All'assemblea dei giornalisti è comparso all'improwiso in redazione anche Berlusconi Quel freddo abbraccio di Indro Montanelli

All'assemblea dei giornalisti è comparso all'improwiso in redazione anche Berlusconi All'assemblea dei giornalisti è comparso all'improwiso in redazione anche Berlusconi Quel freddo abbraccio Tra Silvio e Indro al «Giornale» MILANO. Silvio Berlusconi è un grande attore. Alle 16,30, planato sul pianerottolo del Giornale, chiede: «E' arrivato Indro Montanelli?». Sembra allegro, tiene una mano in tasca, cerca di apparire disteso, ma non riesce a nascondere del tutto un che di allarmato, uno sguardo in allerta. «Si presidente, il direttore è nel suo studio». «Ali perfetto e allora mi scusi... Ci vediamo dopo». Ci sono problemi? «Nessun problema». Cosa dirà a Montanelli? «Che ha tutta la mia fiducia, adesso mi scusi». Va. Brutto pomeriggio di pioggia. Brutte premesse, per questa storia nata venerdì sera, ore 19, esternazione di Emilio Fede dalla scrivania del suo Tg4: «Montanelli? Per conto mio deve dimetterei». C'è aria da resa dei conti, o almeno da evento, visto che Silvio Berlusconi è arrivato qui, qui nella redazione del Giornale, dove da un paio di ore sta girando la voce che Indro è pronto a fare le valigie. In mattinata il vecchio aveva convocato il comitato di redazione, faccia tesa, parole lente: «Con l'editore la rottura è insanabile, sto pensando di fare un nuovo giornale. Ho chiesto a Berlusconi di venderci questo, ne ho parlato anche con Enrico Cuccia, che è un suo creditore. Berlusconi mi ha detto di no. A queste punto - continua Montanelli - io devo pensare a chi viene con me, e devo pensarci non solo da direttore, ma anche come padre di famiglia, perché chi viene con me si mette in gioco, rischia tutto, e io debbo garantirgli un futuro. Chi invece deciderà di restare, non si preoccupi, gli faranno ponti d'oro». Mentre il Dottore e il Direttore se ne stanno chiusi dietro alla porta a vetri, c'è tempo di riepilogare la giornata. La redazione alle 15 si è riunita in assemblea al quinto piano. Passano 70 minuti e da piazza Cordusio spuntano due Thema con i fari accesi. Silvio scende per primo, doppio petto scuro, camicia azzurra, faccia abbronzata. Per due giorni ha cercato di tenersi alla larga dai guai, ora gli tocca questa specie di Canossa che lui affronta con passo svelto: «Sono qui per dire la mia sulle polemiche e per rinnovare a Montanelli e alla redazione affetto, fiducia, stima». Sta andando in assemblea? «Proprio così». A dire? «Che è stata fatta una lettura distorta dell'incidente». Cioè delle cose dette da Fede? «Sì, io non c'entro niente». Però? «Però sono stato tirato in mezzo come se fossi il mandante. Ho il dovere di chiarirmi con Montanelli, anche se non sono più l'editore del Giornale, ma solo un socio di minoranza. Dato che si è fatto ripetutamente il mio nome, sono venuto a ristabilire la verità». Entra in assemblea, mormorio. Microfono: «Mi sono sempre riconosciuto nella linea politica del Giornale e nel suo direttore naturale, nell'idea di rafforzare e riuni¬ re il Centro contro le sinistre. Credetemi dietro alle parole di Fede non c'era nessuna manovra e con mio fratello Paolo, l'editore, ho condiviso tutto, anche la lettera di piena fiducia che ha fatto avere al vostro direttore. Vi assicuro che non ho mai detto a mio fratello di abbandonare il quotidiano». Gli chiedono: dottore lei lo sa che Montanelli sta pensando a un altro giornale? Risponde: «Non ne so nulla». E' vero che le avrebbe chiesto di venderglielo? «Non mi ha mai chiesto di vendere. Lo escludo. Se mi avesse chiesto una cosa del genere, avrebbe ricevuto, per la prima volta, delle male pa¬ le c'era role. E poi considero il Giornale incedibile, la mia famiglia lo ha da troppi anni». Pausa: «Ecco, se devo dirvi la verità ho solo un piccolo appunto da fare. Qui si conduce la battaglia in punta di penna, in punta di fioretto, e non con i mezzi che usano i nostri avversari». Gli dicono: se dobbiamo fare questa battaglia contro la sinistra, i mezzi ce li dovete dare voi. Risponde Berlusconi: «E pronto un piano di rilancio». Può essere più preciso? Eccome: «Se il Giornale darà segno di voler combattere con la stessa determinazione dell'altra squadra, i mezzi non vi mancheranno». Messaggio chiaro, poi i saluti. Al terzo piano è arrivato Montanelli. Chiede un caffè, un bicchier d'acqua, dice: «Che giornata». Con lui c'è l'avvocato D'Aiello, amico e difensore di fiducia. Non si sa mai. Spunta Federico Orlando, il condirettore che tutti danno pensionabile da un momento all'altro: «Se lo fanno è un atto politico e reagiremo come tale». Berlusconi esce dall'assemblea appena appena sudato. Com'è andata? «Bene, benissimo, mi sembra che gli animi si siano rasserenati». Mica tanto vero, ma Berlusconi ha voglia di parlare, di riempire questa sua visita di messaggi positivi, tranquillizzanti: «Guardi, io non mi sono mai intromesso nelle polemiche tra direttore e direttore, tra rete e rete. Dirigo un gruppo multimediale e ogni testata è destinata a un pubblico specifico. I contrasti a volte nascono, è naturale... la mia è una visita di cortesia. Del resto ho invitato Montanelli a colazione...». Ripete: «L'ho invitato subito: venerdì e lui mi ha detto che non poteva. L'ho invitato sabato e mi ha detto ancora di no». E allora? «L'ho invitato di nuovo e finalmente ha detto sì». Dunque colazione domenicale? «Sì, per noi è quasi una consuetudine. Ci sarà anche Fedele Confà- lonieri». L'ultima colazione è finita con un editoriale, il giorno dopo, intitolato «Fratelli separati». Questa volta? «E chi lo sa. Io l'ho detto più di una volta a Montanelli, uscirai dal Giornale solo quando Dio vorrà e anche allora...». Anche allora? «Gli farò mettere un fax satellitare così mi spedirà gli articoli dal paradiso». Dunque si sono fatte le 16,30: «E' arrivato Montanelli? Sì, allora vado». Due rampe di scale, il corridoio: «Carissimo come stai?». Fruscii, di nuovo un caffè, segretarie e vice direttori in attesa. Ora che sono soli si diranno la verità? Rieccoli: «Allora ti aspetto a Arcore per la colazione». Indro: «Spero che non mi darai un caffè avvelenato». Risatine. A fine corridoio la stretta di mano. Berlusconi scende, uno del sindacato gli fa: «Presidente, venga giù in tipografia». Montanelli risale il corridoio verso lo studio in compagnia di certe idee che gli frullano in capo. Pino Corrìas Il Cavaliere: «Dietro le parole di Fede non c'era nessun mandante» Paolo Berlusconi (a fianco) ed Emilio Fede (a sinistra) Sopra: Indro Montanelli arriva all'assemblea del Giornale

Luoghi citati: Arcore, Canossa, Milano