Una triade di «irriducibili » di Francesco La Licata

Una triade di «irriducibili Una triade di «irriducibili » A Londra per riorganizzare le loro truppe IN ESILIO Isuperstiti della cupola «corleonese» di Cosa nostra ospiti della Corona e liberi di manovrare addirittura il Palazzo degli affari? La notizia è tanto ghiotta quanto difficilmente dimostrabile: se avesse ragione il Sunday Times, infatti, saremmo alle prese con una sorta di ricostituzione in esilio del vertice mafioso siciliano. Giovanni Brusca, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella rappresentano, oggi, quel che rimane della «direzione strategica» di Cosa nostra, responsabile - come hanno raccontato quasi tutti i collaboratori della giustizia - della «linea dura» adottata nello scontro frontale contro lo Stato. I teorici della guerra totale, delle bombe, delle stragi, non ultime quelle di Capaci e di via D'Amelio. Secondo recentissime notizie venute in possesso degli investigatori, Cosa nostra sarebbe - se non divisa - quantomeno attraversata da una polemica interna sull'opportunità di proseguire nell'atteggiamento di oltranzismo dimostrato finora nel braccio di ferro con le autorità dello Stato. Da un lato le «colombe», cioè la mafia palermitana, me- more dei tempi belli della «pacifica convivenza» e della «pax» che consentiva di fare affari pagando il minimo prezzo. Questa «filosofia» verrebbe adesso propugnata prevalentemente da Raffaele Ganci e Pietro Aglieri. Dall'altro lato i «falchi», gli irriducibili che non vedono alcuna possibilità di trattativa con lo Stato. A sostenere la «linea dura», ribadita in tutte le sue uscite pubbliche dal capo don Totò Riina, sarebbero ancora i corleonesi e cioè Provenzano, Bagarella e Brusca. La loro presenza contempora- nea a Londra, seppure in contrasto con la regola che vuole il capomafia - latitante o no - sempre attivo nel proprio territorio, potrebbe essere solo una scelta momentanea, utile per tentare di riorganizzare un esercito abbastanza debilitato dai recenti colpi subiti. Il più autorevole dei tre continua ad essere - e non vi sono dubbi - il vecchio Bernardo Provenzano, un tempo braccio destro di Totò Riina, oggi forse salito al trono, anche se a capo di una Cosa nostra ampiamente sfilaccia¬ ta. «Bino 'u trattori» - così lo chiamano quelli che hanno avuto modo di sperimentare la sua ferocia nei confronti degli avversari - è latitante da sempre. Scomparve quasi contemporaneamente a Salvatore Riina, all'inizio degli Anni Settanta. Ci fu un periodo in cui venne dato per morto. Accadde un paio d'anni fa, quando improvvisamente arrivò a Corleone la moglie coi figli, dopo un'assenza durata più di un decennio. Qualcuno pensò che don Bernardo, non molto bene in salute, fosse morto nel letto della sua clandestinità. Ma tutti gli indizi concorrono a smentire questa eventualità. Gli ultimi collaboratori, approdati sotto le ali della giustizia dopo la cattura di Riina, dicono che è vivo e comanda. Anche Giovanni Brusca - indicato come il macellaio che schiacciò il pulsante a Capaci sembra essere assurto ai livelli più alti di Cosa nostra. E' «figlio d'arte», il giovane (35 anni) membro della cupola. Suo padre, Bernardo (attualmente in carcere), era il capo della «famiglia» di San Giuseppe Jato, la stessa di cui faceva parte Balduccio Di Maggio, il pentito che ha fatto catturare Salvatore Riina. Una «famiglia» importante, quella di San Giuseppe Jato: innanzitutto per il traffico di stupefacenti, dato che il piccolo paese, che fu il «regno» del bandito Giuliano, «gode» della vicinanza di Torretta, un piccolo centro apparentemente insignificante ma in sostanza «capitale» del traffico intercontinentale di eroina. Ma importante anche perché luogo di clandestinità preferito di Totò Riina. Da una villa nascosta tra le montagne di Sagana e Mon¬ telepre, don Totò scendeva a Palermo accompagnato sempre da Balduccio Di Maggio. Fino all'anno scorso, quando il legame si spezzò perché il «padrino» dovendo scegliere tra due «litiganti» (Balduccio e Giovanni Brusca) non esitò a parteggiare per il figlio di un altro «capo». Balduccio capì che aveva fatto un passo falso e si rifugiò in una caserma dei carabinieri del Piemonte. Il terzo «gradito ospite» della City londinese sarebbe Leoluca Bagarella, il «colonnello». E' cognato di Riina, essendo fratello di Antonietta, la first lady di Cosa nostra. Le sue quotazioni, tuttavia, non sono molto alte: alla forza fisica il «colonnello» non farebbe seguire adeguate doti carismatiche, irrinunciabili per chi voglia comandare. E' latitante da un paio d'anni, dopo che era uscito e si era sposato grazie ad una svista della magistratura che non aveva pensato in tempo che stavano per scadere i termini di custodia cautelare. Il «trio», dunque, è dei più attrezzati: sia che si trovi a Londra, sia che continui a battere le contrade siciliane. Francesco La Licata Ma un vero capoclan non dovrebbe mai lasciare il territorio dove comanda Da sinistra Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca, «falchi» della mafia che sarebbero attualmente in Inghilterra secondo rivelazioni del Sunday Times