Il voto come bacchetta magica di Lietta Tornabuoni

77 voto come bacchetta magica PERSONE 77 voto come bacchetta magica A finirà? E quando finirà, come? Quelli che sanno o credono di sapere danno già per scontato che le prossime settimane, sino alle elezioni, saranno tremende, che succederà di tutto, che si vedranno le cose peggiori: non se ne preoccupano neppure tanto, l'accettano come si accetta una fatalità, un destino inevitabile e irrimediabile. Gli altri, però, la pensano diversamente: sulle elezioni, su un nuovo Parlamento senza inquisiti e indagati e colpevoli, su un governo diversamente formato contano molto, senz'altro troppo. Il desiderio di cambiamento, la speranza che il Paese venga davvero amministrato e governato, il bisogno di veder funzionare qualcosa sono così forti da condensare sul prossimo voto politico l'illusione d'un colpo di bacchetta magica, un fideismo sproporzionato: o proporzionato soprattutto alla stanchezza, al logoramento, all'insofferenza verso i conflitti tra gruppi politici, all'intolleranza verso i discorsi retorici e le atmosfere intossicate, al sentimento di seguitare a venir ingiustamente trattati e sfruttati. La distanza tra vertici politico-culturali e stati d'animo collettivi non è mutata: resta grandissima. SALUTE A Palermo arrestano medici a decine: già, in fondo era irragionevole pensare che certi medici fossero meno ladri di altre persone. A Roma l'inizio di riforma sanitaria riguardante i medicinali può risolversi in brevi monotoni sketches recitati in farmacia: «Vorrei Chriticol e Dissent», «Ha la ricetta?», «No, ma sto male», «Va bene. Però guardi che la prossima volta la ricetta deve procurarsela», «Certo. La prossima volta». Ne vedremo altre, la riforma è soltanto all'inizio e i farmaci ne sono appena una parte, neppure strutturale: almeno in teoria, dovremmo assistere alla riduzione di numero delle Usi e alla loro ^vun mutazione in aziende efficienti guidate da manager ideali, all'autonomia dei maggiori ospedali, alla privatizzazione contrattuale del personale, a possibili nuovi ticket locali pretesi dalle Regioni. Tutte cose che comporteranno, si capisce, altri pagamenti da parte dei cittadini e dei malati. Il paradosso sarà dunque accentuato, aggravato, completato. Ciascuno paga per il servizio sanitario nazionale i contributi ritirati alla fonte-stipendio ai lavoratori dipendenti, oppure la tassa sulla salute: ma ciascuno dovrà (già deve, in buona parte) pagare una seconda volta quasi tutti i servizi sanitari. Il primo pagamento ormai neppure viene calcolato, quasi fosse un tributo automatico versato non si sa in cambio di cosa, un sacrificio offerto a una divinità sconosciuta e capricciosa, un prelievo in nome d'un dovere enigmatico, fatale: con severità appassionata si esige che i malati paghino. Ma non pagava.no, non paghiamo già? Se i nostri soldi sono andati a finire ai partiti o ai ladri di Stato, i guai dovranno ricadere su chi ha pagato? La pena dovrà essere inflitta alle vittime? Il meccanismo lo conosciamo, somiglia un poco a quello della Rai. In teoria, alle origini, il pagamento del canone doveva sostituire gli introiti pubblicitari, o almeno l'eccesso di inserzioni pubblicitarie: poi il canone è diventato un uso, una tradizione o un obbligo cerimoniale, poi del canone ci s'è ricordati soltanto per aumentarlo, e la pubblicità ha dilagato ovunque in ogni attimo e occasione possibile e impossibile dei programmi dell'azienda radiotelevisiva pubblica. Lo slogan è facile: paghi due, prendi niente. Lietta Tornabuoni u

Luoghi citati: Palermo, Roma