Professione: aspirante boss

Professione: aspirante boss LA CARRIERA DI UN INSOSPETTABILE Professione: aspirante boss Sangiorgi, da medico a «uomo d'onore» PALERMO DAL NOSTRO INVIATO La telenovela di Cosa nostra, per una volta, abbandona i cupi scenari delle riunioni clandestine, delle faide tra uomini rozzi e incolti, per entrare in un palcoscenico nuovo, certamente più soft, addirittura raffinato, anche se caratterizzato dalla consueta presenza del sangue. No, quella del dottor Gaetano Sangiorgi non è la solita storia del poveraccio divenuto killer quasi per necessità. Né la vicenda del «picciotto» affiliato dopo aver dimostrato buoni requisiti e attitudine al coraggio. Il dott. Gaetano, vezzosamente chiamato - con qualche cedimento al sentire popolare - «Tani», è il ritratto di quel particolare ambiente palermitano che magistrati e collaboratori della giustizia hanno imparato a descrivere come la «zona grigia» della mafia. Cioè quella fetta di società (destinata tra breve ancora agli onori della cronaca) che vive in apnea, finge di ignorare ciò che accade sotto i suoi occhi, occupa prevalentemente posti di responsabilità, dichiara il massimo orrore per la violenza mafiosa ma non varca mai la soglia di un commissariato e, quando la giustizia si fa vicina, mette in moto tutte le «buone conoscenze» (spesso acquisite con la militanza lobbista e massonica) per «parare il colpo». La vicenda di «Tani» Sangiorgi si snoda tutta fra salotti buoni, yacht da mezzo miliardo, ville dorate al mare, in montagna e all'estero. Eppure, tra feste miliardarie, matrimoni faraonici, sane frequentazioni e amicizie altolocate il buon medico, titolare di un avviatissimo laboratorio d'analisi, trovava il tempo e la voglia di incontrarsi col «meglio» del clan dei corleonesi. Ed era tanta la sua dedizione a Cosa nostra che stando al racconto dei pentiti posto di fronte alla drammatica scelta di dover decidere tra la «famiglia» e la famiglia di sangue, «Tani» non ha avuto dubbi, scegliendo le necessità degli «uomini d'onore» e mettendosi a disposizione per rendere più agevole l'eliminazione di Ignazio Salvo, cugino del padre di sua moglie, Angela, figlia di Nino, grande esattore e capomafia di Salemi. D'altra parte, quando Sangiorgi sposò Angela era notoria, almeno in Sicilia, la dubbia origine delle fortune della famiglia Salvo. I maligni etichettarono il «colpo grosso» di «Tani» con una battuta al vetriolo: «Patrimonio d'amore». Ma erano altri tempi e qualsiasi sospetto poteva, senza scandalo, essere fugato dalla semplice constatazione che «i soldi non hanno odore». Erano i tempi in cui a Palermo comandava un gruppo politico-affaristico (egemonizzato dalla corrente dell'andreottiano Salvo Lima e da Vito Ciancimino) che si circondava di «buoni professionisti» e rappresentanti della cosiddetta borghesia produttiva. Anche il professor Giuseppe Sangiorgi, padre di Gaetano, non era lontano da questi ambienti. Di lui si favoleggia per la sua appartenenza agli alti gradi della massoneria. Primario di anestesia e rianimazione all'ospedale civico, diretto dal fratello di Salvo Lima e poi gestito da un presidente di stretta osservanza andreottiana, è stato amico della famiglia Cassina, una delle più potenti a Palermo. Già, Andreotti. «Tani» ha avuto più di un guaio per queste presunte frequentazioni. Fu interrogato dai magistrati che indagano sul senatore a vita accusato di mafiosità. Cosa volevano sapere i giudici? Chiedevano notizie del famoso vassoio d'argento che il «divo Giulio» gli avrebbe inviato come regalo dì nozze. Tutto per un vassoio? Può sembrare eccessivo, l'interessamento. E invece, allora, aveva un senso. Ai magistrati serviva una prova che Andreotti mentiva asserendo di non conoscere i Salvo di Salemi. Oggi quel vassoio vale certamente meno, perché - sostengono i giudici è stato «superato dalla storia». Che tradotto vuol dire che al palazzo di giustizia di Palermo sono convinti di aver le prove della frequentazione di Andreotti con i cugini Salvo. Eppure anche allora Sangiorgi, interrogato, non negò decisamente. Disse che erano arrivati tanti regali, alcuni con biglietto, altri senza e quindi non poteva ricordare se c'era anche quello di Andreotti. Poi insinuò il sospetto che poteva trattarsi di un altro matrimonio. Chissà qual è la verità. D'altra parte, chi può dire con certezza quanti regali ricevettero Angela e «Tani». Gli invitati erano a centinaia e Palermo rimase affascinata da quella cerimonia e soprattutto dal «rinfresco» all'aperto, con le aragoste a vagoni, lo champagne a fiumi e la frutta attaccata agli alberi che fa tanto tropico. Quel giorno i politici fa¬ cevano la fila davanti al buffet. Difficile dire chi c'era e il filtro all'ingresso assicurava discrezione. Oggi «Tani» ce lo presentano davvero a tinte fosche. Come uomo capace di uccidere ed andare (così sarebbe avvenuto per Ignazio Salvo) poi ai funerali della vittima. Lo descrivono come uomo d'onore che apre la strada ad assassini del calibro di Bagarella, di quel Gioè suicida e dell'altro buon borghese prestato a Cosa nostra: Giovanni Scaduto, ex funzionario di banca dimissionario per grane giudiziarie, genero di Totò Greco, fratello di Michele il papa, massone, detto il «senatore» per il ruolo politico che la cupola gli aveva affidato. Ce lo presentano come supervisore del gruppo che, per conto di Salvatore Riina, si adopera per organizzare l'eliminazione del ministro Claudio Martelli che a Cosa nostra «aveva proprio rotto i c...». Era il dicembre '92 e un taxi con due persone a bordo attirò l'attenzione dei carabinieri addetti alla sorveglianza di casa Martelli sull'Appia. Uno era Sangiorgi, l'altro era il cardiochirurgo Gaetano Azzolina, anch'egli personaggio noto della Palermo che conta. I due dissero che si erano fermati per ammirare quella bella casa e la storia finì lì. Ora uno dei pentiti racconta che c'era una persona incaricata da Riina di organizzare l'attentato a Martelli e gli investigatori cominciano a non credere molto alla versione data da Sangiorgi in quel dicembre del '92. Insomma, il dottor Sangiorgi sembra avvicinarsi più allo stereotipo dell'aspirante boss che a quello del professionista. Sempre con molta classe, a sentire i pentiti. «Tani», infatti, anche con i duri di Cosa nostra si lascia andare a pensieri gentili e raffinati. Sapete cosa regalò a Natale a Gioè, a Bagarella, a La Barbera e a Giovanni Brusca? Dei deliziosi «Carrier di diverso modello», racconta un pentito. Poi ne consegnò un quinto, ancora a Bagarella, per farlo avere a don Totò Riina, dicendo «che si trattava di un pensiero». Le buone maniere non si scordano facilmente. Francesco La Licata Conosceva la verità del vaso che Andreotti avrebbe regalato al potente esattore Sospettato di aver voluto uccidere Martelli Nella foto grande Gaetano Sangiorgi porta la bara ai funerali di Ignazio Salvo. Da sinistra Giulio Andreotti e l'ex ministro Martelli

Luoghi citati: Palermo, Salemi, Sicilia