - parole e concetti come «arco costituzionale», «appoggio esterno» e pure la sospirata «alternativa». Insieme all'Inquirente e all'immunità, d'altra parte, sono cominciati a sparire i palazzi dei partiti. E se mai più ci sarà l'immagine dell'ufficio postale di Montecitorio intasato dai regali sotto Natale, e se tanti poderosi archivi di ritagli - quello storico della de è a rischio, quello personale di Andreotti fu già prenotato dallo Stato (con infastidita reazione del possessore) - vengono consegnati ormai alla storia, certo senza il psi sta già cam¬ biando aspetto il palazzo di via del Corso. E quindi viene da chiedersi - domanda giusto un po' sbarazzina - dove saranno finiti adesso i quadri iperrealisti della Frosini che Del Turco odiava, dove l'ombrellone della terrazza di Craxi. E chi accenderà il fuoco, domani, nel caminetto della stanza di Martelli? Allo stesso modo sarà bene che i prossimi acquirenti di Palazzo Sturzo sappiano che per volontà fanfaniana la prima pietra del brutto edificio fu prelevata dalla Scogliera delle Stimmate alla Verna, «la montagna secondo la prosa del segretario su cui ascese verso la contemplazione e il sacrificio San Francesco». Cosi come chi comprerà la scuola del pds delle Frattocchie, e con la scuola il parco, i pini, gli ulivi sappia che in anni lontani il direttore era un certo Enrico Berlinguer. Conservare, per i partiti, comincia ad essere rimarchevole e impegnativo. Alla terza sede, al quarto simbolo, i superstiti radicali si sono tenuti un enorme, ingombrantissimo capoccione con berretto frigio, E cresce ancora, in un angolo del cortile di piazza del Gesù, il lunghissimo fico selvatico. E' ancora presto per inserirlo nel museo della Prima Repubblica. Filippo Ceccarelli Che cosa sostituirà il Cencelli le veline di Vittorio Orefice e le marcette dell'Avanti? Un'immagine di Palazzo Chigi Pietro Nenni, quando era segretario del partito socialista Piazza Montecitorio A destra il presidente Pertini

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