Mazzetta a De Lorenzo E Garofano torna in cella di Fulvio Milone

«Non sapevo nulla delle false fatture, hanno finanziato il psi passando sulla mia testa» Mazzetta a De Lorenzo E Garofano torna in cella NAPOLI. Ora che è finito di nuovo in prigione, al «Cardinale» non resta che pregare. Giuseppe Garofano, l'ex presidente della Montedison, l'uomo già entrato nel recente passato nell'inchiesta dei giudici di Milano, si appresta a passare sotto le forche caudine dei magistrati napoletani, dopo aver subito quelle del giudice Di Pietro (al quale però, secondo il suo legale, avrebbe già raccontato anche questa nuova storia). Garofano ò stato arrestato ieri all'alba nella sua casa di Milano per ordine del giudice delle indagini preliminari Laura Triassi, che conduce la maxi-inchiesta sulla sanità. Il reato è corruzione: secondo l'accusa, il «Cardinale» autorizzò nel '90 il pagamento in due tranches di una mazzetta da seicento milioni a Francesco De Lorenzo. I soldi, finiti in un conto bancario in Svizzera, sarebbero serviti per ottenere in sede Cip-farmaci l'aumento del prezzo dell'Ibustrin e della Farmorubicina, due medicinali prodotti da un'industria che fa capo alla Montedison. Giuseppe Garofano non è finito da solo nei guai. Con lui è stato arrestato anche Roberto Michetti, ex direttore finanziario del colosso della chimica italiana e attualmente direttore generale della Cardini srl, della quale regge le sorti dopo il suicidio del finanziere ravennate. Latitante, invece, Emilio Binda, direttore generale della Montedison International Holding Company, con sede a Lugano. Su di loro pesano le accuse di tre pezzi da novanta dell'industria farmaceutica: Roberto Bianchi e Francesco Barbaro, rispettivamente amministratore delegato e responsabile amministrativo della «Farmi- talia Carlo Erba», e Paolo Morrione, amministratore delegato dell'Erbamont, società del gruppo Montedison azionista della Farmitalia. Sono stati loro a rivelare ai sostituti procuratori D'Avino, Fragliasso, Miller e D'Amato il lungo e tortuoso percorso seguito dalla tangente. Il primo a parlare è stato Bianchi. «Nell'89 - ha detto mi fu riferito che l'unico modo per risolvere il problema (la revisione del prezzo dei farmaci, ndr) sarebbe stato quello di contattare il professore Antonio Vittoria, membro del Cip e amico dell'onorevole De Lorenzo. Lo incontrai a Roma: mi disse che occorreva fare un versamento per le necessità del partito liberale, e che lui stesso si sarebbe attivato con il ministro». Ma Bianchi non aveva l'autorità per decidere sul pagamento di una tangente. Si rivolse quindi a Paolo Morrione, responsabile della Erbamont, azionista di maggioranza della Farmitalia. E Morrione diede il via libera. Arrestato a dicembre, l'amministratore delegato della Erbamont ha raccontato ai giudici il resto della storia: «La mia società era controllata dalla Montedison, quindi parlai della cosa con Garofano che incontrai nel suo ufficio a Mi- lano. Mi disse che si poteva dar corso al pagamento». Garofano, sostiene Morrione, fece anche il nome di colui che avrebbe dovuto risolvere la questione: Roberto Michetti, direttore finanziario della Montedison, che a sua volta mise il responsabile dell'Erbamont in contatto con Francesco Barbaro, responsabile finanziario della Farmitalia. Ma il tortuosissimo viaggio della tangente da seicento milioni non finisce qui. Barbaro, l'ennesima persona incaricata del delicato affare, si rivolge a Emilio Binda, direttore della Montedison International Holding Company di Lugano. Commenta Morrione: «Mi parve di capire che quella fosse la persona giusta per risolvere il problema di come procurarsi il danaro». Arrestato e interrogato, Roberto Barbaro ha completato la storia costata l'arresto a Garofano. Ecco la sua confessione: «Binda mi propose di conferire un incarico di consulenza a una società farmaceutica svizzera, la Rahn, che avrebbe emesso fatture alla Sopaco (una consociata della Farmitalia, ndr) per l'importo necessario. Naturalmente si trattava di un incarico fittizio, di un artificio per giustificare l'esborso dal punto di vista contabile». Scrive il giudice Triassi: «Il corrispondente valore fu versato su un conto corrente presso la banca Bruxelles Lambert di Ginevra, seguendo le indicazioni di Giovanni Marano (segretario particolare di De Lorenzo, ndr)». E De Lorenzo, interrogato nelle scorse settimane, ha ammesso sia pure in parte l'addebito, sostenendo che si trattò di un finanziamento al partito liberale. Fulvio Milone Nella bufera-sanità anche il «cardinale» della Montedison L'ex presidente della Montedison, Garofano, da ieri in carcere

Luoghi citati: Ginevra, Lugano, Milano, Napoli, Roma, Svizzera