Il pullover di Berlusconi di Gad Lerner

In un mese la costruzione del «fenomeno Silvio In un mese la costruzione del «fenomeno Silvio Il pullover di Berlusconi Arti, trucchi e segreti del leader moderato IL CAMPIONE DEL LIBERISMO REAGANIANO PAREVA il luogo più innaturale per lanciare una sfida politica, se non addirittura profano, quel regno della merce, l'Ipermercato di Casalecchio di Reno, da cui per la prima volta si rivolse al Paese, non senza seminare scandalo con l'improvvisata opzione in favore del missino Fini. Ma è bastato meno di un mese da allora per capire che Silvio Berlusconi non è un fenomeno artificiale, plastica sovrapposta al corpo vivo della società italiana, fantapolitica che diventa realtà. Così come Berlusconi non è solo tv; non è solo pubblicità; non è solo calcio; non è solo grande distribuzione. La rapidità con cui il suo progetto politico si è imposto sulla scena, condizionando gli ultimi giorni di decadenza della Prima Repubblica e ipotecando un ruolo da protagonista nella Seconda, parlano chiaro: piaccia o non piaccia, il Cavaliere di Arcore rappresenta, ben oltre la sua figura carismatica, e il suo impero economico, un pezzo grande d'Italia moderata. Con dentro tutte le contraddizioni, le sgangheratezze e anche gli scheletri nell'armadio tipici della nostra storia nazionale, ma comunque un pezzo autentico e consistente, più che mai vitale, in espansione. Quasi senza accorgercene, siamo stati condotti giorno dopo giorno a percepire Silvio Berlusconi non più come un imprenditore che interferiva nella sfera della politica, bensì come un vero e proprio leader politico. Questa metamorfosi si è manifestata come il fenomeno più naturale di questo mondo, innanzitutto sulle prime pagine dei giornali e nei tg, relegando in disparte i sentimenti iniziali di sconcerto o di allarme, l'ammirazione e la demonizzazione. Un fenomeno, il berlusconismo, frammisto di dettagli studiati al computer e di umori sotterranei, in cui una parte del Paese ha scoperto di rispecchiarsi. O che comunque gli avversari hanno dovuto malvolentieri riconoscere come rappresentativi. Lui, il Berlusca, cavalca tutto questo - dalla selezione dei candidati al duello con Occhetto; dalla diplomazia di Arcore al divorzio con Montanelli - coniugando il repertorio del tecnocrate con l'irruenza del dilettante. IL PULLOVER Carrellata sulle coppe Intercontinentali e dei Campioni vinte dal suo Milan, inquadratura di tre quarti circondato da foto dei rossoneri, un ritratto sorridente con la figlia Barbara sulle spalle, i modellini dei suoi due jet sul tavolo, alle pareti le locandine del, sempre suo, teatro Manzoni. Ed eccolo, Silvio Berlusconi new-look, la sera di lunedì 3 gennaio mentre lancia a Studio aperto la crociata contro le troppe tasse dello Stato italiano indossando un elegante girocollo blu, presumibilmente di cachemire, disimpegnato, casalingo, sobrio, rassicurante. Soprattutto, non professionale, lontano e opposto alle «divise» ufficiali del Palazzo. Così, in diretta da Arcore, nella politica italiana irrompe anche il pullover fino a ieri relegato alla protesta marginale dei senza-cravatta radicali o verdeggianti. L'indomani quel maglione domesticoprogrammatico antifisco verrà portato in tutti i tg del Cavaliere sul fondale di una scrivania bianca sormontata da libri Einaudi, piante a foglia larga e lampade design, la comodità per nulla sfarzosa che si sposa col buon gusto. E che agli occhi dei telespettatori stride davvero con le immagini degli «altri politici» impegnati a rilasciare dichiarazioni nella sala stampa di Palazzo Chigi dopo l'incontro con Ciampi: Martinazzoli e Bianco ingolfati nel cappotto, la ricomparsa in video perfino della Bono Parrino, tante cravatte un po' allentate, quasi che s'indovini la forfora sui baveri delle giacche. Capita subito che qualcuno cerchi di copiare maldestramente: un potenziale adepto berlusconiano come Pierferdinando Casini, neocentrista de, 6 e 7 gennaio, due comparsate in pullover al Tg3 e allo speciale Tgl, senza aver capito che fuori domicilio la giacca torna di rigore. Mentre il Berlusconi che polemizza in maglione da casa propria con Ciampi e Spaventa serve anche a dissipare quell'inquietante omogeneità visiva dei berlusconiani apparsi a «Milano, Italia» quasi in divisa, tutti scarpe Church, pantaloni grigi, blazer blu. Il Capo in persona rompe la loro disciplina e il lessico monocromatico della politica italiana. ARCORE, LA CASA Varcare il cancello di Villa San Martino ad Arcore non significa solo entrare nel cuore dell'impero Fininvest. Vuol dare essere invitati in casa del dottor Silvio Berlusconi. E lui per prima cosa ve la fa visitare, casa sua, mostrandone tanto i saloni antichi con divani da- mascari quanto i sotterranei supertecnologici. Siate un potenziale compratore di spazi televisivi o un aspirante candidato di «Forza Italia», anzitutto dovete considerarvi un ospite ricevuto nel luogo ove egli intende lasciare il segno definitivo in terra, mausoleo di Cascella compreso per la sepoltura sua e dei suoi più stretti collaboratori. Vi è una componente di finzione, in questa liturgia: perché in realtà Berlusconi, sua moglie Veronica Lario e i tre figli abitano in Villa Belvedere, nella vicina Macherio. Ma l'importante è che Arcore non abbia il sapore dell'ufficio, benché sontuoso. Perché oggi rappresenta un'altra rottura delle consuetudini: la politica si può fare «fuori» dalle sedi predestinate, siano i palazzi romani o anche i centri del potere milanese. Si può fare nel verde della Brianza, e le Thema blu dei visitatori illustri (i peones vengono portati in torpedone) cominciano ad attirare anche a ridosso di quel cancello i primi cronisti e operatori tv. Saranno forse radici posticce, quelle poste nella villa nobiliare del Settecento, ma non senza significato. Narrano di una ricchezza rivendicata senza esitazione perché costruita da sé (così come senza esitazione è stato esibito sui giornali il 740 da dieci miliardi). Alludono a un imprenditore che in quanto tale, senza infingimenti, si riserva il diritto di scendere in campo. Non si vergogna di difendere anche con la politica i propri interessi privati poiché ne proclama la coincidenza con quelli nazionali. LA BRIANZA Ville e fabbrichette nel verde e nella nebbia, paesoni cattolici vandeani in cui il genio della laboriosità creativa si mescola alla greve coltivazione atea del particulare. In questa terra manzoniana dalle mani callose che da Lecco arriva a stringere, ormai egemonizzandola, la stessa Milano, sorgono le case di uomini forti della loro brianzolità magari anche solo acquisita. Come è il caso di Berlusconi ma in fondo anche di Adriano Celentano, un altro che si porta il lavoro in casa a Galbiate sotto forma di studi televisivi e d'incisione. E se non è lontano neppure il villino di Umberto Bossi a Gemonio, che dà sul Varesotto, con le dovute distinzioni va ricordata anche a Desio, paese di mobilieri, la casa di don Luigi Giussani, che in Brianza ha costruito l'indiscussa roccaforte di Comunione e Liberazione. Non è davvero un caso che sia sorto nella brianzola Brugherio il primo club «Forza Italia», cui Berlusconi, giovedì 9 dicembre, alzando il calice, ha promesso: «0 sarete con me a Palazzo Chigi, o verrete al mio funerale». Fondatore, naturalmente, il geometra Edoardo Teruzzi che venticinque anni fa vi costruì col Cavaliere i primi diciotto palazzoni di un quartiere Edilnord. Le radici della politica berlusconiana vanno rintracciate in questi geometri prima ancora che nelle ballerine di Cologno Monzese. E soprattutto la Brianza del suo movimento va considerata come un insieme assai più ampio di «Italie minori» che vanno dalla Puglia, alle Marche, su fino al Veneto passando per tutti i topos classici che si ritrovano nei rapporti Censis degli anni del boom. Teniamolo a mente, per capire le potenzialità di rappresentanza del berlusconismo: in Italia ci sono tante Brianze, e contano sempre più dacché va in crisi la vecchia struttura industriale del Paese. LO SPORT Non è solo Milan, o, se si preferisce, il Milan non è solo calcio. E' la Polisportiva con migliaia di bambini da cui Berlusconi si è fatto circondare al Palalido di Milano per gli auguri natalizi, «una tempesta di sguardi e di emozioni», come recitava una voce fuori campo in tv. E' capitan Baresi che nello stesso programma dichiara: «Ho perso da ragazzo i genitori e qui dentro ho trovato la mia nuova famiglia», per poi confidarsi alla Stampa pronto a seguire Berlusconi in ogni avventura, politica compresa, se lui lo vorrà. Perché la «grande famiglia», compatta e protesa verso il successo, è metafora che dall'associazionismo sportivo si estende ossessivamente all'insieme dell'universo Fininvest. Non è solo una furbizia di marketing la scelta del nome «Forza Italia» e il riferimento agli azzurri nell'anno dei Mondiali. Le prime pubblicità dei club apparse sui giornali invocano chi legge: «Scendi in campo». IL PARTITO AZIENDA La straordinaria anomalia del movimento politico berlusconiano sta tutta dentro alla sua matrice aziendale: colui che ha creato 40 mila posti di lavoro dal nulla ritiene, con questa credenziale, di poter dare benessere all'Italia in crisi. 0 per lo meno di fermare il passo delle sinistre che altrimenti soffocherebbero la libera impresa da cui scaturisce il reddito. Filosofia Fininvest e filosofia politica così diventano una filosofia sola. Questo conta, soprattutto, nella genesi del partito-azienda: più ancora dell'apporto che fa probabilmente del medesimo partito-azienda l'unico apparato in grado di contrapporsi sul piano logistico all'organizzazione capillare del pds su tutto il territorio nazionale. «Abbiamo chiesto alla struttura che era più presente sul territorio, che è quella di Publitalia, di delegare dei volontari per ricevere gli aspiranti candidati fuori dal loro lavoro», ha raccontato all'Unità il segretario di «Forza Italia», Angelo Codignoni, a detta del quale ogni nuovo aderente prima di tutto «crede in Silvio Berlusconi» e lo fa «per quello che ha realizzato». La cura nel mantenere delle distinzioni formali e sostanziali fra impresa Fininvest e movimento «Forza Italia» non può impedire la continua identificazione delle due entità. Per esempio nello spot natalizio della Fininvest, quando Berlusconi appare dietro a una selva di microfoni e riappare tagliando un nastro tricolore, in montaggio con calciatori, star della tv, supermercati, centri residenziali, mentre la voce fuori campo inneggia alla «voglia di costruire, di produrre, di innovare, di lavorare per una società migliore», rivendicando «il coraggio di guardare lontano, di confrontarsi, il gusto di superarsi». Ma di qui a ridurre tale fenomeno a «partito inventato attraverso il reclutamento fatto dagli agenti pubblicitari, un partito televisivo nutrito da valori che sono la fotocopia dello yuppismo Anni Ottanta» - come dichiarato da Ciriaco De Mita a Repubblica - ce ne corre. Se non altro per l'immediata rispondenza che, nonostante la genesi inedita, tale movimento incontra in tanti ambienti della società italiana. Oltre che per lo sconquasso e il rimescolamento di carte cui ha dato luogo in tutta l'area politica moderata. LA DESTRA E IL LIBERISMO Artigiani, piccoli e medi imprenditori, professionisti, funzionari del marketing e della comunicazione, ceti popolari delusi dalla sinistra. C'è un'Italia individualista più vasta di quella, tutto sommato circoscritta, in cui già s'è insediato il leghismo, convinta a torto o a ragione di essere stata tenuta ai margini dell'establishment, delle protezioni clientelali, delle garanzie sindacali, dei circuiti della grande impresa e dei santuari della finanza. Ed ecco il Cavaliere che si vanta di essere sempre rimasto fuori dal giro di Mediobanca e che non nasconde la propria polemica col vertice della Confindustria. Ovvio che a questa Italia piaccia il Berlusca che senza tante storie la vigilia di Natale va in piazza Duomo a firmare, con gli altri dodici, il referendum pannelliano che vuole abolire la cassa integrazione straordinaria. «I padroni del vapore non hanno nulla a che fare con noi: loro devono fare in modo che tutto cambi perché nulla cambi», si vanta sull'«Espresso» il candidato Piero Broglia, viticoltore piemontese quarantenne. Ma il liberismo, la voglia di limitare al massimo ogni rapporto di dare e avere con lo Stalo, di per sé non basterebbe a trasformare il berlusconismo in potenza politica. Diviene tale grazie al rilancio impersonato dal Cavaliere di una cultura anticomunista borghese e popolare insieme, che da sempre lo contraddistingue almeno quanto il marchio del Biscione e che riproposta nel nuovo sistema elettorale, dopo il crollo del Centro, acquista un forte potere di aggregazione. L'ostilità all'ipotesi di un governo delle sinistre è oggi preoccupazione che può far premio su tutte le altre identità del fronte moderato. Combinata all'insofferenza fiscale, sorretta da un programma di drastico ridimensionamento delle politiche sociali e degli interventi pubblici in economia, può sottrarre più spazio di quanto non si pensi al centrismo di Segni, all'arroccamento leghista, all'intransigenza missina. Tutti e tre, già li ha messi sulla difensiva. Dal patrimonio aziendale Fininvest, questo nascente fronte conservatore può attingere a piene mani anche i valori: il bisogno di erodere in una persona che dà l'esempio, l'affetto per il capofamiglia, il senso della disciplina e della selezione, l'appartenenza, il rifiuto di ogni senso di colpa che riguardi il denaro e i consumi. E poi la necessità «sportiva» di agonismo, di potenza dispiegata. Gli umori post-ideologici di questa Italia moderata o di destra che dir si voglia, fan sì che possano risultare imprevedibilmente efficaci anche le sortite più «imbarazzanti» di Berlusconi: la sua apertura a Fini, per esempio, non scandalizzerà certo la massa di coloro che hanno finito purtroppo per identificare l'antifascismo come puro e semplice collante del regime. In molti la considerano semmai un atto di coraggio. Quanto ai punti deboli del Cavaliere, cioè la sua amicizia con Bettino Craxi, i favori ricevuti dal Caf, l'iscrizione alla P2 di Gelli, non deve stupire che oggi tutto sommato lo stiano penalizzando solo marginalmente. Non è stato il solo Berlusconi a credere in Craxi, ma di fatto buona parte del Paese, magari in funzione anti-dc e anti-pci, oppure identificandolo quale timoniere degli anni del boom. Sono in pochi a poter scagliare la prima pietra. LA FORTUNA, LE DONNE, I PRETI Moderna e innovativa finché si vuole, la maschera di Berlusconi conserva i tratti tipici del carattere italiano. L'uomo nato con la camicia, passato dai salesiani ai concertini a bordo delle navi da crociera, dal mattone ai vertici del capitalismo. Il fortunato di cui si favoleggiano le conquiste femminili in un mondo dello spettacolo di cui è il dominus, che non per questo recide i suoi rapporti con Santa Madre Chiesa, anzi li rivendica pubblicamente. L'imprenditore che non solo combatte contro i debiti e le lobbies nemiche decise a stenderlo, ma contrattacca proponendo alla società intera un sistema di consumi e un modello di vita. Achille Occhetto, suo avversario numero uno, sbaglia davvero se spera di ridicolizzarlo alla stregua di «un dittatorello sudamericano». La televisione e il partito-azienda sono solo due delle tante armi di Berlusconi. Non è un miliardario originale come l'americano Perot, non è un potenziale presidente inventato come il brasiliano Collor. E' il portavoce più nuovo di un'Italia conservatrice insieme laboriosa e ribalda, determinata e fragile, istintiva, che ha fede soprattutto in sé ed è convinta di dover conquistare, convertire o abbattere, con una certezza primitiva e totale: ciò che va bene per Berlusconi, deve andare per forza bene per il Paese. Gad Lerner Il successo Fininvest diventa una metafora per la politica e per i programmi del partito-azienda Interno Lunedì 10 Gennaruzione del «fenomeno Silvio