«Per lei quell'animale era diventato un simbolo» di Marco Neirotti

«C'è sempre una situazione che scatena il gesto» «Per lei quell'animale era diventato un simbolo» 11 ì 5f : li i mm PARLA PORTIGLIATTI RARBOS VALERIA si è uccisa con il suo cane. E la domanda che rimane è quanto potessero valere quell'investimento affettivo, il rapporto con la famiglia, i problemi suoi che soltanto lei poteva conoscere. Sono circa duemila gli animali ospitati nei canili (municipali, dell'Enpa, della Lega per la difesa del cane). In un anno ne vengono «affidati» il 60 per cento. Lega e Enpa, salvo casi estremi, non ne sopprimono. I Comuni, per legge, li uccidono soltanto in presenza di grave malattia. Ma chi, è perché li va a chiedere? Silvano Traisci, presidente dell'Enpa, afferma: «In genere è chi ha una sua sensibilità specifica. Noi cerchiamo di fare una selezione fra i richiedenti, un po', se mi passate l'esempio, come i tribunali minorili per i bambini». Traisci, al di là del fatto specifico, sottolinea che, in effetti, spesso emerge una ricerca di un compagno alla pari («cani soli, solitari, emarginati») in una società dove il rapporto affettivo è sempre più ridotto, dove si è sempre più soli. Ma come può lo scarso gradi- mento, da parte dei genitori, di un cane, portare a un gesto così estremo. Il professor Mario Portigliatti Barbos, direttore dell'Istituto di Scienze Medico Forensi dell'Università di Torino, risponde: «Non conosco il caso. Parlo in generale. Non credo che ci si ammazzi per il cane. Ci si ammazza "contro" un divieto a realizzare un desiderio». Scusi, professor Portigliatti Barbos, ci si uccide contro un divieto. Ma quel cane non era di pezza. «Per carità. Ripeto: non conosco la situazione. Qui stiamo parlando del suicidio giovanile. La mia impressione è che il motivo sia sostituibile: perché non ti hanno lasciata uscire con il fidanzato, per esempio. C'è una situazione estemporanea che scatena un gesto». Dunque, se non era per il cane, poteva essere per un'altra ragione? «Forse. Di certo la ragazza ha caricato il cane di un valore simbolico. Uccidendosi con lui ha dimostrato una reazione a chi, secondo lei, non l'aveva capita». Sarebbe facile colpevolizzare la famiglia. «Perché non ha detto sì al cane? E' assurdo. Quello che si dovrebbe vedere è piuttosto e quanto e come la famiglia avrebbe potuto scoprire la condizione psicologica della figlia, condizione che potrebbe essere scappata di mano in silenzio. Forse era inutile imporre l'autorità a chi si sentiva con le spalle al muro. Ma questo lo diciamo noi oggi, non ieri». E' la crisi della famiglia, dell'educazione? «Guardi, il suicidio dei giovani non ha né babbo né mamma, così come anche l'omicidio giovanile, tipo le pietre dai viadotti. Capita fra capo e collo e ci si chiede: ma è matto? No, non è matto secondo i canoni. E' fatto così». Togliersi la vita è diverso dal tirar pietre alle auto. «Togliersi la vita è soprattutto volontà di vendetta. Come il giapponese che si sgozza davanti alla porta del nemico perché il discredito cada sul nemico. E' una motivazione urlata». Ma qui c'era di mezzo un essere vivente al quale lei sta- va affezionandosi. «Il problema dell'investimento affettivo sugli animali va visto con attenzione: dobbiamo guardare quello che la persona ci mette, quello che dà, e non quello che riceve». Il suicidio sarà sempre imperscrutabile? «Sarà sempre una terribile tragedia umana che chiede e merita rispetto per tutti. E non si dimentichi mai il rispetto per chi rimane». Marco Neirotti «C'è sempre una situazione che scatena il gesto» Il corpo della femmina di pastore , tedesco «Kira», morta con la padrona e il docente Mario Portigliatti Barbos

Persone citate: Mario Portigliatti Barbos, Portigliatti Barbos, Silvano Traisci, Traisci

Luoghi citati: Torino