Ridurre le tasse conviene davvero? di Alfredo Recanatesi

I BiiAjiao p |uueo BiiAjiao p |uueo Ridurre le tasse conviene davvero? CHI è convinto che la seconda Repubblica non sarà altro che una brutta e gattopardesca copia della prima può anche lasciar perdere di leggere queste considerazioni. Chi, invece, coltiva la speranza che il nostro assetto politico possa davvero cambiare, forse può seguirci in un ragionamento decisamente fuori moda perché volto a sostenere che in Italia la riduzione della pressione fiscale non è affatto una pregiudiziale che debba darsi per scontata e che, anzi, sarebbe auspicabile che si verificassero le condizioni per poterla mantenere o addirittura aumentare. Nel dibattito sulle tasse, così come è stato proposto e sviluppato, la pressione fiscale è stata considerata come un dato assoluto, come un prezzo del quale si possa costruttivamente disquisire senza dire a cosa si riferisca. Ma che la pressione fiscale sia percepita come eccessiva è un dato di fatto. Su di esso le forze politiche stanno facendo leva per accattare un istintivo e grossolano consenso non troppo diverso da quello che il vecchio regime otteneva facendo pagare poche tasse e chiudendo un occhio sul pagamento di quelle poche. Se fosse una questione meramente quantitativa, a spiegare questa esosità basterebbe ricordare che il debito è la conseguenza di tasse che in passato non sono state fatte pagare e che, per ridurlo (e per ridurre la scandalosa redistribuzione di ricchezza che continua a compiersi attraverso le rendite finanziarie che esso genera) occorrerà pure recuperare quelle tasse allora graziosamente bonificate. Più che da aspetti quantitativi, però, la percezione di una eccessiva gravosità deriva dalla rottura del rapporto fiduciario tra cittadini e pubblici amministratori, la quale a sua volta genera la convinzione di un netto scompenso tra ciò che lo Stalo preleva e ciò che rende in cambio. Dunque, il livello della pressione fiscale è un problema di rappresentanza, di consenso sulle spese, di efficienza amministrativa, di credibilità del controllo sulla gestione; insomma, un problema politico sul quale i padri della Costituzione degli Stati Uniti ("No taxation without representation") più di due secoli fa avevano idee già molto più chiare di quelle che oggi circolano in Italia. E allora facciamo una ipotesi, forse utopistica, ma che serve a sottrarci dal rozzo egoismo di quanti ritengono di essere ricchi e bravi abbastanza per poter fare a meno dello Stato. L'ipotesi è che venga eletto un Parlamento nel quale gli italiani si riconoscano e nel quale si formi una maggioranza nel cui programma figuri tutto quanto serve per Il presidente Ciascanc I magg I figuri ampi rendere agibili le città, per realizzare parcheggi integrati con i mezzi pubblici, per rendere funzionali le comunicazioni, efficiente la giustizia, più moderna la scuola, più efficace la lotta alla piccola e grande malavita, insomma a tutto ciò che oggi contrasta con un miglioramento della qualità della vita. In questa ipotesi, non sarebbe un affare per tutti «pagare» questi servizi piuttosto che incrementare ulteriormente, con una riduzione delle tasse, i redditi spendibili per beni e servizi destinati all'uso individuale e privato? Certo, l'ipotesi non è da poco; ma se non si prova neppure a realizzarla, tanto valeva tenersi i Craxi, i Pomicino, i Prandini e i De Michelis. Sostengono questa tesi sulle tasse anche considerazioni più strettamente economiche. Il mercato dei beni e dei servizi destinati al benessere individuale è saturo e vive ormai della sola sostituzione. Di prodotti veramente innovativi se ne vedono pochi, e nell'inventare quei pochi l'Europa certamente non brilla; la saturazione di quel mercato unita alla crisi della fantasia imprenditoriale è causa non ultima della difficoltà di reimpiegare l'occupazione che il progresso tecnologico applicato espelle dalle produzioni mature. In altre parole, si è bloccato quel modello di sviluppo che, attraverso i crescenti consumi degli addetti alle produzioni primarie, ne faceva circolare il reddito moltiplicando le attività produttive e creando posti di lavoro. Si deve, dunque, concludere che la ripresa della produzione e dell'occupazione deve puntare su attività di altro genere; precisamente su quelle in grado di accrescere quella qualità della vita che ormai ha ben scarse possibilità di migliorare i ìmentando la quantità di elettrodomestici, di televisori, di abiti e via discorrendo. Se allora le condizioni del benessere di ciascuno oggi dipendono più dalla disponibilità di beni e servizi che non dalle capacità di spesa individuali, è evidente la convenienza di percorrere non la via di una riduzione delle imposte, ma quella opposta dell'incremento delle risorse da destinare a beni e servizi per la collettività. La questione da superare è tipica dell'intreccio tra economia e politica: è di mettere la gente in condizione di eleggere rappresentanti nei quali riconoscersi e dei quali fidarsi. E' un'impresa difficile, ma che si sta tentando. Possiamo sperare, oppure arrenderci, ma una resa può soddisfare l'egoismo istintivo di difendere ciò che si possiede, non l'ambizione a migliori e più civili condizioni di vita. Alfredo Recanatesi :es^J Il presidente Ciampi

Persone citate: Ciampi, Craxi, De Michelis, Prandini

Luoghi citati: Europa, Italia, Stati Uniti