E' morto a Milano per collasso cardiaco: dall'estate soffriva di un tumore ai polmoni, aveva 52 anni Addio u Vittorio Mezzogiorno divo nascosto

E' morto a Milano per collasso cardiaco: dall'estate soffriva di un tumore ai polmoni, aveva 52 anni E' morto a Milano per collasso cardiaco: dall'estate soffriva di un tumore ai polmoni, aveva 52 anni Addio u Vittorio Mezzogiorno, divo nascosto «La Piovra» gli diede la notorietà MILANO. L'attore Vittorio Mezzogiorno è morto l'altro ieri nella sua abitazione milanese, colpito da collasso cardiaco. Aveva soltanto 52 anni. Mezzogiorno era stato sottoposto nello scorso luglio ad un intervento chirurgico per un tumore ai polmoni e da allora era sotto controllo medico. Per volontà della moglie Cecilia Sacchi e della figlia Giovanna i funerali saranno celebrati in forma strettamente privata. Aveva una grande virtù, Vittorio Mezzogiorno: sapeva starsene appartato, quasi nascosto. Una sera di qualche anno fa, nel foyer del Franco Parenti, a Milano, tra la folla che sciamava ciarliera verso la strada, la regista Andrée Ruth Shammah andò incontro all'attore, gli disse: «Posso abbracciarti?». Mezzogiorno indossava un battagliero eskimo verde. La faccia, che sembrava scolpita nel legno, era ingentilita da un paio d'occhiali dai cerchi leggeri. Sorrise timido. «Con quel che sei diventato...», aggiunse la Shammah. Mezzogiorno arrossì. E' un piccolo episodio significativo. Mezzogiorno era reduce dai trionfi televisivi della «Piovra», era salito in vetta alla popolarità, per la prima volta nella sua vita poteva definirsi un divo; ma, al solo pensiero di ciò che «era diventato», arrossì. Era fatto così: professionista maniacale da una parte e uomo segreto dall'altra. Aveva cominciato a recitare senza convinzione, negli anni dell'università, quando era convinto che sarebbe diventato avvocato. Ultimo di sette fratelli, era nato nel 1941 a Cercola, in provincia di Napoli; e a Napoli, non che studiare, aveva mosso i primi passi sulle tavole del palcoscenico. Ma in modo distratto e provvisorio. Infatti portava sempre con sé testi e dispense universitarie. Per impostare la voce, declamava in casa il Codice Penale. E quando entrò in una compagnia chiamata «Teatro S», lo fece più per curiosità intellettuale che per amore teatrale. Recitava Becket e Ionesco in spettacoli abbastanza decorosi, finché, nel '66, arrivò l'occasione irrinunciabile: fu chiamato da Eduardo e con lui lavorerà per due stagioni. Possiamo chiamarla conversione, magari fascinazione. Il fatto è che, da allora, Mezzogiorno non smise più di recitare. Portò a termine gli studi (non ha mai lasciato nulla a metà), ma non uscì più dallo spazio illusorio dello spettacolo. Ricordando la svolta di allora, disse: «Non si trattò di una scelta. Semplicemente smisi di fingere di essere qualcos'altro». Si trasferì a Roma, entrò in compagnia con i Giuffrè, con la Masiero, con Scaccia. Fondò una cooperativa con Flavio Bucci e Stefano Satta Flores. E poiché non amava la vita randagia, accettò di lavorare per la televisione. Il suo primo impegno è del '73 nel «Picciotto» di Negrin. Seguiranno «Il marsigliese», «L'amaro caso della baronessa di Carini», «Una spia del regime», «Martin Eden»: sceneggiati di grande respiro, in cui Mezzogiorno portava quella sua maschera profondamente segnata, buona per ogni ruolo, anche per il più crudele o il più sentimentale. In termini di popolarità la televisione gli darà moltissimo, più del cinema, più del teatro. Quella «Piovra» 5 e 6, in cui raccoglieva la spinosa eredità di Placido-Cattani, lo rese caro alle platee immense del piccolo schermo. Ma la vita e l'intelligenza di Mezzogiorno non erano soltanto lì. Lo dimostrano i film con Montaldo («Il giocattolo»), con Rosi («Tre fratelli»), con Beineix («La lune dans le caniveau»), con Chéreau («L'homme blessé») e l'ultima interpreta- zione: «Il grido di pietra» di Herzog. E lo dimostra il tenace lavoro teatrale, che ha avuto il suo culmine nel «Mahabharata» di Peter Brook: un'operazione immensa, 9 ore di spettacolo, una sfida immensa lanciata contro 110 mila strofe racchiuse in 18 libri. Il «Mahabharata» debuttò ad Avignone nell'85. Mezzogiorno fu l'unico attore, nel cast internazionale, a partecipare a tutte le sue edizioni. Nella parte dell'arciere Arjuna, con il codino legato alla nuca, ottenne un successo grandissimo, anche nella versione cinematografica che ne seguì. Unico punto nero e inspiegabile, le tiepide accoglienze americane. Mezzogiorno non inorgoglì mai. Lavorava con tenacia inflessibile, studiava e progettava. Gli sarebbe piaciuto girare un film su Napoli. Ma questa fu una delle poche cose che non riuscì a fare. Si lasciava guidare da una massima semplice ma dura. Era la frase che una volta gli disse Eduardo: «Hai una vita, hai delle qualità. Dunque, mettile in atto». Ora se n'è andato. Troppo presto per tutti, anche per il teatro. Osvaldo Guerrieri Così i compagni della «Piovra 6»: «Un entusiasta però mai banale» La tv lo portò al trionfo, ma lui lavorò soprattutto in teatro: Eduardo, Beckett, il «Mahabharata» Vittorio Mezzogiorno nella foto grande a destra. Qui sotto con Patricia Millardet nella «Piovra». A sinistra nel «Mahabharata» La tv lo portò al trionfo, ma lui lavorò soprattutto in teatro: Eduardo, Beckett, il «Mahabharata» Vittorio Mezzogiorno nella foto grande a destra. Qui sotto con Patricia Millardet nella «Piovra». A sinistra nel «Mahabharata» Qui sopra Michele Placido, eroe-protagonista della «Piovra» prima di Vittorio Mezzogiorno

Luoghi citati: Avignone, Carini, Cercola, Milano, Napoli, Roma