Due ostaggi erano morti nelle mani dei banditi. Coinvolti anche nel caso di Emanuela Trapani Il luna park nascondeva i killer dei sequestri di Giuliano Marchesini

Due ostaggi erano morti nelle mani dei banditi. Coinvolti anche nel caso di Emanuela Trapani Due ostaggi erano morti nelle mani dei banditi. Coinvolti anche nel caso di Emanuela Trapani Il luna park nascondeva j killer dei sequestri In cella la banda dei giostrai: 19 rapimenti in 11 anni VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Luna park e rapimenti. Giostrai presi qui e là, in mezza Italia, tra i baracconi, le luci colorate, i seggiolini volanti e l'autoscontro. Loro, quelli delle cittadelle del divertimento, sono i protagonisti di lunghe stagioni di sequestri, secondo gli inquirenti. Quarantaquattro ordini di arresto: una banda della quale i carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) sono riusciti a spezzare il girovagare, una banda di spietati, dove alcuni premevano per uccidere gli ostaggi dopo il pagamento del riscatto. L'accusa di associazione per delinquere, anche di stampo mafioso, a carico di questa organizzazione. E diciannove nomi compongono l'elenco delle vittime degli uomini delle giostre: chi rilasciato dopo il pagamento del riscatto, chi liberato dalle forze dell'ordine, chi morto tra le mani dei banditi. Gianfranco Lovati Cottini, 38 anni, possidente milanese, rapito nell'agosto del '75, fu trovato carbonizzato dentro un'auto a Caorle, sulla riviera adriatica. E Luigi Galbiati, 45 anni, commerciante di carni di Bovisio Masciago, venne ucciso a colpi di arma da fuoco durante il tentativo di sequestro. Nella lista dei rapiti c'è anche Emanuela Trapani, figlia dell'industriale milanese, sequestrata il 13 dicembre del '76 e liberata dopo quaranta giorni: il suo caso si trascinò clamorosamente, qualcuno parlò di una storia tra lei e il «carceriere» Renato Vallanzasca, un «romanzetto» che finì per rendere quell'esperienza ancor più amara. Ora si scopre che erano stati i giostrai, a portar via Emanuela. Ci sono voluti sei anni di indagini, per arrivare a rimettere insieme la banda dei nomadi. E ieri sono stati eseguiti ventidue ordini di arresto, dal Veneto alla Lombardia, all'Emilia, al Lazio, all'Abruzzo, alla Campania. Li ha firmati il giudice istruttore veneziano Carlo Mastelloni, che ha mandato avanti l'inchiesta avviata da Francesco Saverio Pavone. Cinque personaggi sono ancora ricercati, gli altri erano già in carcere. In tutto, tra il '75 e l'83, questa organizzazione ha «incassato» circa sette miliardi e mezzo. Hanno parlato in cinque: quelli che gli inquirenti chiamano «collaboratori di giustizia». Pentiti trovati tra quelle roulottes dei giostrai che erano diventate covi della banda. Devono aver raccontato tutto, i pentiti. Di come si andava da una parte all'altra, a metter su baracconi e a cercare industriali, commercianti da sequestrare. Ognuno con un compito preciso, secondo una gerarchia basata sulle fa¬ miglie. Chi allestiva la giostra dei bambini, con i cavallucci e le automobiline, e chi il tirassegno. Per preparare la festa del paese, o del quartiere cittadino. Poi, sotto le luminarie del luna park, c'erano quegli altri preparativi: qualcuno stabiliva chi si dovesse sequestrare, dopo aver avuto informazioni sui ricchi della zona, sulle loro abitudini e su quelle dei loro figli. Gli altri, gli esecutori, tiravano fuori le armi dalle roulottes e andavano a tendere agguati fuori dalle ville. E tornavano all'accampamento con l'ostaggio. Hanno colpito diciannove volte, gli uomini delle giostre, mentre i loro parenti invitavano i bambini a salire sulle automobiline, i ragazzi a provare a vincere qualcosa al tirassegno, le ragazze a provare l'ebbrezza dell'ottovolante. Drammi di sequestrati inflitti da gente intenta a dispensare svaghi. Per gli inquirenti, questa dei baracconi era una «vera e propria holding del crimine, in grado di operare ovunque e di trasformare in imprese produttive gli ingenti riscatti». Gente, dicono, che aveva legami con la cosiddetta «mala del Brenta» e si collegava con la mafia, importata in certe zone del Nord. Quelli che comandavano, in questo sini- stro «parco dei divertimenti», di solito si facevano chiamare con i soprannomi. C'erano Walter Prina detto «Cinenti», Olivo Suffrè, per i compagni «Gigio», poi Major Radames, che chiamavano «l'egiziano», Giuseppe Mayer detto «Peperli», Lorenzo Marzari e Gigino Moretti, rispettivamente «Bacco» e «Bacci». Questi, secondo i magistrati che hanno condotto l'inchiesta, sono i personaggi che hanno inflitto sofferenze a diciannove persone. Gente por¬ tata via da Gigio, dall'egiziano, e da quel tipo che allegramente chiamavano Bacco. E per due delle vittime non c'è stato ritorno. Del riciclaggio dei riscatti si sarebbe occupato Mario Plinio D'Angelo. Il pagamento, nella maggior parte dei casi, nel Lazio: generalmente, i familiari dei rapiti portavano i soldi sul raccordo anulare verso l'Aurelia. Poi, il giostralo si faceva frequentatore delle case da gioco: in abito scuro nel casinò di Venezia, in quelli di Portorose, Umago, riciclare centinaia di milioni. Ma una parte del bottino era riservata all'incremento del luna park: se occorreva una nuova attrazione, se c'era bisogno di rammodernare l'autoscontro, se era da rifare la «casa degli orrori», si comprava tutto con i soldi dei rapiti. Adesso, dice il giudice Mastelloni, «si sta frantumando il muro di omertà delle organizzazioni criminali». I pentiti escono dal parco dei diver¬ timenti per raccontare storie drammatiche, indicano capi e gregari della banda delle giostre, il loro rifarsi ai modelli delle «anonime» calabresi, siciliane, sarde. Per anni, questi uomini venuti dal luna park hanno seminato il panico tra industriali, commercianti, proprietari terrieri. I «Gigio» e i «Bacci» hanno prelevato gente con i fucili. Poi sono tornati al luna park, a far girare la giostra. Giuliano Marchesini Emanuela Trapani dopo II rilascio: fu sequestrata dalla banda dei giostrai