Dentro la crosta della Terra di Mario Tozzi
Dentro la crosta della Terra Dentro la crosta della Terra Quel patrimonio di cono scenze non va però sottovalutato: molte caratteristiche erano già state intuite in passato, ma quanti geologi della generazione di Argand - il primo sistematico interprete delle Alpi negli Anni 20 - potevano immaginare che, per esempio, il mantello (cioè lo spesso «strato» che si trova al di sotto della crosta) sarebbe risultato coinvolto nella costruzione della catena alpina? E che le Alpi stesse potessero racchiudere tracce della presenza di più antiche catene formatesi - probabilmente quando ancora non era cominciata la collisione fra il continente europeo e quello africano? Nell'ambito del Crop (dopo i profili alpini) è prevista l'esecuzione di alcune migliaia di chilometri di rilievi sismici che in parte sono già stati acquisiti (Mar Tirreno, Italia meridionale) e in parte devono esserlo ancora (Appennino centro-settentrionale, Alpi orientali, Adriatico). L'estensione a grandi profondità (fino a 50-60 km) delle prospezioni di sismica a riflessione in verticale è un tema di frontiera per le ricerche nel campo della geologia, non tanto per le tecnologie richieste, quanto per l'indispensabile elaborazione di modelli geologici esaustivi che tengano conto dei dati profondi e di quelli superficiali. All'acquisizione dei dati e alla loro elaborazione (processing) segue perciò una fase di interpretazione che riveste un'importanza decisiva. Ma cosa si vuole ottenere dal progetto Crop? Prima di tutto una conferma o una smentita ai modelli che sono già stati costruiti per spiegare l'assetto geologico della penisola italiana: in altre parole, una crescita complessiva delle conoscenze di base, presupposto senza il quale anche i miglioramenti tecnici non potranno essere sfruttati a fondo. E nuove informazioni il Crop potrà senz'altro dare sullo «scontro» fra la placca europea e africana: ancora oggi non è infatti possibile delinearne con precisione i limiti, né caratterizzare meglio il tipo e il grado di deformazione derivata dalla collisione. Sarà anche più semplice individuare zone in grado di sviluppare terremoti come quelli dell'Irpinia o del Friuli (pre\ venzione delle catastrofi na\ turali), identificare luoghi sta| bili (insediamenti industriali in condizioni di massima si| curezza) e strutture in grado | di ospitare idrocarburi (utilizai zazione ragionata del sottosuolo e sfruttamento mineraì rio). Il riscontro economico è dunque notevole e procede di pari passo con la ricerca di base, anche se è bene ricordare che la conoscenza dei primi 50-60 chilometri resta ancora piccola cosa di fronte ai 6370 chilometri di raggio della Terra: siamo ancora fermi alla buccia della «grande mela» su cui viviamo. Mario Tozzi Cnr, Istituto di Geologia
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