Il carcere, souvenir di taxisti?che cosa resta 50 anni dopo il processo di Verona di Lorenzo Del Boca
Il carcere, souvenir di taxisti Il carcere, souvenir di taxisti Che cosa resta 50 anni dopo il processo di Verona VERONA DAL NOSTRO INVIATO Le bombe degli americani - fra il '44 e il '45 - hanno fatto a pezzi gli obiettivi militari di Verona e le ruspe dell'immediato dopoguerra, secondo le esigenze del nuovo piano regolatore, hanno spianato le macerie. Sono perciò squartate le quinte della tragedia che fu la prigonia, il processo e la fucilazione di Galeazzo Ciano, ministro e genero di Mussolini, e delle altre «eccellenze» accusate di aver fatto crollare il fascismo (De Bono, Pareschi, Gottardi, Marinelli). Del carcere degli Scalzi è rimasta una lingua di muro e di ferro, dietro un praticello, fra quattro palazzi di fresca costruzione occupati per lo più da studi di professionisti. E quel rudere non si vede nemmeno facilmente: bisogna andarlo a cercare. Lo conoscono i taxisti che hanno imparato a parlarne in inglese perché gli unici che si interessano di quei luoghi e di quello spicchio di storia sono i turisti americani. Fra i mattoni è rimasta imprigionata un'inferriata che penzola come una bandiera a mezz'asta, rimasta lì più per incuria che per la volontà di salvare un cimelio della guerra mondiale. I taxisti la indicano come la «Ciano's jail», ma è solo per compiacere gli stranieri, perché questa inferriata è quadrata mentre quella che stava sulla finestra della prigione di Ciano era rettangolare come appare nelle fotografie dell'epoca. Adesso via degli Scalzi è una strada di semiperiferia che porta al comando delle forze Nato. Le indicazioni sono scritte anche in inglese, la luce è opaca e il traffico automobilistico si fa più intenso di notte perché ci battono i molti travestiti e poche delle ultime prostitute da marciapiede. Allora, nel 1944, in via degli Scalzi, le indicazioni erano scritte in tedesco con caratteri gotici. Era una strada «bene», molto più centrale, animata, se non proprio chic, con portoni di legno rubusto come si usava nelle case nobili e i vetri delle finestre rigorosamente oscurati dalla carta blu. Guardavano verso il carcere due ristoranti considerati «fra i migliori della città» come il Pedevana e il Pomari, uno dei quali aveva accettato di preparare i pasti destinati ai gerarchi fascisti sotto processo. I memoriahsti indicano ora l'uno ora l'altro senza conferme definitive: è comprensibile che nessuno dei proprietari abbia voluto rivendicare il lugubre privilegio storico di aver servito la cotoletta a gente destinata alla morte. L'unico senza un soldo nella compagnia dei gerarchi in disgrazia era Achille Starace e doveva accontentarsi della brodaglia servita dai secondini. Proprio l'ex segretario del partito fascista, l'inventore dello stile romano, del saluto al Duce, della mano tesa, dell'eja eja alala. Starace, scaricato da Mussolini, prima dell'inizio della guerra, avrebbe potuto essere un tranquillo pensionato anche se emarginato dall'intellighenzia del tempo e qualche volta persino maltrattato. Dopo il 25 luglio 1943, caduto Mussolini e diventato capo del governo il generale Badoglio, Starace scrisse una lettera di congratulazioni al nuovo premier. Una paginetta innocente di auguri e felicitazioni che fu intercettata e gli costò l'arresto. Più o meno quello che avvenne un anno e mezzo dopo - il 29 aprile 1945 - quando, ritornato in libertà, Starace non ebbe niente di meglio da fare che indossare una tuta da ginnastica e dedicarsi al footing dalle parti di piazza Loreto proprio mentre Benito Mussolini, Garetta Petacci e un'altra mezza dozzina di ex ministri venivano appesi per i piedi. Con il risultato di finire pure lui fucilato. In mezzo, sedici mesi di Repubblica di Salò, abitata dai fascisti ribaldi e arrabbiati, rancorosi e vendicativi, incolleriti con tutto il mondo e disposti a ogni rappresaglia. Non necessariamente senza ideali ma, certo, indisponibili a discuterne. Il processo di Verona e la fucilazione di Ciano con gli altri gerarchi è l'aspetto più visibile e, quasi, fisico, del clima di rivincita politica che era stato artificialmente creato. Gli atti del processo del gennaio 1944 non hanno avuto nemmeno la parvenza della legalità. Il destino degli imputati era segnato prima ancora dell'inizio e fu già un piccolo colpo di scena la grazia al vecchissimo Cianetti, condannato «soltanto» a trent'anni di carcere. L'accusa era di alto tradimento per aver votato - il 25 luglio dell'anno prima - un ordine del giorno che chiedeva di consegnare il comando della guerra al re coinvolgendolo nelle responsabilità che il suo ruolo gli imponeva. Documento che, invece, fornì il pretesto a Vittorio Emanuele DJ per fare arrestare Mussolini provocando la caduta del fascismo. Ma cosa c'entrava in tutto ciò il voto di Ciano e camerati? Domanda retorica oggi e superflua allora. Bastarono tre giorni per il dibattimento e la sentenza, tempo che nei tribunali moderni serve per decidere la responsabilità civile nel processo per un incidente sul lavoro. Lorenzo Del Boca 6* Qui accanto: il cadavere di Ciano. In alto a sinistra: Edda Mussolini
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