Ma Disneyland all'Eur ha perso le sue magie di Alessandro Baricco

Ma Disneyland all'Eur ha perso le sue magie B A R N U M LO SPETTACOLO DELLA SETTIMANA Ma Disneyland all'Eur ha perso le sue magie LE mitraglie cominciano a batter a macchina la Storia. I cecchini dalle mura fan partire una raffica qua e là, pigliandoci di mira. La guerra è un catalogo di suoni, di rumori. Sono le orecchie a guidare i nostri piedi. Un proiettile si schianta contro il muro. Qualcuno attacca a cantare: Mickey... Mouse». Cinque righe seminate in una pagina qualunque di Bom to kill, romanzo di marines e Vietnam, scritto da Gustav Hasford. Kubrick ne fece un film: Full Metal Jacket. E poiché è un genio, prese quelle cinque righe e ne fece il finale del suo film. In mezzo a un inferno di rovine e cadaveri, se ne tornano i marines sopravvissuti a una giornata di oscena atrocità, con la morte dappertutto, addosso. Camminano, e cantano: Mickey Mouse, Mickey Mouse... Musichetta inconfondibile: Topolin, Topolin, viva Topolin... Per chiunque, odore immediato di televisione accesa su anni adolescenti in cui il mondo era pulito e basta. Tutto il resto doveva venire. Vietnam veri o domestici: alla fine è quasi lo stesso. Se ce n'era bisogno, quei due minuti di grande cinema fermano per sempre il mito di Mickey Mouse e di Walt Disney, un topo e un uomo dopo i quali il Novecento non è stato più lo stesso (bum). Un mito che in Italia compie, quest'anno, 60 anni. Candeline e festeggiamenti. Soprattutto, immancabile Mostra: fino al 15 febbraio a Roma, e poi in tournée a Firenze e Milano. A Roma l'hanno sistemata nel Palazzone dell'Eur, e quando ci entri pensi subito che al vecchio Walt non sarebbe piaciuto un granché, troppo imperiale, a lui piacevano le cose grandi ma leggere, roba che potevi tenere su con la fantasia. Entri ed è subito Aladino, con la sua canzonetta da Oscar, e la Sirenetta, e la Bella la Bestia, Gino Paoli e la figlia Amanda (come fa un poeta a scegliere un nome così?), in- somma sei nel magico mondo di Disney. Con le orecchie: perché con gli occhi è un po' più complicato. Nel senso che ò una Mostra normale, non la piccola Disneyland che ti aspetti. Per capirsi: quando vai a Disneyland, passi un cancelletto e da lì in poi sei un cartone animato, non c'è più il mondo, c'è solo quell'imbecille genialità di un pianeta inventato. Non c'è particolare che sfugga all'incantesimo: se mangi un hot dog dentro c'è Paperino e se fai pipì, la fai a Topolinia. E quando esci parli con la nuvoletta sulla testa, aspettando che qualcuno ti legga. Cose così. Lì invece è una Mostra seria, con le bacheche, le teche di vetro, i quadri con la didascalia, e l'architettura dell'Eur ad annegare la magia. Quando ti sei definitivamente rassegnato all'idea che è una co¬ sa seria, hai già finito il giro. Insomma, per i disneyani convinti è un po' una delusione. Qualcosa comunque c'è, da raccogliere e portarsi a casa, a concimare il mito. Ho visto ad esempio, finalmente, la faccia dei due che hanno scritto «Impara a fischiettar» (Biancaneve e i sette nani, per gli incolti): Frank Churchill, seduto al piano, una gobba niente male, inagrissimo, e Larry Morey, stravaccato in una sedia coi piedi sul tavolo e un foglio di musica in mano. Ho rivisto la copertina, tutta d'oro, del Topolino n. 500, 27 giugno 1965, una specie di madelaine proustiana per quelli della mia generazione, io l'odore di quel Topolino ce l'ho ancora nel naso adesso. Ho visto il biglietto da visita di Walt Disney quando non era nessuno e teneva lo studio in un garage di Kansas City. Ho visto le copertine dei giornali che annunciavano la sua morte, qualche giorno prima di Natale (geniale): con Topolino in lacrime sotto l'albero. Ho rivisto le tavole di Romano Scarpa, forse il miglior disegnatore italiano di Topolino, l'inventore di Brigitta, di Filo Sganga, della signora Gambadilegno (Trudy): faceva un Paperino irresistibile, un po' svasato sulla nuca, con qualcosa di bambinesco addosso, e una specie di continua meraviglia negli occhi, e un'aura commovente di sconfitta programmata e totale. Da ritagliare e attaccarselo sulla scrivania, vicino alle Madonne del Bellini. E poi ho visto lui, Walt. Le sue foto. Quella faccia. La guardo da anni, per cercare di capire, ma è una faccia che scappa. Da giovane sembrava un concessionario della Chrysler, magari anche onesto, ma soprattutto furbo. Troppo per dartela a bere. In un certo senso la vera faccia da Walt Disney gli venne negli ultimi anni: ingrassato, capelli e baffi bianchi, sorriso allenato a sorridere, la tranquillità dell'uomo che ce l'ha fatta. Uno zio bonario che ti fa i giochi di prestigio con una moneta da cento lire, e sa di acqua di colonia, e in tasca ha sempre un cioccolatino che ti allunga quando la mamma non guarda. Uno capace di raccontarti che di là dal mare ha costruito una città che ha il suo nome e dentro c'è il castello di Cenerentola e il Far West e Paperopoli e la bottega di Geppetto e la miniera dei Sette Nani. Come fai a dire a uno così che non ci credi? Alessandro Baricco Topolino e Paperino in bacheca Zio Walt sorridente e bonario

Luoghi citati: Firenze, Italia, Kansas City, Milano, Roma, Vietnam