D'Onofrio, un uomo chiamato cavillo

D'Onofrio, un uomo chiamato cavillo TECNICHE DI FINE REGIME D'Onofrio, un uomo chiamato cavillo Così ha inventato la «sfiducia costruttiva» E ROMA alla fine, alla più ingarbugliata fine della legislatura più caotica, quando nessuno capiva nulla e l'intrico di incomprensibili procedure si rimescolava con il guazzabuglio di incertissimi precedenti, quando il sottosegretario Maccanico, che pure quanto a regolamenti non ò uno sprovveduto, evocava nel nome di Pirandello l'enigma terribile della doppia realtà e graziosamente accostava l'illustre letterato alla situazione politica e parlamentare, ecco, solo a questo punto a Montecitorio venne un uomo chiamato Cavillo. E da buon professore di quella specie di branca del diritto costituzionale che gli spagnoli chiamano - bontà loro - derecho politico, 1 onorevole Francesco D'Onofrio, democristiano alla sua quarta o quinta trasfigurazione esistenziale e correntizia, ti trasfonna o almeno tenta di trasformarti in meno di 24 ore una mozione di sfiducia in una mozione di «sfiducia costruttiva». Che poi sarebbe il suo esatto contrario, e lo fa passando attraverso una mozione di fiducia suggerita al povero capogruppo Bianco e per tutta una congerie di strumenti, dispositivi, espedienti e mezzucci che grappoli di giornalisti quasi ipnotizzati da una straniarne, inarrestabile parlantina finisce per definire «tecnici». Sì, gli ultimi fiorellini «tecnici» sbocciati, nella loro disperata meticolosità di fine regime, per merito di questo protagonista - finalmente - della transizione. Di questo gioviale ex giovanottone, primo della classe, pettinatissimo, sempre protetto e assistito dalla sorella (la dinamicissima Giovanna) e da mammà (la gagliarda signora Memena, che ai giornalisti continua a chiedere: «Ci vuoi bene a Francesco?»), di questo campione del neo-centrismo che tiene i contatti con Bossi, Fini, Segni, Berlusconi che una volta, accusato scherzosamente da Bodrato di contraddirsi, rispose: «L'importante non è contraddirsi, ma ben argomentare». Poi, con compiaciutissimo sospiro: «E' l'arte del sofisma». Dunque comincia di buon mattino, Cavillo D'Onofrio, alla buvette con Bossi. Poi in barberia, piantato lì tra la poltrona e il lavandino mentre Pannella si fa fare i capelli, scudo umano davanti allo specchione. Ah, la mozione... perfino le maioliche dei bagni di Montecitorio pare abbiano vibrato per le sofisticatissime, irreali soluzioni procedurali prospettate dal professore. Ci pensa lui a trasformarla in corsa nel suo opposto e quindi nell'opposto del suo opposto, se non altro come scherzetto da giocare ai costituzionalisti laici e governativi (Barile, Maccanico) del governo Ciampi che si è scelto come come avversari e che un po' lo disprezzano come ultimo prodotto accademico della malastirpe napoletana di don Alfonso Tesauro... Comunque, del tutto impermeabilizzato alle pizzicate etnico-dottrinarie con risvolti familiari (già genero dell'insigne Sandulli, i più maligni fra i colleghi raccontano che meritò una cattedra «Sui Suoceris»), se ne va su e giù per il Transatlantico affollato. E sempre più gongola, frotte di cronisti e giovani croniste che lo inseguono «Francò!», «Onoreeeevole!» - il microfonino sotto il naso, sfi¬ dando la gelosia, meglio l'invidia dei democristiani ormai decaduti, quindi allineati. E quando qualche crudele osservatore fa notare la scenetta a De Mita, che pure di Cavillo è stato il talent scout, questi si ferma, muove gli occhietti puntuti, cerca e ricerca la battuta cattiva - con più spontaneità in altra occasione l'ha definito «un pupazzo» - però adesso gliene viene fuori una scontata: «Questo è il segno di quanto in basso è caduta l'informazione». In realtà l'informazione, cioè i giornalisti, poveracci, a parte i personaggi scoperti e lanciati da De Mita (poi a onor del vero traslocati nell'andreottismo blando e quindi approdati al cossighismo militante prima della ribellione neo-centrista) si becca quel che passa il convento. E di questa de post-conventuale ormai veramente al crepuscolo, con i suoi vani bizantinismi, la residuale umanità e perfino - quando nei dissennati Anni 80 scoprì golosa¬ mente i night club o propose cu dedicare le vie di Roma ai calciatori e alle loro tifoserie - un alone che va a sfumare sul macchiettistico, D'Onofrio non è solo un esemplare rimarchevole, ma anche un «emergente» assai rappresentativo. Con la perfida, affettuosa inclinazione dei sopravvissuti un altro neo-centrista di qualche peso, l'onorevole Casini, sostiene che la de «è nata con don Sturzo e finisce con Don... Ofrio». Soprannominato pure, perciò, dopo la morte di Moro e l'azzoppamento di Andreotti, i due storici destrieri, l'ultimo Cavillo di razza dello scudo crociato. E anche soltanto in nome di quella definizione ormai violata, deformata, caricaturizzata, anche solo a ripensare alle sue tante emancipazioni, alle sue troppe pedanterie, pare impossibile pensare D'Onofrio alla guida della secessione bianca. Ma ora è tutto così possibile. Filippo Ceccarelli Francesco D'Onofrio, de

Luoghi citati: Roma