I musulmani da vittime a carnefici

I musulmani, da vittime a carnefici I musulmani, da vittime a carnefici Prete italiano denuncia atrocità ai danni dei croati UN NUOVO DELL'ORRORE UMEDJUGORJE N mattone per ogni bambino croato di Doljani che non c'è più. La guerra ha permesso che si costruisse un muro alto due metri e mezzo: un cimitero senza tombe e con pochi fiori ma con i nomi di tutte le vittime. Vernice nera per quelli certamente morti: uccisi dai cecchini, dilaniati dalle esplosioni, stritolati dai crolli. Vernice bianca per quelli che non si trovano e che non si sa dove sono. Per la burocrazia armata sono «dispersi». Ma dove? Qualcuno sospetta l'esistenza di un campo di concentramento per bambini che potrebbero tornare utili - chissà come - nel prosieguo del conflitto. Merce di scambio, scudi viventi o altre analoghe ignominie. I responsabili del Coordinamento per i diritti umani di Medjugorje - pur senza assicurare certezze - accreditano questa possibilità che sarebbe una nefandezza in più in una guerra senza misericordia. La vicenda e raccontata nei verbali delle organizzazioni dell'Onu e, tuttavia, non sarebbe conosciuta senza l'impegno di don Modesto Platini, parroco di Cavallirio (Novara), che ha personalmente guidato una trentina di missioni umanitarie nella ex Jugoslavia, patrocinandone altrettante. Uno spicchio di storia, un episodio chissà quanto marginale di questo conflitto che non quieta nemmeno a Natale e che promette altre stragi di innocenti. Le forze musulmane hanno fatto irruzione a Doljani, un villaggio della Bosnia meridionale abitato prevalentemente da croati, i quali avevano ospitato nelle loro case anche alcuni parenti e amici scappati da Jablanica, poco distante, investita e distrutta dal fuoco di artiglieria. E' la cronaca di un massacro. «I testimoni oculari che hanno firmato la relazione per il Centro dei diritti umani affermano che gli assalitori erano comandati da Zulfikar Alispaga, detto Zuka», il quale, per come viene citato, dev'essere considerato una specie di mostro, armato fino ai d^nti e assetato di violenza. I musulmani di Jablanica, che - come un po' ovunque in queste terre dei Balcani avevano imparato a convivere con gente di razza diversa e di diversa religione, hanno sentito il richiamo della propria diversità e hanno partecipato ai- la razzia in paese e all'inseguimento dei «nemici» nel paese vicino. «I loro nomi - precisa il rapporto - sono agli atti». L'irruzione degli uomini armati, gli scontri per strada e poi lo spezzettarsi della battaglia in un puzzle ai furiosi as¬ salti corpo a corpo. Gente che tenta di nascondersi ma che viene stanata con le baionette. Vecchi incapaci di correre che diventano un bersaglio di giochi impietosi. Donne che patiscono la brutalità del conflitto. Bambini che perdono, insieme, i genitori e la dignità. In poche righe il Centro dei diritti umani ha potuto dare l'idea di quanto tragico era stato lo scontro. «I medici che hanno esaminato i corpi delle vittime confermano che i cadaveri presentano segni di tortura. I pri¬ gionieri sono stati castrati, sventrati, accecati». Massacrati dai serbi, i musulmani cercano rivalse sui croati. Subito sono stati trovati 37 cadaveri di persone che hanno potuto essere identificate e sepolte: tutta gente di Jablanica e di Doljani. Altri cinque corpi sono rimasti senza nome: si tratta probabilmente di abitanti dei villaggi vicini di Stupari e Kosne Luke dove è impossibile una verifica perché zone sotto controllo musulmano e definite «impraticabili». In un secondo momento è stata scoperta una specie di fossa comune con i resti di altri cinque uomini, ma i documenti devono aggiungere un «probabilmente» che dà la misura per comprendere quanto fossero sfigurati quei cadaveri e di quanta spietatezza sia intessuta la trama di questo conflitto. Duecentodieci persone - il resto della popolazione di Doljani - sono considerate disperse: 19 soldati, 113 donne e anziani e 78 bambini. Un paese cancellato fisicamente. Alcuni piccoli, la maggior parte, sono stati uccisi ma gli altri sono stati portati via. Rapiti, come bottino di guerra. I collaboratori del Centro diritti umani che hanno visitato quella zona hanno potuto sentire i pianti dei bambini che dovevano arrivare dalle parti di Pisvir, interamente sotto il controllo musulmano. I piccoli «desaparecidos» sono 23: il più giovane ha pochi mesi di vita, i più anziani 16-17 anni. «Chi si preoccupa di questa gente?». In questa guerra sporca che nasconde ragione e diritto sotto una coltre di maldicenze e di bestialità sono proprio i più giovani a pagare il prezzo più caro. Sono sufficienti i simboli? Un muro costruito con mattoni di sofferenze obbliga a leggere nomi altrimenti ignorati: Zoran, Darko, Tomo, Stipo, Zeljka, Anto. Le vittime senza famiglia sono ormai un esercito. A Medjugorje, quel muro sta accanto a un immenso orfanatrofio che ospita 600 bambini. Quei ragazzi hanno scritto un appello da mandare agli uomini che trattano per la pace a Ginevra. «Fermate la guerra - chiedono . Guardate nelle vostre coscienze, voi che chiamate alle armi i padri di tanti piccoli destinati a restare soli. Le città si spopolano e si sovraffollano i cimiteri. Non potete lavarvi con il nostro sangue». E, tuttavia, proprio a Ginevra i passi verso la pace sono così lenti da non lasciare troppo spazio all'ottimismo. Lorenzo Del Boca Stupri, amputazioni e pulizia etnica Tutto come i serbi E i piccoli scampati finiscono in lager per bimbi Nella cartina le aree della Bosnia-Erzegovina tenute rispettivamente da serbi, croati e musulmani, con l'indicazione delle località in cui si combatte con più accanimento II muro di Medjugorje Su ogni mattone il nome di un bambino morto in guerra Qui a fianco don Modesto Platini che ha fatto conoscere al mondo ■ il dramma dei piccoli rapiti

Persone citate: Lorenzo Del Boca, Modesto Platini, Stipo

Luoghi citati: Bosnia, Bosnia-erzegovina, Cavallirio, Ginevra, Jugoslavia, Medjugorje, Novara