Libertà di educazione religiosa e di lotta animalista

Il burocrate l'ipocrita e la vittima LETTERE AL GIORNALE Libertà di educazione religiosa, e di lotta animalista Giustizia per i Rottweiler Ho provato disappunto nel leggere i due articoli di commento' alla vicenda dei «Rottweiler assassini». La razza Rottweiler ètalmente antica da risalire, forse, ai tempi di Roma antica, ei non è assolutamente, come affermato negli articoli, una «razza aggressiva creata a furia di incroci» o peggio «il frutto di una manipolazione genetica». Senza dilungarmi sulle qualità di questa razza, o sui problemi morali sollevati dall'episodio di cronaca, voglio solo chiedere un atto di giustizia nei confronti della verità, dei Rottweiler, di chi ama questi cani. Mario Muzii, Pescara Una firma contro l'egoismo L'anno 1993 è finito. Durante gli ultimi dodici mesi mi sono dedicata molto all'ecologia ed in particolare alla difesa degli animali. Non è sempre facile coinvolgere le persone in iniziative che non apportano vantaggi economici, ma ci sono state molte soddisfazioni. Tanta gente ha firmato le petizioni per salvare balene, orsi, cani ecc. Qualcuno ha addirittura dedicato del tempo per procurare ancora altre firme per la mia «missione». A tutti voi voglio dire «Grazie dal profondo del mio cuore». Questi dodici mesi mi hanno insegnato che c'è tanta gente buona e sensibile alla crudeltà inflitta da noi esseri umani a queste creature indifese. Ho avuto la soddisfazione di aver fatto qualcosa per diffondere informazioni a chi non conosceva le dimensioni di questa crudeltà svegliando così la loro sensibilità. Sebbene ci sia ancora molto da fare, ora vedo più chiara la strada. Dobbiamo vincere il complesso di superiorità che l'uomo ha nei confronti delle altre creature. Dobbiamo formare un «esercito» per lottare contro l'egoismo, l'indifferenza e l'ignoranza. Qualcuno mi chiede: «Conta qualcosa la mia firma?». Certo che conta: «Un pizzico di sale cambia la minestra», dice il saggio. Non solo ne vale la pena. E' un dovere che ognuno di noi dovrebbe sentire nei confronti di chi è nelle nostre mani. Carol N. Pisoni, Vezzano (Tn) Il degrado della scuola Nei giorni scorsi ho avuto la possibilità di seguire alcuni servizi televisivi di Raitre relativi al movimento in corso degli studenti. Mi riferisco in particolare all'intervento di una signora professoressa del liceo «Mamiani» di Roma e di un professore di una scuola di Sesto (quest'ultimo col codino e richiamato dal conduttore ad un linguaggio più corretto). Entrambi i suddetti insegnanti affermavano la superiorità della scuola statale su quella privata (meglio libera). Personalmente mi sarei espresso con maggiore obiettività: avrei detto che ci sono scuole statali migliori di alcune scuole non statali e che ci sono scuole non statali migliori di alcune scuole statali. I paragoni, se si fanno, vanno fatti a parità di condizioni; non è possibile mettere sullo stesso piano una scuola pubblica sussidiata al 100/100 dallo Stato ed un'altra che, per sopravvivere, anche se senza fini di lucro come è per tante scuole cattoliche, deve pagare allo Stato dei contributi di concessione governativa ed altri di vario genere. I signori professori sopra ricordati hanno probabilmente dimenticato che gli stipendi da loro percepiti derivano in parte anche dalle tasse pagate dalle famiglie degli alunni che fre- quentano le scuole non statali, famiglie costrette al pagamento delle tasse statali e a quelle delle rette delle scuole libere, unicamente penalizzate per il «reato» di scelta educativa, diritto supportato dalle convenzioni internazionali, europee e costituzionali. Ma tant'è; il discorso della mancata «parità scolastica» si trascina da sempre in Italia; la Repubblica italiana l'ha ereditato dal regime fascista e questo dalla cultura risorgimentale. Le famiglie non abbienti, alle quali la scuola cattolica vorrebbe estendere il proprio servizio educativo a parità di condizioni con la scuola statale, sono in attesa da sempre e si chiedono come mai lo Stato sia tanto renitente, diversamente da altre democrazie, alla parità scolastica, visto anche lo sfascio funzionale della scuola statale denunciato dallo stesso movimento studentesco. Da parte mia aggiungo che all'aumento di scolarità ha corrisposto purtroppo un preoccupante degrado educativo. Antonio Bellasio, Arona Che lezione dai «professori» Rai Ho letto un articolo di Curzio Maltese, relativo ai professori universitari nelle cariche pubbliche, su cui vorrei esprimere un dissenso e un consenso. Mi sembra esatta e incontestabile l'affermazione che spesso i professori non sono meglio, ma peggio di altri, come politici e amministratori pubblici. Personalmente, quel (poco o tanto) che so fare, in politica, non l'ho imparato dai libri (di altri o miei) ma facendo il consulente aziendale e l'articolista economico, a contatto con la quotidianità. La prova inconfutabile è quanto accade alla Rai: ci volevano dei professori, per «risolverne» i problemi, con l'aumento del canone e una sovvenzione statale (forse illegittima per la Cee: la Rai è una società per azioni) di centinaia di miliardi? E' questa la «lezione» di efficienza dei «professori»? Il mio dissenso netto verte sull'affermazione che le nostre università siano mediamente scadenti e disistimate. Sia le facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche di Torino ove ho insegnato per 24 anni, sia quella Economia di Roma, ove insegno (ora gratis, in quanto senatore) da nove anni, godono di altissima reputazione a livello internazionale. E basta andare a Cambridge (Usa) al Mit o ad Harvard e a Ginevra al Ceni, per notare quanti fisici italiani - che hanno studiato e insegnato e spesso tuttora insegnano nelle Università italiane - godono di posizioni prestigiose. sen. prof. Francesco Forte Presidente della commissione Finanze e Tesoro del Senato Discussioni private, con Eco Sulla Stampa di lunedì 6 dicembre, Pierluigi Battista dà conto della mia recensione al libro di Eco La ricerca della lingua perfetta (apparsa sull'ultimo Indice) in termini tali da far pensare che si tratti di una violenta stroncatura. Io avevo scritto che «un certo passo» del libro era devastato dagli errori di stampa, e che «la spiegazione del concetto di decomposizione semantica» era piena di refusi e non priva di scorrettezze sostanziali, tra cui «un esempio» incomprensibile. Battista riferisce questi miei giudizi all'intero libro. Addirittura, egli sostiene che io contesterei «la stessa ragione di esistere del libro», perché mi domando a un certo punto: che importa a Eco, e a noi, di tutto ciò? Dimentica di aggiungere che a questa domanda dò una risposta, cercando di spiegare il rapporto tra il tema della lingua perfetta e i motivi centrali della riflessione recente di Eco. Tutto ciò è evidente a chiunque legga la mia recensione. Aggiungo una considerazione. Pensavo che Umberto Eco potesse essere trattato come membro a pieno titolo della comunità scientifica, con cui, quindi, si può discutere, consentendo o dissentendo a seconda dei casi. Sono certo che questo è ciò che egli desidera. Ma un tale trattamento «normale» diventa impossibile se ogni menzione del suo lavoro, in quanto «fa notizia», deve per forza diventare un panegirico incondizionato o una vele nosa invettiva. Mi spiace, per Eco e per chi come me - ama discutere con lui: vuol dire che lo faremo so lo in privato. Diego Marconi, Seconda Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Torino