Sui cavalcavia gli stessi gesti e riti delle sale-giochi Figli di un videogame di Gabriele Romagnoli
Sui cavalcavia gli stessi gesti e riti delle sale-giochi Sui cavalcavia gli stessi gesti e riti delle sale-giochi Figli di un videogame LA notte, in fondo, non è altro che uno schermo nero, punteggiato di luci. Un video sul quale possono apparire tre omini piccoli che salgono su una struttura sopraelevata, come un viadotto. Hanno un proiettile, una massa scura, da lanciare sugli oggetti luminosi che sfrecciano nello spazio a una velocità che il giocatore non può preventivare. Il suo scopo è colpirli. Tutta questione di traiettoria. Se ci riesce si ode uno schianto, fragore di lamiera fracassata, gli altri omini applaudono e compare la scritta «Bravo, cento punti». La realtà è figlia di un videogame. Verona, Venezia, Torino. Ragazzi, piccoli uomini, sui cavalcavia. Età compresa tra i quindici e i vent'anni. Generazione virtuale. Nintendo boys. Cresciuti davanti a uno schermo nero che si accende, si punteggia di luci e propone decine di sfide basate su un solo meccanismo: c'è sempre un bersaglio da colpire e distruggere, si ha una serie di proiettili a disposizione, bisogna studiare i tempi e le traiettorie. Quando si fa centro il video risponde con schianti e fragori. Le sale giochi moltiplicano l'effetto: decine di esplosioni simulate rimbalzano sulle pareti e s'inseguono in uno spazio ristretto, invaso dal calore e da decine di giovani solitudini assommate che si perdono in un videomondo. Le sfide dei pomeriggi delle loro vite sono gare all'annientamento. Ci sono sagome, un tempo astronavi e dragoni, oggi sempre più spesso esseri umani, i che vanno colpite e cancellate. Questione di traiettorie. Quando il giocatore è abile e calibra lanci ben mirati il video risponde sonoramente. I suoi coetanei rispondono sonoramente. Schianti e fragori. «Bravo. Hai fatto cento punti». Sui cavalcavia come nelle sale giochi. Ci arrivano allo stesso modo: sulla mountain bike, in motorino o con la prima auto. Giocano con la stessa tecnica e le stesse regole. Mirano un bersaglio per ottenere uno schianto. Se lo colpiscono hanno in premio il fragore, i complimenti dei compagni, cento punti. Esiste un confine tra sale giochi e realtà, videomondo e cavalcavia. I punti luminosi sulle autostrade e tangenziali sono i fari di scatole metalliche che trasportano vite umane: donne accanto al fidanzato, padri che hanno fretta di tornare a casa. Ma per i videoragazzi che tirano le pietre quel confine si fa labile: per loro è solo questione di traiettorie da calcolare, fragori da suscitare, punti da conquistare. Vivono già altrove, nel nuovo mondo virtuale che avanza. Gli ingegneri cibernetici stanno realizzando per loro la perfetta replica simulata di ogni emozione, sesso compreso. Anche i videoragazzi di Civitavecchia forse credevano di fare un gioco di gruppo. Violenza e morte emigrano dal videomondo alla realtà. All'orizzonte non c'è il sole dell'avvenire, ma la scritta «Game over». Gabriele Romagnoli
Persone citate: Ragazzi
Luoghi citati: Civitavecchia, Torino, Venezia, Verona
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