Reviglio: i veleni della solita banda

Ricostruzione, 20 «avvisi» «Non sapevo nulla delle false fatture, hanno finanziato il psi passando sulla mia testa» Reviglio: i veleni della solita banda «Larini inventa e calunnia, l'avrò visto sei volte» L'EX MINISTRO NEL MIRINO SIAMO arrivati a un punto in cui chiunque, anche il presidente della Repubblica, può essere impunemente bersagliato con le calunnie e diffamazioni, può essere tirato in ballo da un inquisito qualunque che voglia gettare discredito attorno a sé per difendersi». E' amareggiato, Franco Reviglio. Il senatore socialista, ex presidente dell'Eni, era stato investito nel marzo del '93 da una prima bordata di accuse, che lo avevano «sbattuto in prima pagina»: corruzione, tangenti, le solite cose. A sentire i suoi accusatori cioè essenzialmente Gianni Dell'Orto, ex presidente della Saipem, e poi il banchiere Pacini Battaglia e il faccendiere Silvano Larini - Reviglio, nei suoi sette anni di gestione dell'Eni, sarebbe stato al corrente dei fondi neri che la Saipem aveva creato e passato al psi (allora si parlava di soli 7 miliardi, poi si ò capito che erano molti, molti di più). «Ma il Senato non ha concesso l'autorizzazione a procedere contro di me, vista la totale inconsistenza di tutte le accuse. E' rimasto, quindi, quell'unico avviso di garanzia, per di più senza esito. E ora, questo Larini ritira fuori le stesse accuse, ed anzi inventa altre cose incomprensibili, assolutamente infondate...». Professor Reviglio, ma perché Larini l'accusa ancora, perché ripete queste vecchie storie? «Larini faceva parte di un gruppo, di una banda... A marzo, colpendo me, volevano colpire Franco Bernabò, l'amministratore delegato dell'Eni che era stato un mio stretto collaboratore ed attendeva la riconferma in carica. Oggi, Larini non fa altro che ripetere quelle stesse accuse... tanto per non smentirsi». Veramente Larini oggi aggiunge che lei non solo era al corrente dei finanziamenti al psi, ma avallò anche delle dazioni al pei... «Tutto inventato, tutto inventato... Una storia inspiegabile». Ma lei in che rapporti era con Larini? «L'avrò visto cinque o sei volte in vita mia». Per caso, o per frequentazioni comuni? «Guardi, è molto semplice: Craxi, allora presidente del Consiglio, mi disse che in caso di necessità, se avevo bisogno di chiedere il suo parere su qualche questione urgente che riguardava l'Eni e non riuscivo a parlargli direttamente, potevo usare Larini come tramite». E perché mai? «Perché loro due si vedevano sempre, la domenica». Quindi, anziché parlare col capo del governo, poteva rivolgersi ad un privato cittadino? «Craxi usava Larini come un collaboratore informale, ma comunque in pure e semplici funzioni di intermediario. Io spiegavo a Larini il quesito che volevo porre a Craxi, Larini glielo girava, prendeva nota della risposta e me la riferiva». E su quali temi lei consultò Craxi usando l'intermediazione di Larini? «Per esempio le fasi della proget- tazione di Enimont, quando ancora valutavamo se era meglio costituire due società distinte oppure una sola. E poche altre volte». E dove incontrava Larini? Nello studio di Craxi a piazza Duomo, a.Milano? «No, lì mai. Una volta o due venne lui da me, un'altra andai io da lui, non ricordo con precisione, ma ripeto: pochissimi incontri, di pura convenienza pratica». Ma Larini forniva anche consigli o valutazioni sue, di sua matrice? «No, Larini era soltanto un trami¬ te con il presidente del Consiglio». Dunque, professore, non sono altro che le stesse accuse che lei ha sempre definito infondate e tali sono apparse anche alla commissione del Senato... «Assolutamente sì. Tenga presente che è sempre e soltanto Gianni Dell'Orto la fonte delle accuse a mio carico. E' stato lui a sostenere che io fossi al corrente di quei traffici. Pacini Battaglia e Larini, anche a marzo dell'anno scorso, hanno soltanto ripetuto le cose che Dell'Orto gli aveva raccontato. Cose che non stanno né in cielo né in terra, prive di qualsiasi riscontro. E io, dopo di allora, non sono mai più stato interpellato dai giudici». Ma lei sa che Larini l'accusa di aver accettato quei compromessi sperando di essere confermato alla presidenza dell'Eni... «Menzogne, sapevo benissimo che la mia epoca era finita, avevo fatto sette anni ripulendo il gruppo, riportandolo da una situazio- ne di gravissima crisi finanziaria e produttiva a centinaia di miliardi di utile all'anno. Non ho mai saputo di fondi neri o di tangenti. Ed anche Enimont, nel primo anno di vita, quello gestito da me, fece mille miliardi di utile. Guardi, di questo sono sicuro: la storia mi darà ragione». Eppure anche Bernabò, il suo ex collaboratore, ha ammesso che rivedendo la contabilità degli anni scorsi sono emerse fatture false per 500 miliardi. ((Attenzione: negli anni della mia presidenza, si parla soltanto di quei 7 miliardi, tra l'87 e l'89, pagati dalla Saipem al psi, di cui non sapevo nulla. Le altre somme si riferiscono al periodo successivo. Non posso escludere che ci siano stati altri episodi, passati sopra la mia testa: con oltre 300 società non posso escluderlo. Ma la sostanza non cambia. Feci pulizia, e riportai in piena salute il gruppo. Il resto non mi riguarda». Sergio Luciano «Craxi mi disse: se non trovi me rivolgiti a lui Mi riferirà» «All'Eni ho fatto pulizia: la storia mi darà ragione» A sinistra Bernabò, qui sotto Gianni Dell'Orto A sinistra Franco Reviglio, senatore socialista, ex presidente dell'Eni e, qui sopra, l'ex segretario del psi Bettino Craxi

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