Eccellenze fra potere e paura di Roberto Martinelli

Eccellenze fra potere e paura Eccellenze fra potere e paura Prefetti e politica, rapporto ambiguo ISUPER BUROCRATI NEL PALAZZO IL titolo onorifico è abolito per legge, ma guai a non chiamarli «eccellenza». Segretarie, telefonisti, portavoce, sono inflessibili. Il prefetto è «eccellenza» per antonomasia. E a quasi tutti fa piacere questa forma di ossequio feudale. I più disincantati sono quelli di nomina esterna: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Domenico Sica, Nicolò Amato. Un generale e due magistrati, prefetti di nomina goverI nativa. Il primo fu prefetto cu Palermo per cento giorni prima di essere ucciso da «Cosa nostra». Il secondo fu per due anni Alto Commissario antimafia prima di essere fatto fuori da un ministro plurinquisito. Il terzo ha diretto per dieci anni le carceri italiane e poi, fatto prefetto, è stato messo in lista di attesa. Tre uomini, tre stili, tre storie diverse, accomunate dalla sottile ironia con la quale scherzavano con il titolo di eccellenza. Ma anche dalla situazione particolare di sottomissione assoluta nella quale, come prefetti, si sono venuti a trovare di fronte al vertice politico. Dalla Chiesa, prima di essere ucciso, aveva invocato mezzi e strutture per combattere il crimine organizzato e per tutta risposta era stato isolato in una Palermo assediata dalla mafia, Sica, messa a punto la riforma, era sul punto di sferrare il suo attacco a Cosa nostra e dovette invece subire un trasferimento punitivo a Bologna ammantato dalla falsa promessa di essere nominato in tempi brevi capo della polizia. Ad Amato è andata peggio perché non gli è stata data nessuna spiegazione: umilialo, l'ex giudice si è dimesso ed ha cominciato a fare l'avvocato. Tre storie certamente diverse da quelle che altri prefetti di polizia, quelli entrati per concorso, stanno vivendo sballottati tra carceri giudiziarie, procure della Repubblica, registri degli indagati, imputazioni di peculato ed altre amenità di questo tipo. Tutti contaminati da quel virus chiamato Sisde, diventato sinonimo di corruzione, ricatto, deviazione istituzionale, arricchimento illecito, favoreggiamento. Si è perso il conto di quelli sotto inchiesta, tra indagati, arrestali, ricercati. Certo una minoranza tra i tantissimi loro colleghi che sono rimasti onesti servitori dello Stato e non si sono lasciati corrompere dalle lusinghe del danaro e delle camere fulminanti. La legge vuole che il prefetto rappresenti il governo centrale in provincia, ma nella realtà delle cose egli finisce per essere l'esecutore materiale della politica intesa spesso come controllo di territori, situazioni e di centri di potere ben individuati. In carriera si entra per concorso: il primo gradino è quello di consigliere di prefettura, l'ultimo quello di prefetto di prima classe. Ma anche al vertice della carriera il preletto è sempre esposto agli umori del suo ministro. La sua nomina prima e gli incarichi che gli vengono affidati sono fiduciari, e sono legati a fattori politici contingenti. Alla fine degli Anni '60 la carriera prefettizia è stata aperta anche alle donne e la più brava, Maria Cortellessa dell'Orco, moglie di un magistrato in servizio a Roma l'ha percorsa tutta. E' Eccellenza anche lei ed è una delle tre vice del capo della polizia Vincenzo Parisi. E' stato lui a chiamarla al suo fianco dopo una lunga esperienza. Potrebbe prendere il posto del capo se sarà gradita alla parte politica che andrà ad occupare il Viminale nella Seconda Repubblica. Se i primi avanzamenti vengono scanditi da graduatorie, tabelle e concorsi interni, l'accesso dei prefetti ai posti che contano sono tutti determinati da scelte e gradimenti politici. Il valzer cadenzato e ricorrente delle nomine, concordate tra ministro dell'Interno e capo della polizia (il primo nella scala gerarchica dei prefetti di prima classe), ha da sempre fornito lo scenario di come funziona all'interno del Viminale il sistema di bilanciamento nella distribuzione delle cariche. Per diventare capo di gabinetto del ministro, segretario generale del Cesis, direttore del servizio di sicurezza non basta essere prefetto; occorre avere il gradimento del ministro (e qualche volta del capo della polizia). Fino al 198?ì, quando Domenico Sica diventò Aito Commissario an1 imafìa, pochi sapevano a cosa servisse quella stiutturu. 1 tre prefetti clie si erano succeduti sulla poltrona avevano fatto di tutto per farne dimenticare persino l'esistenza. Nel suo libro «Per fatti di mafia», Francesco Misiani ricorda che il primo dei tre, Emanuele De Francesco, cumulò in sé la triplice funzione di prefetto di Palermo, di Alto Commissario, e di direttore del Sisde. Gli altri due prefetti Riccardo Boccia e Pietro Verga presero atto che l'istituto «era narcotizzato e si adeguarono a svolgere la parte di mere comparse assegnala loro dal potere esecutivo». Nel pieno dell'estate del 1991, prima dell'esplosione di Tangentopoli, il Viminale mise a punto un piano che fu presentato come lo strumento più adatto per «rafforzare la strategia contro la criminalità». Vennero spostati con il bilancino ottanta prefetti e ne vennero nominati sette «super» con incarichi specilli nelle regioni più calde. 1) movimento interessò quarantatre province. Riccardo Malpica fu tolto dal vertice del Sisde e nominato direttore generale dell'amministrazione civile, una carica forse non proprio adatta ad un uomo di cui tutti sapevano l'uso che aveva fatto dei fondi segreti del servizio. Al posto di Malpica venne messo Alessandro Voci, già prefetto di Roma. Fu in quell'occasione che l'allora ministro degllìnterno Scotti, coinvolto anche lui pesantemente nell'inchiesta Sisde, dette il benservito a Sica sostenendo che Bologna aveva bisogno di lui, per la sua alta capacità investigativa. All'Alto Commissariato venne rimesso un burocrate, Angelo Finocchiaro, quarant'anni di carriera prefettizia alle spalle, con il compito di liquidare la struttura che Sica aveva messo su e rischiava di dare frutti concreti. Undici mesi dopo, sempre d'estate, nuovo giro di valzer di nomine e di prefetti e altro cambio della guardia al Sisde. Il prefetto Alessandro Voci cede il posto al prefetto Angelo Finocchiaro rimasto disoccupato dopo la liquidazione dell'Alto Commissariato, e nei confronti del quale il governo aveva qualche ragione di gratitudine. Il regno di Finocchiaro dura pochissimo perché scoppia lo scandalo dei fondi neri e Ciampi nomina al suo posto Domenico Salazar, già superprefetto di Catania al quale affida l'incarico di ripulire i servizi dalle mele marce. Ed altri giri di valzer sono annunciati per continuare questo carosello senza fine, di vago sapore napoleonico, proprio di uno Stato che non vuole rinunciare a impor¬ re in provincia la sua volontà al di sopra delle autorità locali. Certo non sono più i tempi in cui Mario Sceiba, ministro dell'Interno, decise di mandare a Milano il comandante della Folgore per assicurare la sostituzione di un prefetto di fede comunista. Né tantomeno quelli in cui il prefetto Cesare Mori venne spedito in Sicilia per combattere il fenomeno mafioso. E' forse il tempo però che i prefetti di polizia lascino ad altri il controllo dei servizi di sicurezza. Al di là di quella che sarà la conclusione dell'inchiesta giudiziaria, le cosiddette «eccellenze» hanno dimostrato di non essere state, nonostante gradimenti e fiducia dei ministri, all'altezza dei loro compiti. Roberto Martinelli Ma Dalla Chiesa e Sica furono umiliati Il prefetto Malpica (qui accanto) avrebbe detto che i «premi» del servizio segreto civile erano già in vigore con la precedente gestione

Luoghi citati: Bologna, Catania, Milano, Palermo, Roma, Sicilia