«Non c'entriamo con le tangenti»

«Non c'entriamo con le tangenti» «Non c'entriamo con le tangenti» iZ senatur oggi in aula davanti a Di Pietro LA DIFESA DEL CARROCCIO E MILANO si celebra oggi, in quest'aula di Tribunale, lo storico incontro tra Umberto Bossi e Antonio Di Pietro. Incontro o scontro lo decideranno gli arbitri, il distinto Sergio Cusani e il battagliero Giuliano Spazzali, più il presidente Giuseppe Tarantola con la sua consueta aria disincantata e serena. Spettatori: tutti, i pochissimi oltre la transenna e i milioni davanti alle tv, differite la sera, registrazioni per tutta la settimana. E' prevista un'audience da Craxi, ma non è prevista la parte di Bossi: pronto allo scatto da comizio? Oppure, come vorrebbe la nuova divisa liberaldemocratica, deciso, sicuro, e però rispettoso e affatto duro? «Tranquillo, sarò tranquillo», promette lui: «E vorrei che fossero tranquilli tutti, la Lega con tangenti e Mani pulite non c'entra». Ma ieri, partito da casa alle 13, ha passato il pomeriggio nello studio di Giovanna Andreoni, il suo avvocato, ad immaginare l'aula, le domande e le risposte. Fino alle sei di sera. Ha voluto ascoltare la registrazione dell'interrogatorio di Marcello Portesi, il responsabile delle relazioni istituzionali Montedison, il manager che ieri ha ribadito i suoi incontri con Bossi e Alessandro Patelli, lo stesso che ha consegnato i 200 milioni prò Lega al bar Doney di Roma, «tra il 18 e il 31 marzo 1992», come ha precisato. Bossi, al telefono, sembra davvero tranquillo. «Portesi ha detto che io gli ho chiesto soldi? E' un falso, non è vero perché non ha detto così. E chi lo scrive si prende una querela da 10 miliardi//. Peccato per l'Agenzia Italia, che ha titolato «Portesi: "Fu Bossi a chiedermi i soldi"». Al volo arriva il comunicato della Lega Nord: contumelie e 10 miliardi «dall'agenzia Agi di Roma, da sempre asservita alla più sporca partitocrazia». Sistemata questa, Bossi gioca d'anticipo: «Attenzione, siamo circondati da "bandoleros" che cercano di montarci addosso una campagna di stampa. Questa è tutta una manovra politica contro la Lega». Nello studio dell'avvocato ha cercato di capire il riferimento di Portesi a Marco Formentini, il sindaco della Lega e di Milano, una settimana prima dell'elezione, l'occasione è un'intervista nella redazione di «La Notte», presente anche Sergio Cusani, allora editore del quotidiano con Alberto Rusconi e Gianni Varasi. E' bastato quest'accenno, in aula, e subito parte il sospetto: soldi anche a Formentini? Bossi, su questo, si scatena: «Una mascalzonata, un falso losco, un'insinuazione grave. E poi che cavolo c'entra Formentini? Ah, sì! Vogliono metterlo in mezzo perché tanto sanno che è in Argentina, e non può rispondere...». Rientrato a Gemonio in tempo per un collegamento con il Tg Fininvest di Paolo Liguori, Bossi ammette: «La Lega ha sempre chiesto soldi per crescere, li ha chiesti anche agli imprenditori, certo. Ma in cambio offrivamo lavoro, le ricerche del nostro centro studi o la pubblicità per un'agenzia di concessione che stavamo per mettere in piedi». Al Tg, al telefono o dall'avvocato, ha insistito: «Mi pare che, oltre a Portesi ieri, anche lo stesso Sama l'abbia già detto in aula: la Lega non ha mai chiesto denaro, ma ho offerto lavoro. Punto e basta. Nessun avvocato Spazzali, nessun giudice, nessuna inchiesta dimostrerà il contrario!». Antonio Di Pietro, ieri, per la verità qualcosa ha dimostrato. Quantomeno, per restare alla deposizione di Portesi, che l'ex segretario amministrativo Alessandro Patelli si è preso i 200 milioni ben sapendo che erano «in nero»: «Dissi al signor Patelli che il dot¬ tor Sama non riteneva opportuno dichiararli». Bossi, che entra in aula come reo confesso (politico) del reato di Patelli, risponderà così: «Se Sama non firmava la dichiarazione, come potevamo denunciare la cifra ottenuta?». Risposta deboluccia, ma Bossi è pronto ad assaltare la legge sul finanziamento pubblico ai partiti: «Quella sì che è una legge incostituzionale». Così Di Pietro, il presidente Tarantola, avvocati, spettatori e telespettatori sentiranno questa spiegazione: «Noi non potevamo ottenere il finanziamento pubblico, e questa legge è confusa, scritta e voluta apposta per danneggiare le piccole forze politiche che stanno per diventare grandi. Una legge che mescola i soldi delle tangenti con le donazioni spontanee. In Tribunale dirò che va fatta chiarezza. E' come colpire allo stesso modo un aiuto, un'operazione volontaria di un cittadino che vuole sostenerci, e quei finanziamenti che vanno ai partiti che manipolano migliaia di miliardi in cambio di appalti o leggi compiacenti». Più che in un'aula di tribunale, Bossi si sente pronto ad un'aula parlamentare. Dietro l'avvocato Spazzali vede il pds, dietro Cusani vede Craxi, dietro Di Pietro aspetta a dirlo. «Questa è tutta una roba politica, ed è giusto che vada io in aula a farla». Bossi co- me Craxi, pronto a difendere le proprie ragioni attaccando? «La gente che ho visto in questi giorni in montagna, su all'Adamello, sulle piste da sci, mi chiede di andare avanti, di passare ai fatti». Gli hanno anche chiesto: ma Di Pietro da che parte sta? Pareva una così brava persona. Il liberaldemocratico Bossi, prudente, per la risposta attende la fine dell'udienza. Unico timore per oggi, qualche «pacchetto», qualche trappola da «quello Spazzali, ma il Soccorso Rosso non ci riuscirà». Dopo i tg della sera, alla sede della Lega sono arrivate telefonate di militanti pronti a marciare su Palazzo di Giustizia, pronti alla solidarietà militante con il Capo: «Ma no, meglio che non venga nessuno, vado io e basta. Siamo una forza politica seria e onesta, nessuno può colpirci». La previsione peggiore? «Che vogliano coinvolgere la Lega per chiudere Mani pulite». La conclusione è una metafora da piccolo chimico: «L'inchiesta è nata grazie a noi, ma se il prodotto attacca la matrice finiI sce che si squaglia...». Giovanni Cerniti t Bi A lato, Carlo Sama. Sopra, l'ex cassiere della Lega Patelli

Luoghi citati: Argentina, Gemonio, Milano, Roma