Macché Forza Italia qui è Sud America di Filippo Ceccarelli
Ieri è andato a vuoto il pranzo della conciliazione fra i due amici-nemici IL PALAZZO Macché Forza Italia qui è Sud America I moltiplicano a vista d'occhio i «dittatorelli sudamericani». Ben due (Segni e Berlusconi) ne ha voluti inchiodare al pubblico ludibrio Achille Occhetto. Che a stretto giro di replica, immemore di certe sue infatuazioni amazzoniche, s'è beccato la contro-accusa di essere lui il capo di un partitello da America latina. Todos sudamericanos, dunque, ole. Eppure, a parte gli automatismi del botta-e-risposta, un po' fa pensare la spensierata facilità con cui i politici italiani si rimbalzano l'un l'altro questo fulminante insulto geografico un tempo prerogativa allarmistica di pochi spiriti raffinati tipo Amato e Andreatta. Al punto che con un filo d'audacia verrebbe da chiedersi quanto sia giustificata ora - e soprattutto quanto lo sia rispetto a qualche tempo fa l'arietta di superiorità manifestata dai nostri governanti dinanzi ai torcibudella di quelle fragilissime democrazie. La spesa pubblica italiana, adesso? Da Sudamerica., La nuova legge elettorale? Sudamerica. I militari a presidio di Roma? Sudamerica. Le privatizzazioni? Sudamerica (ma lì, almeno quelle, le hanno fatte). Forza Italia? Ma quale forza Italia, forza Marinho, Sudamerica. Continente assai frequentato, del resto, dalla banda famelica degli spioni Sisde, molto sudamericani pure loro. Ed è come se, dopo essere stati sviati per anni da paurosi spauracchi quali il mondo sovietico («l'Italia dell'Est» di Intini e Cossiga), l'Africa nera, il Nordafrica o quel Medio Oriente che il professor Miglio auspica venga ricolonizzato dai siciliani, ecco, è come se all'improvviso gli italiani intravedessero un possibile, plausibile, persino (in parte) già avvenuto scivolamento verso terre così lontane, così vicine all'Italia. L'Italia della brillantina, dei marciapiedi rotti, dei viados e di Donatella Di Rosa, delle party-lines, della ruota (elettronica) per i trovatelli e di quell'infernale autoparco milanese in cui, come in un film ambientato a Bogotà o a Manhaus, si ri- auic 1 com I a Bc trovano concentrati politicanti, massoni, mafiosi, pentiti, servizi deviati, poliziotti corrotti, giudici a caccia di complotti, e se si va un po' più a fondo magari si scovano pure le sette religiose, con i loro stregoni (brujos) e i loro vudù. E certo non è consolante, però forse è anche il caso di segnalare che il giochino delle analogie comincia a funzionare bene, purtroppo: instabilità politica ormai cronica, un panorama di rovine, un nonnulla per evocare il golpe, ansia da Fondo Monetario, tutto un populismo iroso con risvolti peronisti, una specie di giustizialismo riveduto e corretto che ha già sostituito la politica con la galera. E anche in Italia, adesso, i narcos ammazzano i preti, anche qui come in Salvador ci trovi in prima linea i gesuiti (tambien hay los jesuitasl), mentre il rilancio di Gelli finisce per ricongiungere idealmente la morte di Calvi (e i missili venduti all'Argentina) con le più remote Tangentopoli australi, la cooperazione con la Bolivia, la metropolitana di Lima... Addirittura il Che torna di moda, a sinistra. Il Messico e la vecchia lotta di classe, altro che il caos jugoslavo. Mentre a destra, in un sussulto «zapatista», il Secolo d'Italia sospira sull'«insopprimibile voglia di sangre y muerte che anima questo stanco Occidente». E già pare di immaginare i «nuovi» schieramenti per un'Italia nevrotica travestita da Sudamerica: ì'Alianza para el Progreso, a guida pds, contro il moderato Polo de la libertad. Hasta la Victoria, quindi, efelicitaciones. Filippo Ceccarelli elli |
Persone citate: Achille Occhetto, Andreatta, Berlusconi, Cossiga, Gelli, Hasta, Intini, Marinho, Miglio
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